Big Tech si fa la guerra per conquistare il ricco cloud del Pentagono
Google, Amazon, Microsoft e Oracle. Storia di una gara a quattro a colpi di cyber security: in palio l'asse privilegiato con la Difesa degli Stati Uniti
C’è stato un periodo, precisamente dal 2004 al 2018, in cui Google ha avuto un motto diventato col tempo leggendario: “Don’t be evil”, non essere cattivo. La frase ha una storia lunga e altrettanto lunga è la lista di possibile interpretazioni che ciascun dipendente gli ha dato. Pochi anni fa, comunque, il motto è stato rimosso e sostituito da una frase più vaga e “corporate”. Sempre nel 2018, ma forse è una coincidenza, Google bloccò all’ultimo momento un accordo con l’esercito americano grazie al quale avrebbe cominciato a partecipare a “Project Maven”, in cui si usavano le intelligenze artificiali per analizzare i video registrati dai droni. Il motivo del dietrofront? Le proteste dei dipendenti, che si richiamarono al celebre motto e spinsero l’azienda a ripensarci.
Sono passati tre anni e i giganti Big Tech hanno sempre meno difficoltà a collaborare con l’esercito e il dipartimento della Difesa. In questi giorni, si sta decidendo un bando militare cruciale: si chiama “Joint Warfighter Cloud Capability” ma fino a pochi mesi fa era noto come “Joint Enterprise Defense Infrastructure”, o Jedi. Il vecchio Jedi era un affare da dieci miliardi di dollari nell’arco di dieci anni in cui il vincitore si aggiudicava la gestione dell’intera cloud del dipartimento della Difesa statunitense.
Proprio attorno a Jedi, negli ultimi anni, era sorta una guerra tra Amazon web services (Aws, il settore cloud di Amazon) e Microsoft. Storicamente era Aws ad avere iniziato un rapporto di collaborazione con il Pentagono, ma nel 2019 aveva perso in favore di Microsoft. All’epoca furono in molti a sospettare che il dipartimento avesse preferito la seconda per ragioni politiche, precisamente su pressione di Donald Trump, che da presidente era in aperto scontro con Jeff Bezos e la sua Amazon. Tanto bastò all’azienda per sporgere denuncia e ottenere il blocco del bando. A quel punto il dipartimento pensò bene di rivedere i dettagli di Jedi (a partire dal nome), arrivando questa settimana ad aprire la competizione ad altri due giganti del settore: Google e Oracle.
Questa gara a quattro, in cui troviamo i top player del cloud computing mondiale, è resa possibile soprattutto da fattori tecnologici. La “nuvola” è cambiata dal 2017, quando un’unica cloud – come l’enorme Aws – poteva soddisfare i bisogni dell’intero dipartimento della Difesa. Oggi invece si preferisce utilizzare il multicloud, la pratica con cui aziende d’ogni tipo si servono di servizi diversi, contemporaneamente, per ragioni di efficienza e sicurezza.
Se il vecchio Jedi permetteva solo un vincitore, il Joint Warfighter Cloud Capability sembra indicare una strategia diversa. Lo scorso luglio il dipartimento aveva sottolineato come soltanto Aws e Microsoft “sembravano le uniche in grado di garantire tutti i requisiti del DoD”, ma un’organizzazione così grande, con circa 2,9 milioni di dipendenti, offre innumerevoli spazi per contratti d’ogni tipo. Ottime notizie, quindi, per Google e Oracle, considerando che, come nota il sito Protocol, il budget per il settore informatico del Pentagono nel 2021 ammonta a 37,7 miliardi di dollari. In tutto questo, l’arrembaggio al settore militare da parte di Big Tech vede una sconfitta, Ibm, la cui nuvola non è inclusa nella gara e da anni è alla ricerca di un posto in un settore ormai strategico – e affollato.
Altro che “Don’t be evil” o i riferimenti post hippie che andavano forte nella Silicon Valley all’epoca della fondazione di Google (e non solo). Sotto la guida del suo ceo Thomas Kurian, infatti, la divisione Google Cloud ha saputo mettere da parte le proteste dei dipendenti, seguendo le mosse di Amazon nel settore militare. Kurian, ovviamente, ha cercato di sottolineare come l’ex programma Jedi sia vario e non abbia solo a che fare con la guerra: “Potrebbe essere utilizzato dal dipartimento per conservare il registro del personale, analizzare i reclutamenti, conservare dati medici o implementare soluzioni basate sulla nuvola di dati oltre lo storage o l’analisi base”, ha spiegato. Potrebbe, certo.
La liaison tra giganti tecnologici e l’esercito pare comunque appena iniziata: proprio in questi giorni il sito Motherboard ha rivelato che l’Aeronautica americana ha speso “milioni di dollari in licenze” per Wickr, una chat criptata e supersicura, acquisita recentemente proprio da Amazon. À la guerre comme à la guerre.