il dibattito sull'innovazione
ChaptGPT, il lavoro e i nuovi operAI. Idee per governare un cambiamento epocale
Se passa per i soli divieti, la sfida che ci pone l’intelligenza artificiale farà perdere terreno alle persone, non alle macchine, che continueranno (indisturbate) la loro corsa. Ecco come reinventare didattica e metodi di apprendimento
Chi di voi gradirebbe fare un lavoro che una macchina (robot o algoritmo che sia) sa fare meglio? Partiamo da qui. In un’epoca in cui riemergono tendenze neoluddiste, la prima cosa è chiarirsi le idee. L’intelligenza artificiale sta ridisegnando il lavoro e le nostre vite. L’intelligenza artificiale è ovunque ed è sempre più potente. L’intelligenza artificiale, tuttavia, non è né “intelligente” (capacità di attribuire significato), né “senziente” (dotata di sensibilità), non ha coscienza, né sa se ciò che elabora è “vero”, ma è sempre più veloce e potente a simulare da farlo sembrare tale.
Qual è la vocazione del genere umano? Inseguire gli scampoli del lavoro che ci lasciano le macchine, o migliorare e sviluppare quello per cui la nostra umanità rappresenta un valore non contendibile? E’ una sfida che se passa per i soli divieti, il gioco in difesa, farà perdere terreno alle persone, non alle macchine, che continueranno (indisturbate) la loro corsa. Serve il contrario, un grande processo di consapevolezza e partecipazione diffusa per edificare una nuova architettura sociale e del lavoro. Per questo serve la nostra migliore intelligenza, naturale. Non dobbiamo competere con le macchine ma costruire una nuova umanità.
Che cosa sta accadendo?
L’impiego degli algoritmi di intelligenza artificiale (IA), in moltissimi ambiti della nostra vita, non è recente, ma è oggi connotato da una maggiore velocità e pervasività. La crescita delle capacità computazionali, di elaborazione e stoccaggio dei dati sta determinando mutamenti di grande portata. Il diluvio delle informazioni che riceviamo è crescente e rende difficile, per ciascuno di noi, elaborarle. Per questo deleghiamo il compito a una macchina logica (ma senza coscienza) molto efficace nel memorizzare le nostre indicazioni.
Serve un grande processo di consapevolezza e partecipazione diffusa per edificare una nuova architettura sociale e del lavoro. Per questo occorre la nostra migliore intelligenza, naturale. Non dobbiamo competere con le macchine ma costruire una nuova umanità. Il ruolo della persona nell’input e nella decisione
Qualsiasi processo o attività (di calcolo e no) si può articolare in: input, elaborazione e output. La persona in che fasi ha un ruolo importante? Nell’input e nella decisione. L’immissione dei dati non può essere delegata interamente alle macchine poiché si rischierebbe una “pesca a strascico” digitale in cui l’IA raccoglie informazioni di qualità, ma anche distorsioni di ogni tipo (frasi razziste, sessiste, etc., per questo solo recentemente si collegano gli algoritmi generativi al web e vengono pre-addestrati dagli OperAi). La fase successiva, l’elaborazione e il calcolo va invece delegata alla macchina (molto più efficiente di noi nel farlo) che, al termine, fornirà la sua valutazione. L’output è il risultato di un calcolo, a cui dobbiamo aggiungere la nostra decisione, basata su una valutazione in cui entrano in campo coscienza, etica, sentimenti, umanità e per cui torniamo in campo noi.
Per questo è fondamentale non confondere il ruolo (insostituibile) della persona, con “l’autorizzazione” o l’elaborazione, ma valorizzarlo nelle fasi di input e nella decisione. Per esempio, la mappa collegata al Gps ci dice se andare in una direzione, ma la decisione resta a noi. Lo stesso vale per una perizia su un mutuo o per la qualità di un pezzo da produrre.
