Uno splendido quarantenne. La seconda vita (forse) del compact disc
Il 17 agosto del 1982 il primo Cd per utilizzo commerciale. La scalata che porta verso l'estinzione vinili e cassette e poi la crisi. Nel 2018 Sony annuncia la chiusura dell’ultima fabbrica degli Stati Uniti. Ma ora si prospetta una seconda giovinezza
I suoi primi 40 anni, e ora potrebbe stare iniziando per il Cd una seconda giovinezza. Il 17 agosto del 1982 fu infatti prodotto il primo Cd per utilizzo commerciale. Per 22 anni l’invenzione scalò nelle vendite, spingendo verso l’estinzione precedenti supporti come vinili e cassette. Negli anni successivi ci fu poi la crisi, con le nuove mode di streaming e YouTube che sempre più hanno spinto i Cd in un gozzaniano “altare del passato”, allo stesso modo in cui il Cd stesso aveva fatto con i citati vinili e cassette. Segno apparente di un simbolico decesso, fu quando per il tracollo nelle vendite del mercato mondiale nel febbraio del 2018 Sony annunciò la chiusura di quell’ultima fabbrica di Cd degli Stati Uniti, che in realtà era stata anche la prima: a Terre Haute, nell’Indiana.
In realtà però a Terre Haute si è continuato a lavorare, e comunque la giapponese Sony è andata avanti con la produzione in altre parti del mondo, come quella taiwanese Ritek che è l’altro colosso del settore. E lo scorso marzo è stato reso noto che per la prima volta appunto in 20 anni la vendita di Cd aveva ripreso a risalire. Già a gennaio, d’altronde, da Terre Haute era arrivata un’altra notizia, secondo cui la produzione non sarà più smantellata, ma solo parzialmente spostata a Salisburgo, in Austria.
Il primo compact disc per utilizzo commerciale era stato invece prodotto in una fabbrica della olandese Philips presso Hannover, in Germania. Era la “Sinfonia delle Alpi” di Richard Strauss diretta da Herbert von Karajan con la Berliner Philharmoniker. Il primo album pop ad essere stampato sul nuovo supporto fu “The Visitors” del gruppo svedese degli Abba, ma il primo ad essere immesso sul mercato fu “52nd Street” di Billy Joel, commercializzato dal primo ottobre 1982 in Giappone insieme al lettore. Dal 2 marzo 1983, data in cui la Cbs pubblicò 16 compact disc, il nuovo formato si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Già nel 1985 il primo Cd a superare il milione di copie vendute fu l'album “Brothers in Arms”, dei Dire Straits. Nel febbraio dello stesso anno David Bowie divenne il primo artista ad avere il suo intero catalogo convertito nel nuovo formato, dopo che la Rca Records stampò i suoi primi 15 album su compact disc. In Italia il primo Cd insignito del disco di platino per le vendite fu “The Dream of the Blue Turtles” di Sting nel 1986.
Ovviamente, il percorso per arrivare al Cd era iniziato prima. Dal mondo della telefonia, in cui si cercava un sistema efficiente per moltiplicare le informazioni attraverso la digitalizzazione e semplificazione dei segnali. L’idea di una applicazione congiunta del sistema numerico binario e del laser al suono fu per prima esplorata da una joint venture tra DuPont e Philips. Quando però saltò fuori che il Cd avrebbe avuto una capacità di 600 Mb di dati, pari a un’ora di musica, la DuPont si spaventò. Primo, perché la cosa richiedeva forti investimenti. Secondo, perché quella capacità sembrava esagerata in un mondo dove i Pc avevano da 64 KB a 4 Mb e hard disk da 20 Mb. Terzo, perché sembrava impensabile che tutti i possessori di giradischi e registratori si mettessero a comprare lettori di dischi ottici, all’epoca costosissimi. Quarto, perché in un mondo dove la durata degli Lp andava attorno alla mezz’ora riempire un’ora di “offerta” sembrava troppo.
