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Le rughe di Facebook

Eugenio Cau

La crisi di mezza età del mondo di  Zuckerberg, che sa quanto un social non possa fare a meno dei giovani

All’inizio di febbraio, Facebook ha subìto la più grande batosta in Borsa della sua storia. Meta, il conglomerato digitale che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e tutti gli altri prodotti del gruppo, è crollato in Borsa dopo la pubblicazione di dati trimestrali particolarmente deludenti, che mostrano come, nonostante i miliardi di entrate, l’ingranaggio stia gradualmente rallentando. Il fatturato è stato di qualche decimo di miliardo peggiore delle aspettative, e non sarebbe stato poi un gran problema se a questo non si fosse aggiunto un altro dato terrificante dal punto di vista di Mark Zuckerberg: Facebook sta cominciando a perdere utenti. Il numero di utenti attivi mensilmente, cioè quelli che aprono Facebook almeno una volta al mese, è rimasto stabile anziché crescere come avrebbe dovuto, a 2,91 miliardi. Ma soprattutto il numero di utenti attivi giornalieri per la prima volta nella storia è calato, passando da 1,930 miliardi a 1,929. E’ un calo minuscolo, ma è comunque orripilante per un social network che nei suoi diciotto anni di storia ha conosciuto soltanto crescita. E’ anche la realizzazione del peggior incubo di Zuckerberg: che Facebook, un giorno, possa cadere nell’irrilevanza.

 

Facebook ha meno utenti e i mercati se ne sono accorti: ha perso il 20 per cento in Borsa e oltre 200 miliardi di dollari di valore di mercato

  

I mercati se ne sono accorti, e sono fuggiti da Facebook, che nelle poche ore dopo la pubblicazione dei dati ha perso oltre il 20 per cento in Borsa e oltre 200 miliardi di dollari di valore di mercato. Il solo Zuckerberg, in qualche ora, ha perso 30 miliardi di dollari del suo patrimonio personale.

 

Secondo quasi tutti gli analisti, la causa principale di questa gran batosta sono i giovani. I teenager e i ventenni non si iscrivono più a Facebook, e se hanno un account non lo usano. Questo è un problema gigantesco per il social network: quando hai già 2,9 miliardi di utenti e praticamente ogni persona al mondo con una connessione internet ha un account, l’unico modo per continuare a crescere è prenderli giovani. Non ci sono altri mercati in cui espandersi, non ci sono altri segmenti di popolazione da colonizzare. Delle due l’una: o insegni agli ottantenni a usare i social, oppure devi convincere i ragazzini a iscriversi. Ma i ragazzini, a Facebook, non si vogliono iscrivere.

  

Microsoft ha smesso di puntare sui giovani trent’anni fa, si è concentrata sugli adulti e sul mondo del lavoro, ed è prospera 

  

Questa non è una grande novità. Chiedete a un adolescente se ha Facebook, o se i suoi amici hanno Facebook, e vi guarderà strano. Non soltanto non ce l’ha: è un’opzione imponderabile, Facebook non fa nemmeno parte della rosa dei possibili social network a cui iscriversi. E’ il social network degli adulti, ce l’hanno i genitori, ed è quello che usa lo zio no vax per mandarti video di improbabili virologi: iscriversi a quella roba lì è praticamente impensabile. I dati mostrano piuttosto chiaramente che Facebook è sempre meno amato dai ragazzi, che i suoi utenti stanno progressivamente invecchiando e non vengono rimpiazzati da altri più giovani.

  

