(Foto Ansa)

L'accusa di Epic Games

Perché l'Ue dovrebbe stare lontana dalle beghe tra Apple e Fortnite

Carlo Stagnaro

Ma quali monopoli. La guerra delle App è un affare privato che non riguarda la collettività

C’è poco di epico, e molto di strategico, nella battaglia legale avviata da Epic Games – il produttore del fortunato gioco Fortnite – contro Apple. Il processo, che si è aperto negli Usa il 3 maggio, ha molti punti di contatto con l’accusa di abuso di posizione dominante formalizzata il 30 aprile da parte della Commissione europea nei confronti dell’azienda di Cupertino, partendo da una denuncia di Spotify. Le somiglianze sono impressionanti, ma c’è un precedente che dovrebbe far riflettere: lo scontro tra la stessa Apple e Qualcomm, il suo storico fornitore di modem e altre componenti hardware, che si è risolto con un patteggiamento nel 2019. Ma andiamo con ordine. Epic Games e Spotify accusano Apple di approfittare della sua dominanza per imporre condizioni insostenibili. Infatti, la vendita delle app agli utenti degli iPhone deve necessariamente passare attraverso l’Apple Store, con una fee pari al 30 per cento. Epic Games aveva provato ad aggirare le clausole consentendo ai giocatori di acquistare alcuni servizi, come i V-Bucks, la moneta interna di Fortnite, direttamente dalla app. Per tutta reazione, Apple ha espulso il gioco dal suo store.

 

Allo stesso modo, Spotify lamenta che, oltre alla “tassa” del 30 per cento, Apple fa concorrenza sleale privilegiando i propri servizi di streaming. Queste schermaglie poggiano su un’assunzione fondamentale: che il mercato rilevante, nel quale Apple giocherebbe da monopolista, sia quello dell’Apple Store. In un certo senso è così: l’unico modo di installare applicazioni sull’iPhone è attraverso lo Store. È per questo che Bruxelles considera Apple e le altre grandi piattaforme dei “gatekeeper” da assoggettare a una (discutibile e arbitraria) regolamentazione specifica. Ma non sta scritto da nessuna parte che bisogna per forza avere lo smartphone della mela: in Europa la sua fetta di mercato è del 30 per cento, negli Stati Uniti del 39 per cento. Questo significa che sette europei e sei americani su dieci si affidano ad altri device, da Samsung a Huawei al Blackberry. E, per quanto riguarda i sistemi operativi, la maggior parte utilizzano Android della rivale Google.

 

Non solo. Non c’è evidenza che Apple sbarri la strada agli sviluppatori di app alternative alle sue, purché abbiano caratteristiche di sicurezza compatibili con i suoi standard e siano veicolate attraverso lo Store. D’altronde, se utilizzasse la sua posizione dominante per impedire l’accesso al mercato, non ci sarebbero letteralmente decine di migliaia di nuovi giochi ogni anno. O, quanto meno, avremmo evidenza di un incremento dei prezzi: al contrario, la fee del 30 per cento appare tutt’altro che anomala. Altri negozi online seguono la stessa logica, tra cui il rivale diretto Google Play Store e il principale sito di distribuzione dei giochi sui pc, cioè Steam. L’Epic Store – creato dalla stessa Epic Games – chiede solo il 12 per cento, ma impone limiti assai più stringenti (in alcuni casi, addirittura l’esclusiva). Né mancano i precedenti, e qui la storia si fa divertente. La contestazione mossa da Epic Games e Spotify ad Apple è pressoché identica a quella che per anni la stessa Apple ha rivolto a Qualcomm, e che si è risolta in un nulla di fatto nelle aule di tribunale. Il punto è che la disciplina antitrust ha ben poco da dire sulla distribuzione dei margini tra gli operatori del mercato.

 

Come ha scritto l’economista Dirk Auer, essa punta a massimizzare il benessere del consumatore: “Di conseguenza, l’allocazione del surplus tra due compagnie conta solo in via incidentale e certamente non rappresenta un obiettivo in sé e per sé”. La domanda a cui le autorità della concorrenza devono rispondere è: il consumatore subisce un danno? Se sì, il danno va quantificato e dimostrato. E, nel caso Fortnite, finora nessuno lo ha fatto. Negli ultimi due anni, Fortnite ha generato ricavi per 1,2 miliardi di dollari attraverso l’Apple Store. È comprensibile che Epic Games voglia portarne a casa il più possibile. Ma le loro beghe contrattuali sono faccende private, non riguardano i giocatori e tanto meno la collettività.

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