Non so mai l’ora, non la controllo compulsivamente. Non ci penso al tempo; o meglio, credo di non pensarci. Mentre guido cerco il conforto dell’orologio pubblico. È un automatismo nostalgico, lo so, non credo che qualcuno sotto i quaranta lo faccia ancora. Cerco l’orologio con le lancette, alto, verde, dritto al lato del marciapiede. Lo trovo, solitario dietro a un albero: segna le sette, ma io sto rientrando a casa dal cinema, primo spettacolo. Potrei controllare sul telefonino, ma il telefonino l’ho dimenticato a casa, e certo non porto più l’orologio da polso. Gli orologi pubblici sono come i galli e le campane; come le sveglie, i promemoria, i blocknotes, i cercapersone. Nessuno si affida più a loro. Negletti, ai lati delle strade, nessuno li sincronizza più; o forse qualcuno lo fa, ma non così bene, sicuramente non come una volta.
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