il foglio del weekend
Il miracolo degli occhiali
Vedono e parlano come lo smartphone, ma lasciano le mani libere. Così funziona l’alleanza fra Del Vecchio e Zuckerberg
Vicini agli occhi e, secondo canzone e modo di dire, vicini anche al cuore, e alle orecchie e alla bocca, all’emissione della voce. Gli occhiali sono piazzati strategicamente bene da qualche secolo e, senza fretta, chi li produce ha saputo, via via, valorizzare quella posizione smaccatamente frontale. Sono addirittura davanti ai nostri occhi, cioè davanti al punto che caratterizza il nostro viso, lo sguardo, l’espressione, che tradisce interesse o disattenzione, improvvisi moti di curiosità o cali di concentrazione e perfino di coscienza. Hanno seguito lo sviluppo tecnico, perché in una storia, appunto, di secoli, ne hanno… viste tante. Dal vetro, di tanti tipi diversi, sempre più puro e sempre più malleabile e resistente agli urti e all’età, a materia plastiche di varia composizione. Alla ricerca della qualità per l’obiettivo di correzione della vista e di comodità, per ridurre peso, effetti della condensa, rischio di rottura. E per proteggere dai raggi del sole, per riposare, per lavorare sugli schermi dei computer. Il posto d’onore se lo sono guadagnato. E con l’aumento delle facoltà sensibili e delle possibilità di percepire e memorizzare, e con l’altro aumento, parallelo, della connettività, sono pronti a fare di nuovo la parte principale.
Sì, ci siamo capiti: da qualche giorno è cominciata la circolazione anche in Italia dei Ray Ban Stories, gli occhiali integrati con Facebook che permettono di parlare al telefono, ascoltare musica, e svolgere tutte le funzioni attive, chiamiamole così, legate ai social, come prendere foto e video o registrare suoni e, ovviamente, condividerli. Nella loro storia antica possono vantare anche qualcosa di molto recente. Diciamo vantare perché c’è un luogo comune, ma molto sensato, sull’imprenditoria più innovativa e di successo nella storia recente, secondo il quale non si è in grado di realizzare qualche risultato davvero positivo se non si hanno alle spalle un po’ di fallimenti. E gli occhiali connessi e integrati con il mondo social o con la conoscenza aumentata di internet hanno un bell’insuccesso da incorniciare, quello dei Google Glass, con sempre protagonisti gli italiani di Luxottica, e un gigante internettiano come quello appena citato. Partirono con slancio, perché nei bei fallimenti prima bisogna crederci tanto, ma non superarono mai i problemi iniziali di fruibilità e di estetica. Finendo, poi, nell’ampio museo dei tentativi sbagliati sulla via della connessione generalizzata. Ma, soprattutto, avevano un difetto originario, perché non erano proprio occhiali.
Nell’entusiasmo iniziale, avendo in testa l’obiettivo di rendere disponibili forme di realtà aumentata, ci si concentrò sul passo successivo, cioè su funzioni avanzate, come, appunto, quella della percezione virtuale e della ricerca di informazioni aggiuntive, in diretta, rispetto a ciò che si sta vedendo. Vasto programma, si direbbe, a causa del quale si persero per strada le caratteristiche base sulle quali si fondano gli occhiali di successo, e cioè la leggerezza, la comodità, la stabilità non forzata, la bellezza, l’integrazione con le caratteristiche espressive di un viso. I Google glass avevano l’aspetto di una maschera per saldatori e, a usarli per strada, davano un imbarazzante sensazione di distanza o di voyerismo. Ma, appunto, quello, datato 2013, fu un bel fallimento. Di quelli da cui si impara e che, come dal citato luogo comune dell’America innovativa, costituiscono un vanto, una medaglia. Chi ha fatto quell’errore ora può tornare a ragionare sul progetto. Anche perché, con l’arrivo del 5G, sono cambiate le condizioni generali della trasmissione dati sulle reti. I sistemi elettronici, poi, hanno avuto un’evoluzione che ha permesso, con un lavoro straordinario, di trasformare un normale occhiale, di quelli che conosciamo tutti benissimo, in uno strumento di comunicazione e di connessione, aggiungendo solo 5 grammi al suo peso standard e lasciando sostanzialmente intatto, indistinguibile dall’originale, l’aspetto esterno.