Facebook è un social network nato per connettere gli studenti universitari ma oggi, negli Stati Uniti, l’età media degli utenti supera abbondantemente i 35 anni. Quando, nel 2021 l’azienda Piper Sandler ha chiesto ai teenager americani quale fosse il loro social network preferito, il 35 per cento ha risposto Snapchat, un social di foto e video che in Italia ha relativamente poco successo; il 30 per cento ha risposto TikTok, il social cinese di brevi video che invece va moltissimo anche in Italia; e il 22 per cento ha risposto Instagram. Facebook non è nemmeno citato: è un errore statistico. Sempre secondo lo stesso sondaggio, soltanto il 27 per cento degli adolescenti americani usa ancora Facebook: nel 2016 lo usava il 60 per cento. Cala anche il tempo di utilizzo del social network, che negli Stati Uniti per i teenager tra i 13 e i 17 anni è calato del 16 per cento nel 2020 e del 5 per cento per i giovani adulti tra i 18 e i 35 anni. In generale, gli utenti con più di 30 anni stanno in media un’ora al giorno su Facebook, mentre quelli con meno di 20 vi trascorrono appena 25 minuti. In Italia e nel resto del mondo questi trend sono leggermente meno pronunciati, perché le cose si muovono più lentamente, e non bisogna comunque dimenticarsi che Facebook è e rimarrà ancora a lungo il social network più popolare del mondo. Ma i dati sono piuttosto chiari: Facebook sta lentamente invecchiando.

  

La prima domanda che viene da farsi è: cosa c’è di male? Che problema c’è se i ragazzini non sono su Facebook, se il social è pieno di quaranta, cinquanta e sessantenni? In fondo anche i boomer hanno diritto a un social network. Soprattutto, sono di gran lunga la fascia più ampia della popolazione, e considerando i trend demografici dell’Occidente le cose non cambieranno in breve, anzi: i ragazzini saranno sempre meno, e gli adulti e gli anziani costituiranno man mano una porzione di popolazione sempre più grande. Ed è anche normale rassegnarsi a non essere “cool” per sempre: Microsoft ha smesso di esserlo trent’anni fa, si è concentrata sugli adulti e sul mondo del lavoro ed è più prospera di Facebook. Le banche, le case automobilistiche e i supermercati non hanno bisogno di fare pubblicità agli adolescenti, e vanno molto bene. Perché allora Zuckerberg è terrorizzato dal perdersi i giovani? Una prima, iniziale ragione è che, online, i giovani costituiscono ancora una forza economica molto più grande di quanto non lo siano nella vita reale. Definiscono i trend e le mode, e hanno maggiore propensione a comprare prodotti online, se non altro perché hanno maggiore propensione con il digitale. Sono anche un target demografico molto ambito per chi, come Facebook, fa i soldi vendendo pubblicità: gli inserzionisti sono molto interessati a sapere cosa funziona tra i giovani, perché spesso nel giro di qualche tempo comincia a funzionare anche tra tutti gli altri.

  

Ma la ragione principale per cui Facebook non può permettersi di trascurare i giovani è che, una volta che li perdi, non li recuperi più. Il valore di un social network, al contrario di quanto avviene in banca o con i software di Microsoft, dipende dalle reti sociali che un utente si costruisce al suo interno. Tanto più la rete sociale è ampia e ramificata, quanto più l’utente sarà portato a frequentare il social e sarà disincentivato a usarne un altro. Per questo chi gestisce un social network non può fare a meno degli utenti giovani: perché tendenzialmente restano dove si sono iscritti i loro amici, e una volta fatto poi è molto difficile convincerli a spostarsi – proprio come sta succedendo a Facebook in questo momento.

   

Fondato nel 2004, era pensato per i computer fissi ed è tuttora basato sui testi scritti. Ora i social sono pensati per gli smartphone e basati sulle immagini

  

Facebook, tutto questo, lo sa da diversi anni, da molto prima che da fuori ce ne accorgessimo e che fosse evidente com’è adesso. Come ha raccontato il New York Times, David Ebersman, che al tempo era il capo delle operazioni finanziarie dell’azienda, disse per la prima volta nel 2013 che negli Stati Uniti gli utenti di Facebook stavano diminuendo, “nello specifico tra i teenager più giovani”. Il social crollò in Borsa, anche se molto meno di quanto abbia fatto a febbraio. La dirigenza si affrettò a dire che Ebersman aveva esagerato, ma a posteriori è piuttosto chiaro che Facebook sa di avere un problema coi giovani almeno da una decina d’anni. Da un certo punto di vista è anche comprensibile, e forse inevitabile: Facebook fu fondato nel 2004, era pensato per i computer fissi ed è tuttora basato sui testi scritti. E in quest’epoca in cui i social sono pensati per gli smartphone e basati su immagini e video, non c’è progetto di riforma in grado di svecchiarlo.

