Nuovi equilibri
Il ritorno di Zuck. I guai di Twitter & Co. fanno risorgere il capo di Meta
TikTok? Che guai. Telegram? Che fake. Twitter a guida Elon Musk? Che deliri. Zuckerberg e la fine della mostrificazione di Facebook
Avete presente la figura che fa spesso Giorgia Meloni di fronte a Matteo Salvini? Ecco. C’è stato un tempo in cui per Mark Zuckerberg le cose non sembravano mettersi affatto bene e c’è stato un tempo in cui ogni occasione era buona per demolire la reputazione dell’inventore di Facebook. Era il tempo, quello, in cui Facebook veniva considerato come la feccia dell’universo. Era il tempo, quello, in cui per Zuckerberg i guai erano all’ordine del giorno. Ed era il tempo, quello, in cui Facebook finì nell’occhio del ciclone per almeno tre ragioni imbarazzanti. Nel 2018, si scoprì che Cambridge Analytica aveva raccolto i dati personali di 87 milioni di account facebook senza il loro consenso e li aveva usati per scopi di propaganda politica. Nello stesso periodo, a cavallo dell’elezione di Donald Trump, Facebook venne accusato di essere un’arena di hater, un terreno fertile per la diffusione delle fake news e una società pronta a trasformare anche le menzogne in una formidabile occasione di traffico per creare indotto. E negli ultimi anni è successo spesso che Facebook, costretto nel frattempo a rifarsi il trucco trasformandosi in Meta, sia stato accusato da diverse autorità antitrust di avere una posizione di indebito vantaggio nel mercato pubblicitario grazie alla profilazione dettagliata degli annunci dei suoi inserzionisti.
C’è stato un tempo in cui l’immagine di Zuckerberg si è rapidamente trasformata da re dei social a re della feccia. Ma negli ultimi tempi, negli ultimi anni, negli ultimi giorni, qualcosa è cambiato. E il crollo della reputazione dei social rivali ha avuto l’effetto – clamoroso – di trasformare il nuovo Facebook, nel frattempo popolato sempre più da ex giovani divenuti inevitabilmente boomer, in un simbolo assoluto di democristianità digitale e in un argine inaspettato contro le molteplici sfumature di estremismo veicolate dai competitor. Pensate al caso di TikTok, rivale di Facebook, accusato dal governo francese di aver fatto da cassa di risonanza della violenza nelle banlieue, che Stati Uniti, Canada, Inghilterra e Unione europea hanno vietato ai propri dipendenti pubblici, a causa di problemi di sicurezza informatica legati alla vicinanza tra la proprietà di TikTok e il governo cinese. Pensate al caso di Telegram, che per stessa ammissione di uno dei suoi fondatori, il russo Pavel Durov, per molto tempo è stato, all’interno del conflitto in Ucraina, “una fonte continua di informazioni non verificate, dato che Telegram non ha la capacità fisica di verificare l’accuratezza di tutti i messaggi pubblicati sui canali”. Pensate poi al caso di Elon Musk, naturalmente. Da quando Elon Musk ha acquistato la piattaforma social, l’anno scorso, Twitter, oltre ad aver licenziato circa l’80 per cento dei quasi 8.000 dipendenti che Musk ha ereditato, ha prima cambiato il servizio modificando l’algoritmo che decide quali post sono più visibili, poi ha eliminato le regole di moderazione dei contenuti e infine ha aumentato le restrizioni all’utilizzo di Twitter senza abbonamento.
Generando una fuga dal suo social (tre giorni fa Bluesky, un social network simile a Twitter, ha annunciato la sospensione temporanea delle nuove iscrizioni per risolvere problemi di prestazioni generati dall’inusuale incremento di iscrizioni successivo alle limitazioni introdotte da Musk) e spingendo lo stesso Zuckerberg a sfidare non solo metaforicamente Musk (la bizzarra idea che il Colosseo potesse ospitare un incontro di arti marziali fra Elon Musk e Mark Zuckerberg era ovviamente una bufala) ma anche nella realtà introducendo, come farà oggi, una nuova piattaforma di solo testo, agganciata a Instagram (di proprietà di Zuckerberg, che in tutto, tra Facebook e Instagram, ha in mano qualcosa come 3,8 miliardi di utenti), nata con l’esigenza esplicita di raccogliere i cocci lasciati sul terreno da Musk con Twitter.
“La gestione irregolare di Twitter da parte di Musk”, ha scritto ieri l’Economist, “fa sembrare la gestione di Meta di Zuckerberg un modello di buon governo”. I problemi per Zuckerberg ovviamente restano (negli ultimi mesi, Meta ha licenziato circa 20 mila persone, gli investimenti sul metaverso restano ancora privi di uno sbocco sul mercato, la Facebook Dating da poco introdotta resta poco amata, le iniziative di gioco e shopping dell’azienda, come nota sempre l’Economist, devono ancora decollare). Ma di fronte a quello che è “il proprietario più autodistruttivo di un’impresa multimiliardaria che ha scelto di trasformare i clienti che hanno determinato il successo di un’impresa in nemici della stessa impresa”, come raccontato due giorni fa al New York Times da Lou Paskalis, fondatore e amministratore delegato di Ajl Advisory, un’azienda di marketing e società di strategia di tecnologia pubblicitaria, Facebook oggi ha visto ridotto il suo tasso di mostruosità, gode di una nuova reputazione e forse non sbaglia chi dice che tra Musk e Zuckerberg c’è lo stesso rapporto che c’è tra Salvini e Meloni: a volte basta la presenza del primo per trasformare il secondo in un gigante. Bentornato, vecchio Zuck.