Il colloquio
Innovazione e ottimismo per non temere il futuro. Dialogo con Calcagno (Fastweb)
La pandemia ci ha fatto perdere "quel senso di progettualità che dovrebbe essere il fondamento della nostra vita". La priorità, oltre alle lingue, saranno le competenze digitali: senza dimenticare i riferimenti umanistici. Un libro
Il futuro è (anche) qualcosa di personale, gestibile, alla nostra portata. Non c’è solo il futuro che accese le grandi ideologie politiche o che venne catturato, domato, dal messianismo religioso. C’è anche quello di ciascuno di noi, in mano, per buona parte, a ciascuno di noi. Alberto Calcagno, Ceo di Fastweb, si butta su una parola e un concetto scivolosissimi, lo fa con un certo coraggio e uno spirito formativo quasi missionario, titolando il suo saggio/testimonianza con un esortativo “Tu sei futuro”. L’eccesso di fiducia è in agguato e la prudenza scaramantica radicata tra gli umani, con uno speciale filone italiano, consiglia solitamente di adeguarsi al famoso motto di spirito per cui fare previsioni è molto difficile, specialmente quando riguardino il futuro. Ma questa non è la preoccupazione di Calcagno. Anzi, tra le abitudini mentali questa specie di avversione al futuro, proprio e collettivo, la vede come un limite da superare.
Certo, c’è anche molto di contingente, il momento storico, che, ci dice, “tra pandemia, guerra e rallentamento economico non predispone lo sguardo al futuro. Condizione che ci ha fatto perdere quel senso di progettualità, basato su un contatto diretto con il futuro, che dovrebbe essere il fondamento della nostra vita, per saper vivere il presente all’interno di un progetto, come parte di un progetto che si sta realizzando. Forse ha qualche influenza in questo mio interesse per il futuro il fatto che ho un figlio di 17 anni, ma io sono sempre stato attento a cercare di tirar fuori il massimo del potenziale da me e da tutte le persone con cui sono venuto in contatto”. Il saggio è strutturato in vari capitoli, costruiti come novelle esemplari, storie da cui imparare, dialoghi formativi, apologhi e anche questionari, per memorizzare, bloccare i concetti.
“Nel testo precedente, Get in the game, mi ero occupato” – ci racconta – “di fornire indicazioni sulla possibilità che tutti abbiamo di sfruttare il nostro potenziale, con Tu sei futuro cerco di estendere questi obiettivi in una dimensione temporale che va oltre il presente. Ho osservato ciò che stava succedendo e mi sono chiesto come coinvolgere più persone e orientare o riaccendere la consapevolezza che il futuro non lo decide un laboratorio a Wuhan o qualche teoria complottista o chissà quale consesso politico e che invece dobbiamo riappropriarci di noi stessi. È stata una riflessione dapprima molto personale e poi la ho trasferita in un’esortazione, come dire, pubblica. Sono convinto che i manager abbiano una responsabilità anche sociale, aldilà dei numeri su ricavi, clienti e fatturato (che devono tornare). Secondo me noi abbiamo una grandissima, straordinaria, possibilità di incidere, di aiutare positivamente lo sviluppo della società”. Bene, ma da dove si comincia?
A guardare la società italiana e anche stando alle normali percezioni che si hanno nella vita sociale, sembra che non ci sia tutta questa voglia di futuro, anzi, anche in politica vince la conservazione e non il progresso, e indici significativi, come quelli demografici, puntano tutti verso il minimo storico. Calcagno non vuole fare l’ottimista a tutti i costi, ma dribbla questo tipo di obiezione cercando di riportare tutto proprio alla dimensione individuale. “Bisogna abituarsi all’idea che per guardare al futuro non serve una palla di cristallo ma una superficie liscia e ben riflettente, uno specchio, e, acquisita questa consapevolezza, il passo successivo è riuscire a dare anche una direzione. La mia è una riflessione sulla possibilità umana di associare gli sviluppi personali alla progettualità e alla frequentazione del futuro”.
Sembra mancare, volutamente, quella dimensione collettiva del futuro, che pure è stata la molla di grandi cambiamenti politici e sociali. “Io mi concentro sugli aspetti individuali perché voglio dare indicazioni dirette e comprensibili, prima di tutto fissando l’attenzione su un aspetto quasi linguistico o comunque che riguarda la comunicazione. Negli anni Ottanta ci dicevano di studiare l’inglese, per conoscere, fare maggiori esperienze, avere lavori più interessanti, ampliare le nostre possibilità. Ora, senza buttare via la necessità delle conoscenze linguistiche, c’è però la priorità delle competenze digitali, che sono l’inglese dei prossimi 30 anni. Avere una mentalità digitale ti dà maggiori capacità di elaborazione di concetti e di risposta ai problemi, esattamente come quando migliori nell’inglese e cominci anche a pensare in modi nuovi. Poi sta a ognuno decidere a che livello arrivare, perché le esigenze possono cambiare con l’età e con la diversa progettualità. A 17 anni ti devi concentrare sul tentativo di capire quale sarà il lavoro del futuro tra due decenni, in base al tuo tempo da ottimizzare. Perciò questa rivoluzione linguistica e culturale comincia dalle scelte individuali ma l’applicazione sarà nella collettività, l’interazione futura avverrà su basi digitali”.
