Il ceo di TikTok Zi Chew durante l'udienza (Chip Somodevilla / Getty Images)

La trattativa

TikTok in vendita negli Usa. La lista degli acquirenti (e dei rischi)

Pietro Minto

Dopo l'udienza di giovedì, il Comitato americano ha fatto pressioni affinché ByteDance si liberi dell'appicazione cinese e la metta sul mercato. Il prezzo? 50 miliardi di dollari

Che le cose si stessero mettendo male per TikTok lo si era capito pochi giorni fa, quando il Ceo dell’azienda controllata dal gigante cinese ByteDance era apparso sulla sua stessa piattaforma, sfoggiando una felpa con cappuccio e un sorriso poco convinto, parlando da Washington, dove si preparava a dialogare pacificamente con il Congresso statunitense. Il giorno dopo Shou Zi Chew si è finalmente trovato di fronte al Comitato per l’energia e il commercio della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, senza felpa né sorriso, mentre aveva la prova di quanto l’acrimonia nei confronti del social network cinese sia l’ultima fibra rimasta a unire democratici e repubblicani.

 

Il torchio dei Ceo di colossi tecnologici da parte dei politici americani è ormai una forma di intrattenimento a sé, fatta di domande poco calzanti e risposte cortesissime ma studiate per non offendere i membri del Congresso. Celebre è la frase con cui Mark Zuckerberg, cÈpo di Facebook, chiarì le idee al senatore che gli domandò come funzionasse il suo business, visto che era gratuito (“Senator, we run ads”). Anche nel caso di TikTok si è arrivati a un siparietto simile, quando Chew ha dovuto rispondere che sì, l’applicazione può collegarsi al Wi-Fi di casa, se l’utente lo vuole, ma questo non la rende una spia. È una cosa normale, insomma. O meglio, lo sarebbe se di mezzo non ci fosse la Cina e il regime di Pechino, i cui legami con ByteDance sono da una parte comprovati e dall’altra ormai base per un mito paranoico che sta spingendo la politica americana verso territori mai prima esplorati: la messa a bando di un social network tra i più amati dagli utenti statunitensi, specie i più giovani

 

La missione di Chew era disperata: cercare di smarcare la propria azienda dalle conseguenza di una guerra commerciale fredda in corso tra Stati Uniti e Cina, il tutto mentre il Big Tech americano spende da tempo in lobbying per assicurarsi che tutto lo spettro politico penda verso il “ban” di TikTok. La messa a bando dell’applicazione che più di ogni altra ha sconvolto il settore tecnologico negli ultimi anni sarebbe infatti piuttosto gradita dalla diretta concorrenza, come Meta (che ha fatto lobbying “seminando” notizie negative su TikTok, come rivelato lo scorso anno), Google e anche Snap. Nel corso dell’udienza di giovedì, però, il Comitato ha fatto soprattutto pressioni affinché ByteDance si liberi di TikTok e la venda a un’azienda americana. Chew ha risposto per le rime, ricordando che realtà come Meta non sono esattamente garanzia in fatto di privacy, tirando in ballo lo scandalo Cambridge Analytica con poco successo (era un pubblico difficile). Per tutta risposta un membro texano del Comitato si è detto offeso dal fatto che il suo stato abbia dato nome al “Project Texas”, il discusso piano con cui TikTok sta provando a convincere Washington della sua trasparenza.

 

Ma se succedesse davvero, se ByteDance fosse costretta a vendere il suo gioiello, chi potrebbe comprarselo? Secondo stime citate dal New York Times, il prezzo di vendita sarebbe di almeno 50 miliardi di dollari, una cifra che metterebbe fuori gioco le realtà “minori” come Snap, tenendo la porta aperta ai soliti noti: Microsoft, Meta, Oracle. Microsoft e Oracle, del resto, erano già state chiamate in causa nel 2020, quando l’Amministrazione Trump sembrò vicina a convincere Oracle e Walmart a comprarsi il social network, superando Microsoft (il cui Satya Nadella definì quel caso “la cosa più strana a cui abbia lavorato”). Tre anni dopo, i grandi nomi sono ancora tutti in gioco, con l’aggiunta del “nuovo” Twitter a guida Elon Musk, mentre non si escludono investimenti d’altri tipo tramite operazioni di private equity. L’unica cosa certa è l’assenza di riferimenti e precedenti chiari in una situazione inedita in cui gli esperti si dividono tra chi spinge per il “disinvestimento” da parte di ByteDance e chi invece sospetta che i legami con Pechino potrebbero resistere, e quindi l’azienda debba essere venduta. Ma come? E a chi? Pur non mancando gli aspiranti acquirenti, è chiaro che se un’azienda delle dimensioni di Meta o Microsoft facesse il grande passo, correrebbe il rischio di esporsi nei confronti dell’Antitrust, che da queste parti è uno spettro molto spaventoso.

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