L’integrazione tecnologica questa volta è con l’ampio mondo Facebook, con un cambio di prospettiva apparentemente piccolo, ma decisivo. Perché diversamente da Google e dalla ricezione di informazioni aggiuntive rispetto a quelle che ci arrivano dalla vista, come dire, ordinaria, Facebook e il suo vario repertorio di piattaforme social ci chiede, soprattutto, di dare informazioni, non di acquisire informazioni (attività faticosa e, in parte, il cui interesse da parte del grande pubblico è sopravvalutato). Certo, poi conta l’interazione e quindi anche la ricezione, ma il primo passo è la condivisione di immagini e video. E gli Stories, come da loro stesso nome, puntano prima di tutto sulla rapidità e sull’efficienza con cui possiamo mettere subito nel mondo condiviso ciò che stiamo vedendo o, come possiamo cominciare a distinguere, grazie alla tecnologia che segue anche i movimenti delle nostre pupille, ciò che stiamo guardando.
Scontato il fallimento, tentata questa nuova strada con buone possibilità di successo, resta, comunque, un destino che sembra segnato. Certo, oltre all’insuccesso nei quasi-occhiali ci sono poi, in corso, una serie di tentativi paralleli per spostare le funzioni dello smartphone in altri oggetti indossabili. Sono cose notissime, con qualche risultato di mercato e una nicchia di gradimento soprattutto per i braccialetti/orologi, ma, pur riconoscendo lo sforzo ingegneristico, la parte veramente innovativa sembra limitata a un piccolo spostamento del controllo del dispositivo dalla mano al polso. Soprattutto, come vedremo, non c’è la grande operazione mani e braccia libere. Per questo gli occhiali, o meglio chi li produce, non hanno fretta di affermarsi su questo nuoto terreno e sembrano nella classica situazione di chi prende posizione e aspetta che le cose, come è naturale, maturino.
Il lancio del nuovo prodotto, scaglionato in diversi mercati, non ha nulla dell’aggressività di chi deve, prima di tutto, rassicurare sé stesso. Perché le due grandi aziende coinvolte hanno le spalle larghe e, soprattutto, hanno ottimi risultati nei loro settori centrali di riferimento. EssilorLuxottica va forte lo stesso (soprattutto da quando ha recuperato un assetto stabile e la totale chiarezza nella linea di comando, con la saldezza del controllo azionario in Leonardo Del Vecchio, dedicato alle strategie di lungo termine, e la guida operativa a Francesco Milleri) e ha un tale dominio sul mercato mondiale di lenti e montature da doversi creare da sola gli stimoli verso l’innovazione e verso il cambiamento che non riescono ad arrivare in maniera sufficiente da una concorrenza molto lontana in qualità e quantità. Di Facebook e della sua potenza di fuoco finanziario e competitivo sappiamo, quasi, tutto.
Mark Zuckerberg e Leonardo Del Vecchio si piacciono, si capiscono, hanno fatto in modo che le due aziende lavorassero insieme senza equivoci e senza gelosie, mettendo a massimo valore le competenze di ciascuno. Sembra una cosina facile, ma è, invece, lo scoglio contro cui si infrange la maggior parte dei tentativi di collaborazione tra aziende diverse verso un prodotto comune. Ma la simpatia personale non basterebbe se non ci fosse una prospettiva condivisa, qualcosa in cui entrambi, e le loro aziende, credono. L’approdo di lungo termine è che le funzioni che nella vita quotidiana abbiamo imparato a svolgere con uno smartphone vengano, in vari modi, remotizzate, recuperando un ruolo attivo per la gestualità (ora è compressa per una ragione molto banale, perché mani e braccia e movimenti della testa sono bloccati o ritardati rispetto alle modalità espressive, e, curiosità, i modi di significare con i gesti sono stati cristallizzati e resi disponibili con la fissità degli emoji). Con che velocità arriveremo a questo risultato dipende da due fattori. Uno è l’accettazione sociale dell’uso pressoché continuo di occhiali, superando, o affiancando, le classiche funzioni di correzioni della vista e di protezione dalla luce più aggressiva. La convinzione, nel settore, è che si arriverà a un uso degli occhiali per tutti e, quasi, sempre, arrivando gradualmente a rendere abituale il comportamento di persone che interagiscono col mondo come se fossero guidate dalla vista, come, d’altra parte, avviene nella nostra vita normale (senza che ce ne accorgiamo), e impegnate in conversazioni senza che si veda neanche la cuffietta, dalla cui presenza, ultimamente, deriviamo la constatazione di non avere a che fare con qualcuno che parla da solo, con i dubbi sull’equilibrio mentale che ne deriverebbero.