   

Ma proprio perché sapeva, Facebook aveva un piano che avrebbe risolto la situazione. In poche parole: mangiarsi i concorrenti più giovani e freschi tutte le volte che se ne presenta uno. Nel 2012 (poco prima che Ebersman dicesse pubblicamente che c’era un problema con i teenager) Instagram stava conoscendo un enorme successo tra i giovani, e Facebook decise di comprarselo. Nel 2014, WhatsApp stava facendo una seria concorrenza a Facebook Messenger nel settore della messaggistica: comprato pure lui. A far fallire questa strategia fu probabilmente Evan Spiegel, il giovane (al tempo) fondatore di Snapchat. Nel 2013, mentre Snapchat guadagnava quote di mercato tra i teenager americani, Facebook si fece avanti, come al solito, e offrì per Snapchat una cifra che al tempo fu giudicata pazzesca: tre miliardi di dollari. Spiegel disse di no. A quel punto Facebook cominciò una guerra feroce: copiò le funzioni più popolari di Snapchat (presente le “storie di Instagram”, i tondini con video e immagini in cima all’app? In origine erano le “storie di Snapchat”) ma Snapchat resistette. Quando poi arrivò TikTok, che essendo un social network cinese è di fatto incomprabile, la strategia di Facebook crollò definitivamente.

   

Per un po’ di tempo, Instagram ha fatto da argine all’invecchiamento di Facebook. Ma negli ultimi anni i giovani, soprattutto quelli americani, hanno cominciato ad andarsene anche da lì, e Meta, la compagnia, in questo momento è nel pieno di una crisi di vecchiaia. I cosiddetti Facebook Papers, documenti interni trafugati da un’ex dipendente alla fine dell’anno scorso che contengono presentazioni, report e resoconti di riunioni, danno un’idea della situazione: i dipendenti di Facebook (anche loro, come  Zuckerberg, non più ventenni) si arrovellano sul perché il loro prodotto non piace più agli adolescenti. Organizzano task force, immaginano nuovi prodotti e funzioni, ma, come ha scritto Bloomberg, “nonostante ricerche approfondite, i dipendenti non capiscono davvero perché [l’abbandono dei giovani] sta avvenendo, o perché i cambiamenti che loro mettono in atto non riescono a risolvere la situazione”– un po’ come i genitori che non capiscono perché i loro figli adolescenti sono scontrosi con loro. In una presentazione contenuta nei Facebook Papers si legge: “Cosa dovremmo fare per [ottenere l’attenzione] dei giovani adulti? Non ne sappiamo abbastanza”.

   

Dopo aver abbandonato Facebook, i giovani hanno iniziato ad andarsene anche da Instagram. Il metaverso è l’ultimo tentativo di recuperarli

   

L’ultimo tentativo di Facebook di recuperare i giovani e mantenere la sua centralità nei prossimi anni è il metaverso, da poco annunciato da Mark Zuckerberg: un progetto ambizioso, per il quale Meta sta spendendo miliardi su miliardi di dollari, ma per il quale ci sono ancora enormi incognite, sia tecnologiche sia culturali. In ogni caso, i risultati del processo di invecchiamento di Facebook li vedremo tra diversi anni.

   

Nonostante le paure di Zuckerberg, non sarà la demografia a far cadere Facebook nell’irrilevanza, almeno ancora per molto tempo: è più probabile che ci pensi l’Antitrust americana, o il contributo dato da Facebook alla diffusione del populismo e all’erosione della democrazia in occidente e nel mondo. Facebook rimane il social network più popolare e usato, e soprattutto nei paesi non occidentali ha ancora un enorme peso anche tra i giovani. Rimarrà inoltre il social network usato dai politici, da molte aziende, e continuerà a essere uno dei maggiori veicoli di raccolta pubblicitaria al mondo. Insomma: non sparirà a breve, e la sua crisi sarà lentissima. Ma come per ogni grande impero, anche per quello di Facebook a un certo punto arriverà il declino. E i primi ad accorgersene sono i giovani.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.