L’IA ha un vincolo: riconosce tutte le azioni degli umani come qualcosa di “calcolabile”. Tutto ciò consente di definire il tipo di lavoro che dovremmo maggiormente sviluppare, quello in cui le nostre capacità sono incontendibili e non calcolabili da qualsiasi algoritmo o macchina pensante
Cambia la natura del lavoro
L’IA è dunque una sorta di macchina che abilita l’automazione dei processi e che, insieme a sistemi di organizzazione del lavoro evoluti e nuove competenze, sta cambiando il lavoro e la sua natura. Lo sforzo da fare è concentrare l’attenzione su come l’intelligenza artificiale stia ridisegnando (reshape) la forma e il contenuto, la contrattualistica del lavoro. Ulteriori effetti e policy necessarie sono importanti, ma successive a questa riflessione.
Un elemento fondamentale in questo approccio è di visione: il digitale è generalmente abbinato alla parola “virtuale”. Se quest’ultima viene declinata correttamente (ovvero tutto ciò che “integra” e potenzia la realtà e le capacità umane) facciamo un passo avanti. Se invece le affidiamo una funzione “sostitutiva” tout court delle persone, si creerà molta confusione. Un esempio interessante è l’esperimento condotto dall’University College di Londra, che ha monitorato il cervello degli automobilisti (i tassisti nello specifico) scoprendo che l’uso dei navigatori Gps mette a riposo alcuni centri cerebrali, in sostanza li impigrisce. I ricercatori, utilizzando uno scanner Mri (Magnetic resonance imaging), hanno utilizzato alcuni video per ricreare le strade del popolare quartiere Soho a Londra. Generalmente, anche sulla base della propria conoscenza della città, si attivano due aree del cervello per determinare la distanza e il percorso fino alla destinazione. Ma l’utilizzo dei navigatori inibisce l’attivazione di queste due aree. Certo, se questo determina una riduzione dell’attenzione alla realtà che ci circonda, l’esperienza rischia di diventare anche pericolosa. Ma soprattutto se le risorse liberate non vengono impiegate in altro modo, ne conseguirà soltanto un impigrimento generale. La vera sfida sarà dunque la capacità di sviluppare nuove abilità diverse da quelle da cui ci liberano le macchine.
Mentre dovremo parlare di upskilling (crescita professionale) e reskilling(riqualificazione) avanza in modo preoccupante il “deskilling”, ovvero quella situazione dove il mancato uso di certe procedure e certi percorsi lavorativi a opera delle persone, le porta a perdere o a non acquisire competenze. Facciamo l’esempio di un radiologo abituato a “leggere” le immagini per capire “cosa è cosa”, una competenza che ovviamente accresce con l’esperienza. Se è la macchina a dire cosa è cosa in una radiografia (anche perché ha un margine di errore più basso), un giovane radiologo non imparerà mai davvero a distinguere le immagini, perché avrà sempre la risposta pronta – e giusta al 99 per cento – del software).
Il prezzo della non-delega alle macchine
Cosa accade quando, invece, non deleghiamo alle macchine lavori faticosi, ripetitivi, pericolosi? Il prezzo è alto in termini di sicurezza del lavoro, della sua routinarietà e, conseguentemente, di senso e di utilità e qualità del lavoro stesso. Allo stesso tempo, da un lato l’IA può essere uno stimolo nella nostra spinta e proiezione verso il futuro, ma dall’altro non deve rappresentare né un benchmark né l’oggetto di una sfida.
Peraltro, non tutto è delegabile. L’IA ha un vincolo: riconosce tutte le azioni degli umani come qualcosa di “calcolabile”. Tutto ciò consente di definire il tipo di lavoro che dovremmo maggiormente sviluppare, quello in cui le nostre capacità sono incontendibili e non calcolabili da qualsiasi algoritmo o macchina pensante. La nostra unicità e irripetibilità sono, infatti, il risultato della nostra umanità, da cui derivano il nostro pensiero critico, laterale, strategico e la nostra dotazione di capitale semantico, cioè la nostra capacità di assegnare valore e significato alle cose.