L’altro passo decisivo, ci dicono da EssilorLuxottica è nel progresso della capacità di continuare a miniaturizzare le funzioni elettroniche, per scendere anche sotto ai 5 grammi citati prima e per continuare a mantenere, su diversi modelli, tutte le capacità operative offerte e di aumentarle progressivamente. Ci tengono però a sottolineare una specifica differenza, e si tratta di un grande vantaggio, che caratterizza, in generale, il trasferimento di molti usi dello smartphone in un oggetto come gli occhiali e nella posizione degli occhiali. “Pensate”, ci dice Francesco Buffa, direttore della ricerca e sviluppo su stile e licenze dei nuovi prodotti di EssilorLuxottica, “solo al fatto che l’audio, in una normale telefonata, è open-ear, cioè consente l’ascolto simultaneo, come in una normalissima conversazione, di rumori di fondo o di una base musicale. Il non-isolamento è un fattore importante, che abilita a condizioni diverse anche rispetto alla piccola invasività, comunque fastidiosa, di una cuffia o di un auricolare, e diventa un modo rafforzato di condizione di esperienze. Se poi lo rafforziamo con i piccoli dispositivi aggiuntivi, quelli che chiamiamo brick e che accompagneranno e rafforzeranno le capacità del super occhiale”. Si può immaginare una fase di convivenza con lo smartphone? “Ora, ovviamente, sì, i passaggi, graduali, di smarcamento dal telefono fisico avverranno soprattutto grazie all’abilitazione dei servizi e delle capacità del 5G. E poi ci sono le piattaforme social, perché il prodotto è stato disegnato proprio perché tutto ciò che il nostro occhiale vedrà viene criptato, e poi è trasferibile sulle piattaforme in base a una scelta. Che poi, soprattutto i giovanissimi, vorranno apprezzare la funzionalità che permette la condivisione immediata, è una cosa che sembra molto probabile, ma è importante dire e sapere che l’occhiale è progettato per dare anche la possibilità opposta e per scegliere, liberamente e consapevolmente, come e quando condividere ciò che vediamo. Non do per scontato che ci sia un unico modo di usarlo e, anzi, certamente con la diffusione appariranno nuove abitudini e nuove soluzioni, però mi aspetto che la maggioranza abbia un approccio utilitaristico. Per capirci: sto vedendo qualcosa di bello (non protetto da diritti) e posso condividerlo mentre lo vedo ma, in più, ho le mani libere, posso ballare a muovermi come voglio, e i movimenti naturali, con cui il mio sguardo segue ciò che sto vedendo, diventano una specie di regia del video e dell’audio che sto condividendo”.
E’ in questo passaggio di funzionalità che sta la forza tranquilla con cui gli occhiali, pur con qualche possibile frenata e qualche correzione alla rotta, sembrano destinati a vivere una nuova stagione e a diventare il nostro schermo e il nostro filtro intelligente verso il mondo. Sembreranno piccola cosa anche le questioni ora sollevate dall’autorità per la riservatezza dei dati. C’è una specifica attenzione sul rischio di invadenza nelle vite altrui di un dispositivo in grado di fare riprese e condividerle immediatamente senza che ne sia chiaramente comprensibile la messa in funzione da parte di chi viene filmato. Il punto è un po’ capzioso, perché si ritiene, invece, che usando uno smartphone l’intenzione sia chiara e visibile. Comunque, per ora, la soluzione è stata trovata in una lucina che si accende nel punto visibile, accanto alle lenti, e che segnala la messa in attività della telecamera. Ma è chiaro che il punto è generale e tocca non tanto i dispositivi, destinati comunque a essere sempre più potenti e funzionali, ma l’inquadramento complessivo del rapporto tra privacy e condivisione di immagini e informazioni sulle piattaforme social. Un approdo normativo e regolatorio che l’industria può attendere serenamente, proprio per l’approccio tranquillo, non aggressivo, di tutte l’operazione.
Per l’Italia, dove, per scelta aziendale (non sempre capita e apprezzata fino in fondo dal mondo politico e sociale), resta il cuore delle decisioni e della ricerca di EssilorLuxottica, è un’occasione, anche un po’ fortunosa, di restare agganciata, attraverso una grande azienda, al carro dell’innovazione di prodotto mondiale in un settore centrale nei consumi ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico. E’ una fortuna, perché tutto nasce, per altre vie, dall’aver presidiato un ambito produttivo, quello degli occhiali, un po’ snobbato e un po’ abbandonato da altri potenziali grandi investitori. Ora, per una congiuntura storica e tecnologica fortunata, quel prodotto diventa centrale nei servizi più innovativi e si prepara a essere il terminale delle potenti reti di nuova generazione. A Milano e ad Agordo ci sono le uniche persone che, in Italia, possono parlare, confrontarsi, trattare, alla pari, con una multinazionale over the top, sviluppare prodotti e immaginare i mercati del futuro.