(foto EPA)

lo scoop del wapo

Meta sta usando consulenti repubblicani per denigrare TikTok

Pietro Minto

Zuckerberg si rivolge a una società di consulenza vicina al Gop per screditare il social cinese. C'entrano anche le elezioni di mid-term

Il sogno sarebbe di avere titoli di giornali tipo ‘From dances to danger’, ovvero “dai balli al pericolo”. Era questo gioco di parole il “sogno” della macchina del fango voluta da Meta, già Facebook, per colpire TikTok. Lo rivela uno scoop del Washington Post dell’informatissima Taylor Lorenz e di Drew Harwell, secondo cui il gigante guidato da Mark Zuckerberg “sta pagando Targeted Victory, una delle più grandi società di consulenza repubblicane del paese per orchestrare una campagna nazionale con l’obiettivo di rivoltare il pubblico contro TikTok”. Nonostante lo zampino di Meta, l’operazione sembra preferire metodi analogici, come la pubblicazione di “editoriali e lettere al direttore nelle maggiori testate regionali” con cui seminare il dubbio e il risentimento nei confronti degli americani, soprattutto riguardo i “pericoli” che l’app della cinese ByteDance rappresenta per i più giovani. Il 12 marzo scorso, per esempio, la società di consulenza è riuscita a pubblicare una lettera alla direzione del quotidiano Denver Post firmata da un “nuovo genitore preoccupato”.

Secondo una successiva indagine di Casey Newton, l’obiettivo del gigante statunitense sarebbe duplice: offrire ai media un bersaglio tecnologico alternativo, dopo anni di inchieste, scandali e whistleblower che hanno avuto come protagonista Facebook e le sue proprietà; in secondo luogo, sottolineare le criticità dell’algoritmo di TikTok per migliorare la percezione di quelli dell’azienda, che da anni hanno enormi mancanze nella moderazione dei contenuti.

 

Tra le storie con cui Targeted Victory ha cercato di instillare il panico c’è stata “Slap a Teacher”, una “challenge” in cui gli studenti delle superiori statunitensi si sfidavano dando sberle ai docenti. Peccato che questo trend non fosse mai circolato su TikTok ma fosse anzi un “rumor” nato proprio su Facebook. Insomma, alla base del fango destinato alla concorrenza c’era il solito problema delle fake news su Facebook. A conferma degli effetti imprevedibili che la diffusione di voci simili può avere, inoltre, la challenge inventata da qualcuno su Facebook si è poi trasformata in realtà, quando alcuni ragazzi hanno deciso di emularla, credendo fosse un  trend. Insomma, “from dances to danger”.

I metodi scelti da Meta sono inusuali per un gigante digitale ma possono essere spiegati dallo stretto legame esistente tra Targeted Victory e la politica americana, soprattutto gli ambienti repubblicani. L’operazione sembra puntare alle elezioni statunitensi di metà mandato, previste per il prossimo novembre, e sulla sponda da parte della destra americana, data per vincitrice da alcune previsioni. Colpire TikTok è un obiettivo comune di Zuckerberg e i repubblicani (l’ex presidente Donald Trump aveva già provato a bandire il social network cinese dagli Stati Uniti, senza risultati) e questo panico artificiale nei confronti dei “pericoli” per “le nuove generazioni” potrebbe giovare entrambe le parti.

 

Strano che Meta non abbia invece puntato su questioni reali e più urgenti, come la gestione dei dati personali degli utenti su TikTok e la moderazione dei contenuti politici sulla piattaforma, specie quelli critici nei confronti di Pechino e del Partito comunista cinese. ByteDance ha recentemente annunciato di voler trasferire i dati relativi agli utenti statunitensi in un database della Oracle sul territorio americano ma lo scetticismo rimane: i dati sono dati e un’indagine della Cnbc dello scorso giugno sembrava confermare gli stretti legami tra la divisione americana e la casa madre. 

Secondo altri, invece, il vero problema sarebbero proprio la propaganda e la disinformazione, non la privacy. Se piattaforme come Twitter e Facebook sono sempre scrutinate e sotto il torchio dei media (e della politica da entrambe le sponde dell’Atlantico), TikTok se l’è cavata con poco, almeno per ora, forse perché non ha ancora dimostrato il peso politico che può avere – anche negli Stati Uniti, dov’è il social più utilizzato in alcune fasce di popolazione. La battaglia di TikTok non si è quindi conclusa con il goffo tentativo di Trump di vendere il social a Microsoft: anzi, potrebbe essere appena cominciata.

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