La riscossa degli OperAi
L’intelligenza artificiale è ormai estremamente diffusa ed è molto alto il numero di macchine utensili, robot e dispositivi elettronici governati da algoritmi di IA, così come la gran parte dei software. L’intelligenza artificiale sta trasformando le mansioni lavorative e le occupazioni. Le analisi dei dati del mercato del lavoro in tutti i paesi convergono su un aspetto: la domanda assoluta e relativa di competenze relative all’IA è cresciuta in tutti i settori industriali e gruppi occupazionali e ora esplode nel lavoro “creativo”. I lavori che richiedono competenze di intelligenza artificiale hanno un differenziale salariale positivo dell’11 per cento rispetto a lavori simili che non ne richiedono. Tuttavia, l’IA è almeno tanto una sfida tecnologica e manageriale quanto e prioritariamente culturale e progettuale. I reali guadagni di produttività arriveranno solo quando ci saranno manager e soprattutto architetti del nuovo lavoro in grado di utilizzare l’IA per creare e acquisire valore attorno alla persona.
I tecnofobi ci hanno messo in guardia sulla sostituzione degli operai con i robot e, invece, oggi si scopre che un certo grado di manualità, “ibridato” con macchine evolute, rende l’occupazione umana meno sostituibile rispetto a molti lavori “intellettuali” e creativi. Nei mestieri della conoscenza stanno crescendo le preoccupazioni (saggisti, giornalisti, avvocati, copywriter, etc.), ma non tutto sarà sostituibile, spesso sarà “potenziato” o semplicemente cambierà.
Alcuni dati empirici per l’Italia (elaborati da S. Scicchitano, Inapp) evidenziano, già prima della pandemia, tra il 2010 e il 2018, una correlazione positiva tra le professioni esposte all’IA e quelle ad alto contenuto di attività cognitive. E una correlazione negativa, che sembra quindi far presagire uno spiazzamento, dei lavori routinari, sia impiegatizi sia manuali. Su questi ultimi è di grande interesse l’evidenza della solidità e della crescita di lavori manuali ad alto ingaggio cognitivo, quelli in cui il contributo della persona è ibridato con le macchine intelligenti. Lo stesso studio rileva, poi, che, nel nostro paese, le professioni più esposte all’IA, sono concentrate nelle regioni settentrionali, dove risiede gran parte della manifattura italiana. I nuovi OperAi sono lavoratori con un lavoro a forte ibridazione uomo-macchina che hanno consapevolezza di cosa far fare agli algoritmi e ai robot. Altro discorso invece per “gli OperAi del deep learning” che pre-addestrano gli algoritmi e di cui parleremo più avanti. Sono una parte dei numerosissimi “rider della conoscenza”, dove sta esplodendo il lavoro povero e senza tutele. Non consegnano cibo, scrivono articoli, libri, leggono, sintetizzano, sono dietro le quinte di molte tv, radio, giornali, case editrici.
Chi pensa che l’introduzione di questi algoritmi non riguarderà il proprio lavoro verrà deluso. Negli Stati Uniti l’Osservatorio sull’IA dell’Università della Pensilvania stima che l’80 per cento dei lavoratori americani vedrà il proprio lavoro (in tutto o in parte) modificato dall’intelligenza artificiale. Si creerà una polarizzazione molto marcata tra lavoratori, professionisti e aziende che usano a supporto l’intelligenza artificiale e chi la riterrà inutile.
