Verso il metaverso
La realtà virtuale di Meta non è un bluff. Basterà per ripulirsi l'immagine?
Gli investimenti di Menlo Park nel settore partono dal 2014 e sono sempre più rilevanti nel bilancio dell’azienda. Cambia il core business, ma le policy restano le stesse
Facebook è morto. Lo ha “ucciso” Meta Platforms, il nuovo nome della holding con cui Mark Zuckerberg e soci controllano il social network e i suoi fratelli, tra cui Instagram e WhatsApp. Un’operazione che nasce dall’esigenza dell’azienda di ripartire dopo gli scandali dei Facebook Files, ma non solo. Nella conferenza di presentazione del rebranding, il 28 ottobre, il ceo di Menlo Park ha precisato che “il core business del gruppo è immutato: tenere in contatto le persone”. Cosa cambia? “I nomi delle nostre app e dei nostri marchi restano gli stessi; a modificarsi è lo sguardo agli obiettivi futuri. Il centro del progetto non è più Facebook, ma il Metaverso. Per questo serve un nuovo nome”.
Al netto delle scuse di facciata per dissimulare le preoccupazioni relative alla crisi che attraversa l’azienda, bersagliata dal fuoco incrociato di società civile, politica e stampa americana (al centro, le rivelazioni di Frances Haugen), l’interesse di Zuckerberg per la realtà virtuale è reale. E ha radici lontane nel tempo. Le prime mosse in questo campo sono del 2014, quando la startup Oculus viene acquistata per 2 miliardi di dollari. Allora, i visori di realtà aumentata erano pensati per tutt’altro settore, quello dei videogiochi, e gli analisti ipotizzavano che Facebook volesse espandersi in quella direzione. Del resto, Htc, l’altra grande concorrente di Oculus, si interfaccia con la software house Valve, che controlla Steam (uno dei più importanti distributori di videogiochi al mondo) e anche la Sony ha investito su queste periferiche con il suo PlayStation VR. Le parole di Zuckerberg, però, già puntavano su tutt’altro: “Gli smartphone sono i dispositivi del presente. Con questa acquisizione pensiamo a quelli del futuro. Oculus ha la possibilità di creare la piattaforma più social di sempre e di cambiare il modo in cui lavoriamo, giochiamo e comunichiamo”. L'embrione dell’idea del metaverso, sette anni fa.
Nel 2018, un’altra grande accelerazione su questo progetto. Facebook lancia Portal, una linea di dispositivi attraverso cui è possibile avviare videochiamate su Facebook Messenger e WhatsApp con la realtà aumentata. Tutto grazie a una speciale fotocamera in grado di ingrandire e tracciare automaticamente i movimenti. Tuttavia, anche in questo caso, i problemi di privacy relativi all’acquisizione dei dati personali hanno scatenato le critiche degli utenti e messo in difficoltà il progetto.
Oggi, anche Oculus cambia nome in Meta e annuncia una nuova linea di prodotti, mettendosi al centro della nuova strategia del gruppo controllato da Zuckerberg. Come confermato dal ceo Andrew Bosworth attraverso un post su Facebook, il fu Oculus sarà la porta per entrare nel metaverso: “L’obiettivo è allargare la platea degli utilizzatori della realtà virtuale, portandola a un miliardo di utenti”. Gli analisti finanziari, però, non si fidano (Oculus costa troppo, almeno 350 euro) e già un anno fa avevano stimato le perdite di Menlo Park tra i 5,4 e i 6,4 miliardi di dollari per i suoi investimenti sul settore. Parte di quegli investimenti ha portato alla nascita di Reality Labs, una piattaforma dedicata alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie di realtà virtuale e aumentata.
L'azienda ha tirato dritto come sempre, nonostante le critiche. Oggi, circa il 25 per cento dei dipendenti di Meta Platforms lavora alla realtà virtuale (lo riporta The Information). Nel 2017 erano il 5 per cento. Gli investimenti su Reality Labs, inoltre, sono stimati in 10 miliardi di dollari nel 2021 e sono destinati a salire. Negli annunci del rebranding, però, nessuna traccia di quello che tutti chiedono a Facebook a gran voce: un cambiamento delle regole sulla privacy e maggiore trasparenza. Inoltre, l’operazione, al netto del valore strategico, non scalda i commentatori. Per il New York Times “potrebbe essere una via di fuga dal presente complicato di Facebook. Potrebbe andar bene o essere ricordata come un tentativo disperato (e costoso)”. Secondo l'Independent, la vera ragione sarebbero “gli scandali di Facebook che danneggiano il mondo, invece che connetterlo”; inoltre, “al momento, non ci sono stati grossi cambiamenti: Meta è uguale a Facebook”. Quartz aggiunge: “Non è altro che una distrazione dagli scandali dei Facebook Files che ne hanno minato la reputazione. È un’operazione di potere”. Zuckerberg, insieme al suo business, prova a scappare dai problemi distraendo la società civile con il suo mondo virtuale. La realtà, però, lo inchioda e rivela la natura dell’operazione: cambiare tutto per non cambiare niente.