L'Ue potrebbe obbligare gli Ott a contribuire alle spese per la banda ultralarga, ma gli Ott già lo fanno
“Ci facciamo carico del nostro traffico dati per il 99 per cento del tragitto, lo portiamo vicino alle persone e lo rendiamo più efficiente, a tutto beneficio dei nostri partner Telco”, ci dice Diego Ciulli, head of public policy di Google Italia
Il mondo delle telco da settimane parla di un solo argomento: i costi delle infrastrutture di rete. Se da un lato abbiamo la consultazione della Commissione europea, dall’altro c’è la consapevolezza che a Bruxelles si stia preparando una riforma della normativa che potrebbe cambiare in modo significativo il funzionamento di Internet. Non ci sono ancora dettagli ufficiali in questo senso, ma le dichiarazioni del commissario Breton indicano l’esistenza di un forte impegno politico in questa direzione. Non a caso gli operatori di rete sono già scesi in campo. In Italia Pietro Labriola, ad del Gruppo Tim, si è già esposto dichiarandosi favorevole a una ripartizione dei costi tra i gestori e i principali operatori over the top.
Fair share o no?
La riforma, chiamata "fair share", mira a regolamentare i costi per gli investimenti nelle reti di telecomunicazione, introducendo una sorta di condivisione delle spese attraverso un meccanismo di tariffazione del traffico Internet che richiederebbe alle società over the top che ‘producono più traffico’ di pagare un obolo agli operatori per l'utilizzo delle loro reti. “Il principio per cui chi fornisce i contenuti dovrebbe pagare per il traffico sulla rete è un’idea vecchia di oltre 10 anni, e non c'è nessun dato nuovo che giustifichi modifiche che andrebbero a ribaltare i principi su cui si basa l'Internet libero”, replica Diego Ciulli, head of public policy di Google Italia.
Un passo indietro per spiegare, in poche parole, la situazione attuale. Internet si basa sulla net neutrality, un principio che fa sì che tutti i dati debbano essere trattati in modo equo e senza discriminazione, indipendentemente da chi li crea o da dove provengono. Ciò significa che gli operatori di telecomunicazioni non possono rallentare o bloccare l'accesso a determinati siti web o servizi online. Tutto questo ha un prezzo che i gestori incassano dai canoni mensili degli abbonati e gli Ott dai servizi.
Google non ci sta
Mentre gli operatori si lamentano dei costi sostenuti, Google ricorda di essere uno dei principali investitori in infrastruttura. “Ci facciamo carico del nostro traffico dati per il 99 per cento del tragitto, lo portiamo vicino alle persone e lo rendiamo più efficiente, a tutto beneficio dei nostri partner Telco”, illustra al Foglio Diego Ciulli. “Dei 23 miliardi investiti nel 2021 in conto capitale, la gran parte è stata proprio in infrastrutture. Questi investimenti servono a costruire i data center che fanno funzionare i servizi Internet, i grandi cavi sottomarini (di cui uno in costruzione anche in Italia), e a ospitare contenuti digitali sulla rete locale, aiutando così le imprese di Tlc a gestire i picchi di traffico e a far si che i video di YouTube o le ricerche su Google carichino velocemente per gli utenti. Investiamo significativamente anche per migliorare la compressione dei video, e per fornire contenuto di alta qualità senza usare banda non necessaria. Questi investimenti permettono alle compagnie di Tlcun grande risparmio.”
Una posizione sposata anche da Innocenzo Genna, giurista specializzato in strategia, public affairs e regolamentazione europee nel settore delle telecomunicazioni, che su Valigia Blu ha ribadito come l’idea di far pagare il traffico agli Ott sia “un escamotage per far pagare due volte il medesimo servizio di trasporto: prima all’utente, e poi all’Ott.”
Dato che il traffico Internet rimarrà in costante crescita, il problema rimane: come e perché imporlo per legge, come vorrebbero i proponenti del fair share? Una domanda a cui deve rispondere Bruxelles.
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