La DuPont, dunque, si tirò indietro. Ma la Philips decise di andare avanti. La progettazione del Cd nella sua configurazione definitiva risale al 1979, e si deve ad una nuova joint venture della Philips con l'azienda giapponese Sony, che già nel 1975 stava sperimentando la tecnologia per un disco ottico digitale in modo indipendente.
In effetti quelli che la Du Pont aveva temuto come possibili problemi si rivelarono invece vantaggi. Da fine anni ’80 i consumatori che iniziarono a acquistare in massa lettori ormai con prezzi abbordabili permisero infatti alle case discografiche di ristampare in quantità vecchie incisioni nel nuovo formato, in modo da permettere ai collezionisti di ricostruire le loro raccolte in Cd. Dalla cosa nacque una moda per incisioni “storiche” che dinamizzò un mercato discografico dove in precedenza una hit tendeva a passare di attualità in qualche mese. Quando poi dagli anni ’90 si diffusero i Pc a livello di massa iniziò anche a diffondersi la moda di farsi i Cd in casa, alimentando un ulteriore mercato di Cd masterizzabili.
In parte nei Cd fai da te finivano contenuti di vinili e cassette tradotti in formato digitale grazie a nuovi sistemi di registrazione, anch’essi in breve diventati disponibili. Ma in parte ci iniziavano anche ad andare contenuti via Internet. E dal 1998 l’invenzione dei lettori Mp3 iniziò ad abituare il pubblico a un nuovo tipo di fruizione non più bisognosa di supporti fisici, se non il lettore stesso.
Dal 2004, dunque, la vendita di Cd inizia a calare. Nel frattempo si afferma anche lo streaming, e il 14 febbraio 2005 parte YouTube, che ben presto diventa la collezione definitiva di tutti i tipi di musica al di là delle possibilità di ogni singolo collezionista, più o meno come Wikipedia è diventata l’enciclopedia definitiva al di là delle possibilità di ogni altra enciclopedia. Basta avere un Pc collegato a Internet: oggi anche un cellulare o una Tv. Ovviamente, le vendite di dischi crollano. Paradossale ritorno al passato pre-dischi, sempre più gli introiti degli artisti iniziano a dipendere dai concerti, che oltre all’ascolto offrono l’occasione di un evento.
Ma che evento è, quello da cui non si può tornare con un souvenir fisico? E quale miglior souvenir, se non un disco firmato dall’artista? In una dimensione nuova, inizia dunque un recupero dei vecchi supporti, che si accompagna a una più generale moda vintage. All’inizio del vinile, ma poi anche della cassetta, e infine anche del cd. È stata la Recording Industry Association of America (Riaa) a riferire per il 2021 la ripresa del mercato statunitense, e una conferma è poi arrivata anche dall’Italia. Il dato Usa è da 31,6 milioni a 46,6 milioni di unità e da 483,2 milioni a 584,2 milioni di dollari. Lontanissimo dal miliardo di cd all’anno che erano venduti 20 anni fa, ma di nuovo ai livelli del 2019. Pre-pandemia, e si pensa che anche il lockdown possa avere contribuito al recupero. Certo, lo streaming ha rappresentato il 52 per cento delle entrate nel 2021, pari a 8,6 miliardi di dollari, mentre i flussi pubblicitari hanno portato altri 1,8 miliardi di dollari, pari all’11 per cento. Ma anche le vendite combinate di Cd e vinili hanno rappresentato per il mercato discografico Usa un altro 11 per cento.
Quanto all’Italia, nei primi mesi del 2021 il mercato discografico è cresciuto del 34 per cento. Per il 41 per cento è rappresentato dallo streaming in abbonamento, il vinile è aumentato del 189 per cento, ma il Cd del 52 per cento. “Resilienza del fisico” è stata definita dalla Federazione Industria Musicale Italiana (Fimi). Non a caso vari big mondiali e italiani tra 2020 e 2021 hanno deciso di pubblicare i loro nuovi dischi anche in quel formato: da “30” di Adele a “Map of the soul: 7” dei BTS, “Evermore” di Taylor Swift, “Disumano” di Fedez, “Taxi Driver” di Rkomi o “Blu Celeste” di Blanco.