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Il Meta business

Perché il metaverso proietta Zuckerberg nella stagione del freemium

Carlo Alberto Carnevale Maffè

L'evoluzione Vr di Facebook sarà un successo o un fallimento? Tre prospettive economiche per capire la mossa del colosso dei social

C’è chi lo associa al simbolo matematico di infinito. E chi invece ci intravede il profilo stilizzato di una maschera. Il logo blu di Meta, la holding che conterrà i marchi del gruppo di Mark Zuckerberg – Facebook, Instagram, WhatsApp, Oculus tra i più noti – è invero un po’ entrambe le cose. Avendo quasi esaurito gli esseri umani reali da portare a bordo delle sue piattaforme social, l’azienda di Menlo Park ha pensato che fosse il caso di aprire un nuovo universo – anzi, un metaverso – di potenziali utenti virtuali.  Il metaverso di Facebook porta tutti su Tatooine, dove spera non arrivi l’Antitrust. Già, perché proprio come nel suo caleidoscopico mondo di realtà virtuale, la mossa di Zuckerberg può essere vista secondo diverse prospettive.

 

La prima e più immediata è quella di una scelta di difesa del valore del gruppo quotato sia da rischi reputazionali, per ora concentrati principalmente sulla property di Facebook, sia da eventuali interventi antitrust che dovessero imporre il break-up o specifici vincoli regolatori sulle modalità di trattamento dei dati. Anche a seguito dei recenti scandali, tale rischio è reale, sia negli Usa sia nel Vecchio continente, dove la Commissione Europea ha già rilasciato una serie di atti di indirizzo che fissano importanti paletti sui processi operativi e sul perimetro di attività dei social media. La seconda prospettiva è tecnologica: l’evoluzione delle applicazioni di realtà virtuale e realtà aumentata (Vr/Ar) è un territorio di grandi opportunità, con previsioni di forte crescita.

Il problema è la scelta del momento: le capacità di calcolo e la connettività necessarie per abilitare tali funzioni non sono ancora disponibili alla maggioranza dei potenziali utenti, e i social media sono business basati sul raggiungimento della massa critica in grado di attivare effetti di rete. L’esperienza di SecondLife, visionaria piattaforma social di realtà virtuale varata nel lontano 2003 con tanto di moneta sovrana convertibile (i “Linden Dollars”) molti anni prima perfino di Bitcoin, è un caso di timing di mercato troppo anticipato: pur proponendo già quasi vent’anni fa molte delle funzionalità che oggi Zuckerberg annuncia come novità, SecondLife non è mai diventata universalmente popolare a causa di un’esperienza d’uso non propriamente facile e appagante, anche per via dei requisiti hardware necessari per farla funzionare.

Una terza prospettiva con cui guardare Meta è quella che fa riferimento al modello di business e al rapporto con gli utenti e, soprattutto, con gli inserzionisti pubblicitari. Facebook e Instagram vivono di pubblicità pagata dalle aziende, mercato che ha un evidente limite superiore al quale l’azienda è già pericolosamente vicina. Meta non dispone tuttora di un modello di ricavi retail, nel quale paghino direttamente gli utenti finali, come invece sono riusciti a fare altre piattaforme digitali. Con questo annuncio, Meta sembra voler prendere esempio dal mondo dell’e-gaming, uno dei più dinamici e redditizi dei media digitali. Si tratta di uno dei pochi mercati – insieme allo streaming musicale (Spotify), alle piattaforme video (e.g. Netflix) e ai marketplace di app (Apple e Google) – che ha saputo far fruttare il modello di business noto come “freemium”: ovvero un servizio di base finanziato dalla pubblicità, che progressivamente fa migrare gli utenti verso livelli “premium” a pagamento, assicurandosi così lauti cash flow ad altissima marginalità.

È presto quindi per dire se la mossa di Zuckerberg sarà o no un successo, ma l’annuncio indica che l’azienda sta interiorizzando le pesanti critiche e i segnali di preoccupazione che arrivano dal mercato e dai regolatori. Perché il difficile percorso dell’innovazione non finisca nel burrone della manipolazione dei dati degli utenti o sotto la ghigliottina dell’Antitrust, quindi, Meta dovrà accettare la sfida dell’interoperabilità tecnologica e della trasparenza dei processi. Altrimenti il nuovo logo sarà solo il tentativo di sostituire il pollice da circo romano con una maschera da teatro greco.

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