editoriali
L'utopia di una Russia tech
La Silicon Valley di Putin era un fake. Il progresso ha bisogno di libertà
C’è stato un momento in cui la scena tecnologica russa sembrava poter fare concorrenza a Google, Amazon e le altre gemme della Silicon Valley. Aziende come Yandex e Kaspersky hanno saputo imporsi anche all’estero: la prima, un motore di ricerca, finì quotata al Nasdaq; la seconda, produttrice di un antivirus, divenne famosa in tutto il mondo. Nel 2009 fu inaugurato lo Skolkovo Innovation Center, una sorta di Silicon Valley alle porte di Mosca.
La Russia, all’alba degli anni Dieci, sembrava destinata a diventare un player importante nel settore tech. Solo che poi, man mano, le criticità di questo nuovo settore iniziarono a venire fuori: attraverso i sistemi tecnologici era più facile l’accesso alle informazioni esterne o, ancor peggio, alle informazioni interne alla Russia. Il Cremlino reagì con regole, leggi e un’influenza sempre maggiore nel settore, che finì schiacciato dalla repressione e dalla burocrazia. Anche per questo negli ultimi anni si è verificato un esodo di lavoratori del settore, alla ricerca di paesi e ambienti più aperti e liberi, mentre i giganti locali sono costretti a collaborare con le richieste sempre più imprevedibili dei regolatori centrali.
Anche prima della guerra, la Russia era troppo piccola per chiudersi e stimolare solo la crescita di aziende tech locali: aveva bisogno delle collaborazioni con l’occidente. Ha optato invece per una impossibile via di mezzo, un modello cinese con il Cremlino a controllo di tutto, rendendo il settore tecnologico locale poco attraente per gli investimenti esteri. In uno scenario simile, è naturale che il settore energetico tradizionale sia stato finora l’unico davvero centrale per l’economia russa. E il fallimento del grande progetto tecnologico ha delle conseguenze anche nella capacità delle Forze armate russe di dotarsi di strumenti all’avanguardia: finora se ne sono visti pochissimi. Ma la brutalità non ha bisogno di tecnologia.