Bisogna fare il punto, presto e periodicamente, utilizzando lo Standard internazionale Isco 2008, per comparare i risultati della potenziale esposizione all’IA delle 800 professioni rilevate in Italia da Istat, individuare quelle in dissolvenza e quelle di prospettiva, e intuire quelle completamente nuove
Le potenzialità dell’IA
Generalmente l’IA aumenta la capacità produttiva e la possibilità di gestire un quantitativo di lavoro più grande. Accelera la velocità d’esecuzione dei processi e porta anche a una riduzione del tempo per realizzarli. Significa anche eliminare le azioni ripetitive, noiose e alienanti e dedicare le persone a ruoli e mansioni più consoni agli umani. Inoltre, l’IA agevola un utilizzo più efficiente delle risorse naturali, riducendo in modo rilevante i consumi di materie prime e le spese di gestione senza deteriorare (anzi) la qualità del prodotto. Aumenta la sicurezza generale sul lavoro: minore prossimità con le macchine, maggiore integrazione e trasparenza dei processi produttivi, manutenzione predittiva di guasti, errori. In via generale, tutto ciò può rappresentare un volano (conveniente) per la crescita delle piccole e medie imprese. In ogni caso si stima che il mercato dell’intelligenza artificiale da qui al 2030 crescerà di 10 volte.
Gli algoritmi generativi
ChatGPT è uno dei più noti algoritmi “generativi”: non semplicemente un chatbot, ovvero quel software, di cui molti conoscono le applicazioni (spesso insoddisfacenti) in molti siti aziendali e app che prova a surrogare una conversazione per compiti di assistenza al cliente; né un motore di ricerca, ma piuttosto un’evoluzione delle tante applicazioni dell’intelligenza artificiale. E, come tutte le innovazioni, all’inizio, è molto lontana dalle promesse e dai miraggi stravolgenti degli annunci. Nell’estate del 2020 ne provai una prima versione e fu piuttosto deludente. Da non molto, però, contenuti e risposte sono veramente di buon livello, pertanto sempre meno distinguibili da quelli generati dagli umani. Il 30 novembre 2022 la sua ultima versione 3.5 è stata resa accessibile gratuitamente a tutti e il suo utilizzo è letteralmente esploso!
A pochi mesi dallo scorso autunno secondo l’AI score index 2023 dello Stanford Institute for Human-Centered Artificial Intelligence sono rilasciati algoritmi generativi da 32 aziende e due università, numeri che cambieranno rapidamente, l’AI è un terreno di grandissimi investimenti. Di questi, va sottolineato, al momento, uno solo è europeo, per la precisione, tedesco.
ChatGPT crea contenuti e sceglie quelli più statisticamente “verosimili” sulla base della capacità di mettere insieme le sequenze di parole. Non lavora a caso ma costruisce contenuti con altissima efficacia e con una collocazione sintatticamente corretta della sequenza delle parole. Non “sa”, dunque, se quello che scrive è “vero”. Immaginate, però, tutto questo avendo a disposizione le informazioni di Wikipedia, di tutte le library e le informazioni accessibili liberamente del web (a cui non è connesso). Se ieri ChatGPT3 utilizzava 175 miliardi di parametri, ChatGPT4 è sempre più potente con reti neurali gigantesche (e il numero di parametri ignoto). Le nuove versioni sono connesse a internet e ciò rende sempre più complesso il loro pre-addestramento (i contenuti “odiosi”, vengono depurati nelle risposte, filtrandone la selezione, etc.) dai nuovi operAi del deep-learning (lavoratori secondo il Time dal sud del modo collegati da remoto e sottopagati). Il pre-addestramento di questi algoritmi costa diversi milioni di dollari.
ChatGPT è, quindi, modello linguistico (LLM) che utilizza un algoritmo istruito su statistiche necessarie a determinare la probabilità che una determinata sequenza di parole si verifichi in una frase. In sostanza, uno strumento di generazione di linguaggio naturale attraverso un modello di linguaggio artificiale.
Fornisce spunti, genera mail rispondendo, al nostro posto, sulla base dello storico delle nostre risposte e di quelle degli altri, imparate durante l’addestramento, costruisce testi di articoli, poesie, contratti, sa fare sintesi, titoli; per le presentazioni – slides – bisogna usare programmi come ChatBCG o altri per fare audio, video o immagini. E’ in grado di aiutarci nel superare le barriere linguistiche e “apprende” a seguire lo stile di chi scrive. Non solo, sa programmare, scrive “codici”, cioè testi in linguaggio di programmazione (coding). Agevolerà la generazione di digital twin (gemelli digitali) e ci aiuterà a interfacciarci con le macchine.
