Perché vivere a San Francisco e non alle Hawaii?
La città centro della Silicon Valley perde di attrattiva se i campus di Big Tech sono chiusi e tutti lavorano da casa
Milano. Questa settimana Google ha annunciato che i suoi dipendenti negli Stati Uniti non torneranno negli uffici della Silicon Valley prima di giugno, e forse anche oltre. Facebook preferisce andare sul sicuro, e ha fatto sapere che i suoi programmatori potranno continuare a lavorare da casa fino alla fine dell’anno, e poi bisognerà vedere cosa succederà in caso di una seconda ondata di coronavirus dopo l’estate. Twitter invece c’è andato pesante: il ceo Jack Dorsey ha detto che i dipendenti del social network potranno continuare a lavorare da casa all’infinito, anche dopo l’esaurimento della pandemia. Dorsey aveva detto in tempi non sospetti che il suo piano era quello di trasformare Twitter in un’azienda “diffusa”, e ha colto l’occasione del virus per accelerare i tempi. Altre grandi compagnie tecnologiche meno conosciute della Silicon Valley stanno adottando politiche simili, alcune, come GitHub, lo facevano già da anni, e in questo modo il coronavirus sta cambiando l’intero distretto tecnologico californiano e la città che ne è il fulcro, San Francisco. La città è ormai da decenni la capitale della tecnologia mondiale. Attorno a San Francisco gravitano i grandi campus di Big Tech, quei paesi dei balocchi che gli imprenditori del settore, da Bill Gates a Mark Zuckerberg, hanno costruito per fare contenti i loro ingegneri, con arredi di design, sistemi di trasporto interno, campi sportivi, mense curate da chef stellati e così via. Ma adesso i campus sono chiusi. E quando riapriranno non saranno gli stessi, come in tutti gli uffici la capienza sarà ridotta, le mense saranno chiuse, i servizi tagliati. Tanti ingegneri potrebbero decidere di continuare a lavorare da casa, e le aziende potrebbero avere una convenienza a lasciarli fare. Ma a quel punto davvero ha senso continuare ad abitare a San Francisco?
Nel corso dei decenni San Francisco è diventata una delle città più costose del mondo. Gli alloggi costano una follia, gli affitti sono alle stelle e il costo della vita è sostenibile soltanto per i salari a cinque-sei zeri degli ingegneri tech. Le politiche abitative in città sono da sempre un problema enorme, chi ci vive da generazioni si sente spossessato dall’esercito di ventenni straricchi giunto negli ultimi vent’anni, e i senzatetto sono migliaia. E dunque molti cominciano a chiedersi: perché continuare a vivere qui se non ci sarà più bisogno di andare in ufficio?
Sarah Frier ha scritto un articolo su Bloomberg Businessweek in cui racconta questo fenomeno. Intervista alcuni ingegneri che lavorano per startup e grandi aziende della Valley e che si sono fatti i conti in tasca: perché continuare a pagare 3.000 dollari al mese per un bilocale a San Francisco quando per la stessa cifra posso affittare una villa alle Hawaii, o ritirarmi in campagna e risparmiare un sacco di soldi? Chiaro, l’attrattività di San Francisco non dipende soltanto dal prezzo degli affitti e dai campus, ma anche dai divertimenti notturni, dall’offerta culturale, dalle librerie storiche. Inoltre sono stati fatti studi infiniti sul fatto che la Silicon Valley è diventata il centro tecnologico del mondo anche grazie all’altissima concentrazione di talento (e dunque di idee e di ispirazione e di contatti) in pochi chilometri quadrati. Ma per ora tutte queste caratteristiche sono inaccessibili, e lo rimarranno per mesi, forse per anni. E nel frattempo la Silicon Valley potrebbe cambiare natura, adattarsi al new normal, trovare un nuovo modo per mettere in comunicazione i talenti (e i denari, non dimentichiamo i venture capitalist), e San Francisco potrebbe perdere la sua centralità. Alle aziende la prospettiva non dispiace. Diventare “diffuse” significa poter avere accesso ai migliori talenti del mondo, si trovino in India o in Brasile, senza problemi di affitti e pratiche migratorie. Il punto è riuscire a farlo senza danneggiare la creatività, e di questo nessuno è sicuro.