Cos'è il metaverso e perché Zuckerberg crede che possa salvare Facebook
L'ideatore del social network vuole sfruttarlo per mettere al centro della scena quello che lui ha da dire su Facebook, invece di lasciare tutto il discorso pubblico intorno alla sua società nelle mani dei nemici
Il metaverso è il termine che Mark Zuckerberg (insieme ad altri esperti meno famosi di lui) ha scelto per indicare una nuova frontiera nell’evoluzione di internet: la sfida di assumere sembianze sempre più reali, ridimensionando il ruolo degli schermi piatti in favore delle esperienze tridimensionali. Questo è quello che il sovrano di Facebook – che include anche Instagram e WhatsApp – sogna per il futuro delle sue piattaforme. La scelta della parola viene da Snow Crash, un romanzo fantascientifico degli anni Novanta in cui l’autore Neal Stephenson chiamava “Metaverso” uno spazio virtuale popolato dagli avatar di persone in carne e ossa. Zuckerberg ha già anticipato che Facebook “si sforzerà di costruire un insieme di esperienze massimaliste e in qualche modo fantascientifiche” e le manifestazioni di questa svolta potranno essere le più varie, a cominciare dal lavoro in remoto.
Facebook, cos'è il metaverso
Niente più riunioni via Zoom, rimaniamo comunque a casa per lavorare ma indossiamo un visore e muovendo la testa in qualsiasi direzione ci percepiamo immersi nello spazio dell’ufficio, i colleghi non hanno lo sfondo della libreria o della cameretta dei figli dietro le spalle ma sembrano al tavolo della sala riunioni intorno a noi. Le possibili applicazioni sono appunto infinite, per esempio chissà che nel futuro non possa andare di moda commentare i post dei politici in realtà virtuale. Sempre con il visore, si parla e ci si guarda negli occhi invece di scrivere. Un’agorà a distanza e, come hanno già dimostrato i social solo-audio (da Clubhouse a Twitter Spaces), le persone sono meno conflittuali se si ascoltano invece di leggersi, e lo sarebbero ancora meno se si guardassero anche in faccia.
Il principio del videogioco applicato alla vita, così come la tecnologia della realtà virtuale, sono cose di cui sentiamo parlare da tempo. I visori per guardare un film in 3D li hanno provati in molti e se ne fa uso nell’industria del porno ma anche nel giornalismo di guerra. Il New York Times, per esempio, aveva seguito con una telecamera che riprende a trecentosessanta gradi la battaglia delle forze irachene per liberare Falluja dall’Isis. Per provare l’esperienza bisognava indossare un visore o, ancora meglio, un casco particolare. Il risultato era molto efficace e a quasi tutti gli “spettatori” veniva spontaneo abbassare la testa o coprirla con le mani, e ogni tanto urlare. Ovviamente l’operazione di Zuckerberg è più raffinata: in “Fight for Falluja” i movimenti del soldato iracheno o del combattente jihadista sono registrati, nel metaverso dietro ogni avatar c’è una persona in carne e ossa in grado di interagire in tempo reale.
Zuckerberg e i tentativi di cambiare l'immagine di Facebook
Su questo progetto ambizioso c’è stata un’accelerazione di recente, da quando Facebook è finita in una tempesta ed è stata messa sul banco degli imputati dalla ex dipendente dissidente Frances Haugen, che accusa Menlo Park di conoscere benissimo i danni provocati dal proprio algoritmo – sul fronte del terrorismo interno come dei disturbi degli adolescenti – e, nonostante le promesse, di non fare nulla in proposito. Da qui l’esigenza, da parte di Facebook, di difendersi cambiando argomento. Non è solo comunicazione, Zuckerberg ha una reale fissazione per il metaverso, ci sta investendo dei soldi e vuole assumere diecimila persone per occuparsene. Ma vuole anche sfruttarlo per mettere al centro della scena quello che lui ha da dire su Facebook, invece di lasciare tutto il discorso pubblico intorno alla sua società nelle mani dei nemici.
Solo ieri è arrivata l’ennesima batosta: questa volta le accuse sono mosse dall’Oversight Board, una commissione speciale di saggi voluta da Zuckerberg e dal suo vice Nick Clegg, che gestisce l’immagine del brand a livello globale. L’Oversight Board ha scritto in un report che l’azienda non si comporta in modo trasparente neanche con loro, e quindi che il loro lavoro non potrà che rivelarsi poco credibile o inutile. I saggi si sono arrabbiati soprattutto per essere stati tenuti all’oscuro del programma “XCheck”, che riguarda le decisioni più delicate sugli utenti vip. Un comportamento definito “inaccettabile”, visto che alla commissione spettava proprio il compito di valutare la rimozione di Donald Trump.