Che cosa accade ai mestieri?
Cosa accade al nostro lavoro? Bisogna fare il punto, presto e periodicamente, utilizzando lo Standard Internazionale Isco 2008, incrociandolo con la classificazione CP2021, per comparare i risultati della potenziale esposizione all’IA delle 800 professioni rilevate in Italia da Istat, individuare quelle in dissolvenza e quelle di prospettiva, e intuire quelle completamente nuove. Dobbiamo puntare sul serio sulle competenze avendo chiare le tendenze in atto. Con questa consapevolezza diventa d’obbligo reinventare la didattica e i metodi di apprendimento.
L’intelligenza artificiale ruba lavori? Sì, tutte le innovazioni cancellano mansioni e competenze, ma ne richiedono di nuove (spesso in numero superiore). La grande trasformazione del lavoro evidenzierà in quale lavoro (costituito da compiti che pensiamo siano prerogativa umana), siamo in realtà inutili, e svilupperà quello in cui, al contrario, siamo realmente indispensabili. In fondo il lavoro è un’esperienza della condizione umana che deve avere un senso. La consapevolezza di fare qualcosa di “inutile” non realizza né fa fiorire nessuno. Difendiamo il lavoro in cui siamo inutili, o facciamo crescere il lavoro dignitoso, che ci fa crescere? Anche per questo servono centinaia di migliaia di architetti del lavoro.
E’ molto probabile che il mondo si dividerà in persone con capacità di utilizzo delle macchine e persone che le riterranno inutili. I primi utilizzeranno gli algoritmi come riferimento basico per poi integrare e scegliere aspetti che fanno veramente la differenza.
Sostituibilità o integrazione?
L’innovazione corre e si inizia a parlare di “sorpasso” ma rispetto alle capacità dell’intelligenza artificiale, la media degli esseri umani dove si pone? Proprio per valutarne la sostituibilità, ricordiamo sempre che l’IA non sa fare tutto e che anche le persone hanno abilità molto diversificate: secondo l’indagine Ocse del 2017 “Computers and the Future of Skill Demand”, solo l’11 per cento degli adulti era al di sopra del livello di abilità che l’IA è vicina a riprodurre. La gran parte è molto al di sotto. Tema che chiama in causa un ambito debole del nostro paese: la formazione e la riqualificazione professionale (reskilling) in particolare degli adulti.
Se usciamo dal campo della gara con le macchine iniziamo a comprendere le nostre capacità e abilità e verifichiamo su quale terrena giocare la vera sfida dell’umanità (con sé stessa). Un esempio? gli algoritmi generativi non sanno chi sia Italo Calvino, raccolgono informazioni su di lui, hanno la capacità di utilizzare tutti gli scritti disponibili ed elaborare un testo con lo stile di Italo Calvino. Sorprendente! La domanda è, quanti italiani sanno riconoscere un testo scritto con lo stile di Calvino? Come si posiziona l’umanità non deve servire a una competizione ma dedicare l’investimento su aspetti in cui la nostra umanità è l’elemento di incontendibilità con le macchine.
ChatGPT riconosce i suoi errori, simula delle scuse, nel mentre continua a “imparare”. Ci aiuterà a evidenziare, con più facilità, i “blablatori” in politica, nell’informazione, nelle imprese, nel sindacato e anche nel mondo dell’innovazione. La persona sarà sempre altro, molto di più di tutto ciò che è “calcolabile”
Che cosa non sa fare l’intelligenza artificiale?
Ma cosa resta agli umani? Scrivere le istruzioni correttamente, avere il risultato delle macchine come riferimento ma andare oltre. Reimparare a fare domande (prompt), sarà una competenza e un lavoro: creare e progettare davvero anche senza schemi di riferimento. Consapevoli, però, che le macchine stanno iniziando a imparare anche quello. E’ già possibile istruire ChatGPT a fornire prompt per altri servizi di intelligenza artificiale generativa, come ad esempio Midjourney, per farsi creare immagini fotorealistiche completamente inventate. Non sempre i prompt forniti sono allo stato dell’arte, ma ChatGPT riconosce i suoi errori, simula delle scuse, nel mentre continua a “imparare”. Ci aiuterà a evidenziare, con più facilità, i “blablatori” in politica, nell’informazione, nelle imprese, nel sindacato e anche nel mondo dell’innovazione. I finti “esperti” invitati nei talk.
