la legge anti-social
Il Congresso vuole far scoppiare la bolla di Facebook
Un gruppo di deputati bipartisan propone di obbligare Zuckerberg e soci a fornire una versione dei social network ripulita dell'algoritmo. Il rischio per gli utenti, però, è di annoiarsi
Dopo gli scandali di Facebook, il Congresso americano prova a reagire: un gruppo bipartisan di deputati, secondo Axios, ha proposto una legge che potrebbe “rompere la bolla” dei social network. La norma imporrà alle piattaforme online di lasciare scegliere alle persone se avere una pagina principale “algoritmica” o meno. In poche parole, saranno gli utenti a decidere cosa vogliono vedere sulle proprie bacheche, se contenuti selezionati da macchine in base ai dati personali oppure il flusso di notizie e post gestito in modo trasparente.
La legge è la dimostrazione di come i disordini di Capitol Hill, del sei gennaio scorso, abbiano colpito trasversalmente i parlamentari americani, sempre più sensibili al tema del potere dei social network. In particolare, l’obiettivo è arginare il fenomeno della “filter bubble”, a causa del quale le persone tendono a interagire solo con quelli che la pensano come loro. Un fenomeno che, come raccontato da Adrienne LaFrance, ha favorito i disordini pro-Trump creando sacche di violenti organizzati poi convogliate nella nascita di folti gruppi antagonisti responsabili degli attacchi al Campidoglio (e Facebook sapeva perfettamente cosa stesse succedendo).
Se venisse approvato, il “Filter Bubble Transparency Act” costringerebbe i social a offrire una versione della loro piattaforma che gira con un algoritmo “input-transparent” (cioè il cui funzionamento sia comprensibile dall’utente) che non baserebbe la sua azione su informazioni personali. Non un argine definitivo agli algoritmi attuali, dunque, piuttosto un interruttore on-off che permetterebbe di metterli da parte, se desiderato. Inoltre, stando alla proposta, le piattaforme sarebbero obbligate a informare gli utenti del fatto che il social gira con un algoritmo basato sui loro dati.
Se da un lato i dati personali degli utenti tornerebbero in parte nelle loro mani, dall'altro gli effetti sul mercato sono incerti. Negli Stati Uniti la guardia del Congresso è alta, in Europa le normative sono persino più stringenti, ma restano due domande tra loro collegate: come impatterà la legge sulla user experience? Agli utenti importa più la fruibilità delle piattaforme o la sicurezza dei loro dati? Gli algoritmi personalizzati sono stati creati e studiati per ragioni di mercato: prendono le preferenze degli individui, tracciano le preferenze di lettura e i profili delle persone con cui interagiscono maggiormente, amplificano le interazioni alla massima potenza, identificando tutto il resto come “rumore di fondo” che potrebbe allontanare l’utente dalla piattaforma.
Per questo, se si limitasse la personalizzazione algoritmica, resterebbe aperta una domanda: i social sarebbero ancora seducenti e magnetici come sono oggi? Si assisterebbe ancora allo scrolling (scorrimento) infinito della bacheca, riempita di volta in volta di contenuti che ci piacciono? La risposta potrebbe essere fornita da Twitter, l’unico dei grandi social network che già da tempo offre due versioni del suo feed di notizie: una con i contenuti più interessanti (per noi), un’altra con i tweet in ordine cronologico, un po’ come le versioni agli albori di Facebook e Instagram, prima della rivoluzione algoritmica raccontata in molti documentari e film (uno su tutti: The social dilemma).
Sebbene non esistano dati sulla percentuale di utenti che usa questa o quella versione, gli utenti del social con l’uccellino continuano a tuittare e l’azienda prosegue nei suoi investimenti su nuove forme di interazione. Se la proposta di legge passasse e, come trapela da Axios, venisse data la possibilità di scegliere, chi tiene più all’intrattenimento che ai suoi dati non si accorgerebbe di nulla. Tutti gli altri, forse, potrebbero sentirsi più protetti. Fin quando non si annoieranno e torneranno dentro l’algoritmo.