computer o autori
L'ultima rottura di scatole delle IA: scrivono un libro e l'uomo deve recensirlo
Un'opera scritta dai bot ChatGPT. L'ultima frontiera dell'intelligenza artificiale, senza sarcasmo e con poca sapienza editoriale. L'ennesima (infondata) pretesa delle macchine sull'uomo
La domanda chiave dei nostri tempi se l’è posta sul magazine Idler lo psicoterapeuta Mark Vernon: se le macchine servono a farci risparmiare tempo, come mai usarle ci fa sentire più stressati? Vale per ogni tipo di dispositivo: dalle pressanti notifiche sullo smartphone all’infinito catalogo di Netflix o Disney+, con relativa impossibilità di fruirne integralmente; dall’incatenamento volontario davanti allo schermo del pc a tutta la gamma di cose che l’intelligenza artificiale ci ingiunge di fare, sotto la forma subdola di offerta d’aiuto oppure di idea originale. Il compito delle macchine sembra ormai essere diventato di farci pensare a ciò a cui non stavamo pensando.
Sono passati quattrocento anni da quando Francesco Bacone vagheggiava un “connubio fra mente e universo, che dia una prole numerosa di strumenti atti a domare e a mitigare le necessità e le miserie degli uomini”. Non aveva calcolato che, col proliferare degli strumenti, necessità e miserie sarebbero cresciute in progressione geometrica. Volte ad alleviare il peso dell’uomo, le macchine sono diventate esse stesse gravame, e questa è l’unica vera minaccia costituita dall’intelligenza artificiale. Non un fantascientifico dominio delle macchine, non una guerra fra vita biologica e vita automatica (come nella puntata di “Black Mirror” in cui dei cani robotici inseguono gli umani e alla fine, spoiler alert, tanto vale sgozzarsi da sé), nemmeno una distopia alla “Minority report” in cui le macchine sanno in anticipo cosa gli uomini pensano, desiderano e sono. No, la principale minaccia dell’intelligenza artificiale è l’inesorabile incremento delle rotture di scatole.
Ad esempio, l’altro giorno l’intelligenza artificiale mi ha mandato una richiesta di recensione. Meglio, un sedicente “collettivo di moderni cantastorie e AI artists” che si chiama Roy Ming (nessuna parentela, pare, col più famoso Wu) mi ha segnalato tramite mail automatica “il primo libro in italiano scritto e illustrato interamente da un’intelligenza artificiale”, la favola di una volpe ingegnosa e di un orsacchiotto curioso composta dai bot ChatGPT per il testo e Midjourney per le illustrazioni. Richieste di recensione ne ricevo un fottio, in quantità spropositata rispetto alla mia rilevanza e all’umana capacità di lettura, e ciascuna cerca di irretirmi suggerendo uno spunto che richiami la mia attenzione. In questo caso l’intelligenza artificiale ha sottolineato come a impreziosire la favola siano il fatto che non sia stata apportata nessuna modifica al testo prodotto da ChatGPT (idem la mail, a giudicare da solecismi e refusi) e il caso che io abbia dedicato il mese scorso un articoletto proprio a ChatGPT.
Certo, l’intelligenza artificiale – fosse stata davvero così intelligente – si sarebbe accorta che l’articoletto non solo era di intento satirico ma, addirittura, prendeva in giro non il chatbot bensì chi lo usava. E, se avesse un po’ più di esperienza editoriale, avrebbe saputo che la qualità di un libro è data dalla stratificazione di interventi correttivi di un editor dopo l’altro, non dalla genuinità della prima stesura allo stato brado. La pretesa della mail era però che l’opera dell’intelligenza artificiale dovesse avere rilievo proprio in quanto opera dell’intelligenza artificiale, e che anzi la sola esistenza di un’intelligenza artificiale che scrive e disegna ponesse l’opera al di sopra della pletora di esordienti scassamaroni che mandano mail urbi et orbi per segnalare ciò che scrivono o disegnano.
Il sottinteso, insomma, era che anche nel rutilante mondo editoriale l’umanità debba farsi ancella delle macchine. L’intelligenza artificiale fa un libro e l’uomo deve recensirlo, per giunta elogiandolo in quanto – nonostante le sbavature stilistiche e i disegnini naif – è opera di una macchina. Per fortuna, leggendo la mail, mi sono ricordato di quando un funzionario Rai chiamò Eduardo De Filippo per fargli una proposta, esordendo con: “Pronto, qui è la televisione”. E lui rispose: “Un attimo, le passo il frigorifero”. Clic.