Bisogna diffondere informazione, formazione e consapevolezza. Padroneggiare da subito tali processi ci darà forza ed eviterà che innovazioni come questa combinino guai. Soprattutto dobbiamo tener presente che il nostro valore non sarà mai riducibile al nostro livello di aggiornamento, di competenza o di “completezza”. La persona sarà sempre altro, molto di più di tutto ciò che è “calcolabile” – campo nel quale le macchine sono imbattibili. Per fugare le paure sul nostro progressivo senso di inutilità, dobbiamo recuperare e tenerci stretta la nostra capacità di dare senso alle azioni.
L’Europa, la politica e noi
La politica, in larga parte, è stata entusiasta del blocco (ora rimosso) di chatGPT da parte del Garante della Privacy perché nel dubbio, uno stop non si nega a nessuno. Il motivo? ChatGPT non garantisce il rispetto della normativa sul Gdpr. Nei giorni scorsi, il ministro per il Digitale del governo tedesco ha commentato: “Se tutti i paesi in Europa seguiranno l’esempio italiano, non svilupperemo alcuna applicazione AI. Quindi in futuro dovremo occuparci solo di sistemi cinesi e americani”. E aggiungo se la normativa sulla privacy è europea, è mai possibile che l’Europa insieme non sia in grado di dare (insieme) una regolamentazione?
Apprendiamo che l’Europarlamento si muoverà… Nel frattempo OpenAi (la società che ha generato ChatGPT) e il Garante della Privacy hanno trovato un accordo. In Europa c’è in ballo l’elaborazione del nuovo AI Act, (approvato in due commissioni del Parlamento Ue) che è un lavoro encomiabile fatto, tuttavia, con la lentezza di una politica sempre indietro di qualche puntata. Di buono c’è il principio di ricercare una intelligenza artificiale affidabile, sicura e antropocentrica. Cerca di occuparsi di privacy, di responsabilità civile e di governance. Poi però verticalizza l’impatto dell’intelligenza artificiale su alcuni aspetti, non capendo che in realtà l’impatto è sempre più orizzontale e trasversale alle attività, ai settori e agli aspetti della vita. Basti pensare che i commi che dovrebbero regolamentare modelli come ChatGPT sono stati frettolosamente inseriti in corso d’opera, quando era chiaro che l’IA generativa stava prendendo d’assalto il mondo. E se il sistema di OpenAI avesse visto la luce solo dopo l’approvazione del regolamento europeo? Quanto sarà davvero pronto al futuro l’AI Act?
Il rischio è tutelare cose importanti, solo nella forma. Il rischio è una traduzione pratica che sia poco più del “consenso informato”. Del resto, la nostra vita si divide in lavorare, dormire, mangiare e “accettare i cookie”. La politica è sempre un passo indietro rispetto alla realtà. Come immaginare di tassare e riscuotere il dovuto da una multinazionale big tech non lineare con gli stessi strumenti con cui si tassa una fabbrica metalmeccanica. In questo caso c’è troppo la sensazione di lavarsi la coscienza solo nella forma, nella sostanza, regolare un algoritmo generativo dinamico, come se fosse un database (un archivio statico). Per questo gli approdi sono talvolta il “blocco” o misure totalmente inutili e inefficaci...
