Il fronte del virus
Il Covid è un’occasione per le distopie della Silicon Valley, scrive Naomi Klein. Per ora è successo il contrario
Milano. Qualche settimana fa Naomi Klein, polemista anti globalizzazione da un paio di decenni (“No Logo” è uscito nel 1999), ha scritto su The Intercept un lungo articolo che poi è stato ripreso dal Guardian e da altre testate e infine tradotto in italiano sull’ultimo numero dell’Espresso. Klein sostiene la tesi che la pandemia sia stata un grande volano che consentirà alle aziende tecnologiche della Silicon Valley di costruire una “distopia high-tech”. Cita Andrew Cuomo, il governatore di New York che fa affidamento sui manager tecnologici per pensare la ricostruzione, Bill Gates, l’ex fondatore di Microsoft ora filantropo al centro di tutte le teorie del complotto più paranoiche, ed Eric Schmidt, ex ceo di Google, presentato come un’eminenza grigia tecnologica e come l’anello di collegamento tra la lobby e la distopia.
L’articolo è sospettoso e sostiene che la pandemia abbia fatto saltare gli abituali controlli democratici che imbrigliano i grandi capitalisti: con la scusa dell’emergenza, scrive Klein, ci muoviamo rapidi verso il dominio della Silicon Valley sulle società occidentali. La pandemia, sostiene Klein, ci ha avvicinato pericolosamente a una società in cui la gig economy sarà una delle forme base dell’economia, e in cui le diseguaglianze tra i privilegiati che ottengono tutto con un tocco su un’app e gli sfortunati che fanno le consegne andrà sempre più ingrandendosi. Una società in cui le regole del distanziamento sociale saranno un incentivo per licenziare medici e insegnanti e sostituirli con sistemi di telemedicina e teleapprendimento. Una società in cui le città saranno ripensate in chiave smart, con sensori e telecamere dappertutto (e a questo proposito Klein cita ossessivamente Sidewalk Labs, un’azienda affiliata ad Alphabet che vuole costruire una smart city molto controversa a Toronto). Una società in cui i dati personali dei cittadini saranno ammassati indiscriminatamente, con la scusa della prevenzione sanitaria e con l’obiettivo del guadagno. La pandemia, sostiene Klein, è l’occasione perfetta.
Ecco, c’è un problema. Se ci togliamo gli occhiali del sospetto, ci sono eccellenti ragioni per sostenere che la pandemia stia facendo il contrario. Durante i lunghi mesi del lockdown abbiamo scoperto che i lavoratori della gig economy sono essenziali – e l’hanno scoperto anche loro, ché essere essenziali significa avere molto potere contrattuale, come si è visto in molte parti del mondo, compresa l’Italia. Inoltre la pandemia ha mostrato che il modello di business della gig economy è in gran parte insostenibile: mentre le compagnie di consegne hanno prosperato, altre come Uber e Airbnb sono entrate in profonda crisi, e ormai è chiaro a tutti che certi modelli hanno bisogno di un ripensamento profondo. Uguale per gli insegnanti: questi mesi di scuole chiuse ci hanno fatto capire che ci mancano tantissimo, e provate a chiedere a un genitore se preferirebbe mandare il figlio a scuola o tenerlo a casa davanti a un computer con l’intelligenza artificiale. La pandemia è stata anche un acceleratore positivo per i social network, che per la prima volta hanno cominciato a prendersi delle responsabilità su cosa viene pubblicato sulle loro piattaforme.
Per quanto riguarda i dati degli utenti, è vero che ci sono stati abusi. Il governo del Regno Unito ha concesso a Palantir, una società di intelligenza artificiale che di solito opera nell’ambito della sicurezza e dell’antiterrorismo, l’accesso ai dati sanitari sensibili di milioni di cittadini per costruire una piattaforma per contrastare il coronavirus. A giudicare da come sta andando il contagio nel Regno Unito, la piattaforma non ha fatto faville. Eppure in altri contesti le società della Silicon Valley si sono mosse bene. Apple e Google, per esempio, sono stati fondamentali nella decisione dei governi di usare sistemi più rispettosi della privacy per le loro app di contact tracing. E qui potremmo aprire una parentesi italiana sulla app Immuni, che spesso viene criticata proprio per il coinvolgimento delle due aziende americane nel progetto. Quel coinvolgimento non soltanto è necessario dal punto di vista tecnico, ma è stato anche utile: è paradossale, ma è anche grazie ad Apple e Google che il governo si è deciso a fare una app rispettosa della privacy come oggi è Immuni.
E per quanto riguarda la terribile smart city di Toronto tanto citata da Klein, che grazie al coronavirus sarebbe diventata lo standard urbano di un occidente distopico? E’ successo il contrario: a causa del coronavirus, Sidewalk Labs ha rinunciato al progetto e la smart city non si farà.