Nel testo, però, ad accendere la curiosità e anche a dare senso alle riflessioni sono i rimandi iniziali a un verso di poesia o a un passaggio di qualche testo letterario. Insomma, pur nella rivoluzione digitale, servono i riferimenti che possiamo definire umanistici, anche senza sembrare troppo antiquati. “Prendiamo la poesia, ad esempio quel verso di Umberto Saba che ho messo in testa a un capitolo. Certamente c’è molto in comune con il digitale, perché sono espressioni straordinariamente semplici, sintetiche ed efficaci. Tre aggettivi che caratterizzano le esigenze del mondo in cui siamo entrati”.
Però resta che il futuro, a guardarci intorno, soprattutto fa paura. E tutti sappiamo che non serve esortare con ottimismo chi è di fronte a qualcosa di cui ha paura. “Ma – obietta Calcagno prima che gli si dia dell’ottimista a buon mercato – io non dico che il futuro è una figata. Osservo, però, che generalmente le persone hanno paura di ciò che non conoscono, e questo è normale e naturale. Allora la cosa migliore da fare è capire che il futuro ha il nostro stesso DNA. Il passaggio è capire che non c’è niente di pericoloso, perché il futuro ha i tuoi stessi capelli e i tuoi stessi occhi o anche la tua stessa condizione di sofferenza. E poi passare a guardare oltre lo specchio, a quello che potresti diventare. Un adolescente ha un grande potenziale di futuro, ovviamente, per lui o lei una delle principali preoccupazioni è il classico: cosa farò da grande. Ma ora sappiamo che il 65% dei ragazzi e delle ragazze della scuola primaria farà lavori che ora non esistono, di cui abbiamo solo qualche vaga idea. Questa condizione genera una comprensibile ansia. È importante allora far visualizzare ai giovani i lavori del futuro, ma non in modo superficiale e astratto, rifugiandosi in strambe definizioni, e dicendo ai ragazzi che, non so, il lavoro del futuro sarà il cloud architect o il cybersecurity specialist. Immaginiamo, invece, di vedere una persona in carne e ossa che ti descrive cosa fa o cosa vorrebbe fare. Allora io ribatterei che avrei voluto fare il garbage designer, cioè uno che progetta oggetti, che so uno spazzolino da denti, non per la loro prima vita, il primo uso, ma anche per la seconda, come riciclaggio, e per la terza, come rifiuto da utilizzare. Per farlo devi essere esperto di materiali, di processi digitali, e devi essere una persona creativa. 35 anni fa mi proponevano lavori tradizionali, ma io avrei voluto qualcuno che, invece, mi raccontasse come si fa, cosa si fa quotidianamente, dalle 8 alle 17, nei lavori del futuro. Insomma, c’è un doppio passaggio, il futuro non deve far paura perché il futuro siamo noi e di noi stessi non possiamo avere paura e poi se cominci ad avere fiducia in te potrai scoprire i lavori che potrebbero interessarti. Questa costruzione della propria fiducia, dall’inizio alla fine di un percorso, è uno dei meccanismi più rassicuranti e più produttivi per un giovane”.
I lavori cambieranno tutti, e questo lo accettiamo, ma ci sono costanti, quelli che si potrebbero chiamare valori o criteri di comportamento o, proprio corrivamente, modi di stare al mondo, che, invece, non cambieranno. Calcagno usa lo schema metaforico di uno dei capitoli del suo libro, quello in cui si racconta un’esperienza di arrampicata sportiva. “È una disciplina che ci rappresenta bene, nella nostra volontà di elevarci, unendo la coscienza del pericolo all’ingaggio delle sfide. Tu, mentre arrampichi, non puoi fare quello che vuoi, la direzione è segnata, sei vincolato. A un ragazzo potremmo dire che, nella sua ricerca di futuro, c’è una strada obbligata e che passa per il digitale. E poi nell’arrampicata è decisiva la giusta attrezzatura, concreta e verificabile. E potremmo paragonarla alla formazione per il digitale, corsi e aggiornamenti continui, per tutte le diverse esigenze e per tutti i livelli di impegno. Il terzo punto sono i compagni di salita da associare alla propria capacità di introspezione e alla continua vigilanza su noi stessi. I valori, se vogliamo usare questa categoria, sono sempre gli stessi. Ma vorrei rivalutare dal discredito di cui è circondata nella cultura italiana e proporre ai lettori anche l’ambizione, forse malvista perché confusa col carrierismo. Ma io la vedo, invece, come un continuo tentativo di migliorarsi e di tirare fuori il meglio da noi stessi. Poi aggiungerei il coraggio. Nelle decisioni della nostra vita siamo coraggiosi necessariamente, nell’amore, nelle scelte familiari, è il coraggio a rendere significativo ciò che facciamo. Nel lavoro dovremmo averne altrettanto. E il passato, il pezzo di arrampicata che abbiamo già completato, dobbiamo conoscerlo ma non deve guidarci. Tu sei futuro significa anche che un’azienda come la nostra, che viene da 37 trimestri consecutivi di crescita in un settore come le Tlc in cui, a livello aggregato, ci sono stati 37 trimestri di decrescita, deve comunque estendere, ampliare, ammodernare il suo progetto. Anche la ricetta più vincente del passato deve essere comunque rivista in continuazione. Il passato, i risultati, sono semplicemente informazioni. E se continuo a dirmi quanto sono stato bravo in quel pezzo di passato ne resto prigioniero e vittima. Quel passato si prende il posto del presente e anche del futuro. Compie tre omicidi con una pallottola”. Dopo “Get in the game” e “Tu sei futuro” però sembra difficile immaginare un altro passo, un altro titolo. “Invece ci ho già pensato e avrà a che fare ancora con la progettualità, per far capire che ci deve accompagnare sempre”.