Secondo, va bene la capacità europea di costruire regole. Ma l’Europa non può essere solo questo. Abbiamo scarsa sovranità tecnologica. Tra le prime 20 aziende al mondo nel settore IT abbiamo solo un’azienda: Sap, tedesca. Bisognerebbe osare di più. Ad esempio? Fare come si fece nella telefonia cellulare, partirono gli americani con dispositivi e protocolli. Poi l’Europa costruì uno standard: il Gsm e diventò lo standard globale, aiutando l’emersione di aziende europee (che purtroppo successivamente fecero clamorosi errori). Oggi? per le reti cloud abbiamo in Europa uno standard: “Gaia X”, potrebbe rappresentare altrettanto e invece continuiamo nell’illusione di avere il “cloud pubblico nazionale” che facilmente non sarà né pubblico né nazionale.
Altro errore: lo stop all’evoluzione degli algoritmi generativi potenti come ChatGPT per sei mesi. Provo a mettere da parte la mia diffidenza su tutte le ultime operazioni sostenute da Elon Musk. I firmatari si propongono di evitare il cortocircuito che si narra in “Terminator. Le macchine ribelli” (quando le macchine prendono il potere marginalizzando gli esseri umani e uccidendoli) e costruire nei sei mesi regole efficaci, perché ci si è accorti che gli algoritmi generativi stanno “sondando il loro potere”. Sono generalmente “trovate pubblicitarie”: lo stesso Musk poco dopo, ha annunciato una sua nuova azienda di intelligenza artificiale che realizzerà algoritmi generativi, con buona pace dello stop a gran voce richiesto solo pochi giorni prima.
Le regolamentazioni, specie le più rigide se scollegate dalla realtà (a rapida evoluzione), sono spesso, totalmente eluse. Servono se dimostrano una qualche efficacia, ma la consapevolezza diffusa è una pre-condizione. In una fase come questa la Rai ci fa vedere “Techetè” e i programmi sull’innovazione sono saltuari e dopo le 23.30 o in rare e bellissime trasmissioni radio. E poi questo stop semestrale chi coinvolgerebbe? Sarebbe un assist eccezionale alle autocrazie (Cina, Russia, etc.) che non rispetteranno mai (sostanzialmente) alcun vincolo.
Nuova umanità e nuova politica
Nei contenuti ChatGPT e successivi saranno una vera insidia per i politici che fanno gli elenchi della spesa, che curano più il politicamente corretto, che ripetono a pappagallo parole che non hanno vita. Che non hanno curato il loro capitale valoriale e semantico (l’unico, molto umano, capace di assegnare un senso e una finalità alle azioni, all’iniziativa politica).
Questo 2023 è l’anno europeo delle competenze e il centenario della nascita di don Lorenzo Milani e il cinquantenario della conquista delle 150 ore nel contratto dei metalmeccanici. Quello che portò un milione di lavoratrici e lavoratori a conseguire il diploma. Nel 2016 la stessa categoria conquistò il diritto soggettivo alla formazione. Nell’Italia di oggi crescono dispersione e abbandono scolastico e abbiamo il record negativo per il più basso numero di laureati d’Europa. Come dice l’Ocse siamo intrappolati in un “low skilled equilibrium” (livello di competenze: medio basso). Riformare il percorso di istruzione e formazione dovrebbe essere il “minimo sindacale”.
Bisognerebbe fare veramente le riforme e invece i tecnofobi e gli impresari della paura terranno banco. Sia chiaro, la paura è una risposta, un sentimento naturale. Il guaio è che paralizza. Paralisi affascinante ma che non aiuta a costruire risposte all’altezza. E soprattutto non ci aiuta a combattere realmente i rischi e a esaltare e diffondere le opportunità dell’innovazione. Prima di tutte, la costruzione della nuova umanità nella speranza di una migliore condizione umana.
Del resto Giuseppe Ungaretti diceva che “la poesia è una combinazione di vocali e di consonanti, nella quale è entrata una luce. Dal grado di questa luce si riconosce la verità della poesia, quando la poesia è tale raggiunge l’irraggiungibile e mette a contatto le parvenze con la sola realtà che è la realtà eterna”. Alcuni leggono solo la sequenza di parole (come e peggio di ChatGPT), altri sanno riconoscere quella luce.