Cira, l'innovazione che cambia l'Italia
Un ponte verso il futuro. Al Centro italiano ricerche aerospaziali di Capua si mettono a punto i sistemi per ridurre l’impatto ambientale dei velivoli e aumentarne la sicurezza. E si sviluppano le tecnologie per il volo nello spazio
Speriamo di farvi vedere prima di tutto il territorio, l’insieme di riferimento, là dove è stato costruito nel 1984 il Cira, cioè il Centro italiano ricerche aerospaziali, un’eccellenza italiana che più innovativa in Europa non ce n’è. Sì, va bene, ha sede a Capua, cittadina piccola, niente male, accarezzata dal Volturno, che spero un giorno voi vagabondi in cerca di prodotti tipici e saporiti, possiate visitare, non fosse altro per il Museo Campano, splendido luogo museale, quanto sconosciuto ai più, che conserva alcune statue che solo qui trovate, e cioè Le madri, una celebrazione del mistero della vita e dunque della maternità, considerata allora un dono divino. Però il territorio intorno, quello che circonda Capua e si spinge fino ad Aversa è noto ai tecnici e ai nativi come i mazzoni: etimologia difficile, ci si perde in congetture. Tuttavia, la cosa certa è che questo terreno argilloso scuro, duro, spesso imbevuto d’acqua, dunque complicato da lavorare, questo terreno – dicevamo – deriva da un acquitrino, anzi da una palude, e prime delle bonifiche era abitato da tipi arcigni. Che vuoi fare? l’isolamento e la miseria nei secoli avevano trasformato questo pezzo di territorio in una terra di nessuno. Molto violenta. E qui – si diceva – gli uomini sono retrocessi a livello di una tribù con usi e costumi brutali. In vecchio documentario della Rai gli autori, alla ricerca delle bufale, raccontavano questo territorio somigliante al far west, sì, proprio un far west casertano, un luogo così malsano che pure i cavalli impazzivano e gli uomini appresso a loro. Un luogo dove gli unici animali che invece vivevano bene (negli acquitrini) erano le bufale. Un luogo da cui arrivavano leggende o voci inquietanti. Per esempio: gli abitanti sparavano, e tanto e bene anche. Quando all’inizio del secolo, arrivò il circo di Buffalo Bill e lui in persona sfidava tutti a tirare con la pistola e il fucile, ebbene, qui, nei mazzoni, ebbe problemi: perse su tutta la linea. Un far west casertano, non raccontato da nessuno, tranne che dalla vox popoli, dove i mandriani vivevano per mesi e mesi isolati dal mondo, quindi smettevano di parlare e si esprimevano con grida e fischi. Chiaro poi che l’unica legge promossa a modus vivendi, era tipo il braccio violento della vendetta: e infatti, per un nonnulla, si incendiano i covoni dei vicini o si tagliano i garretti agli animali (un modo per regolare i conti).
In un territorio così che innovazione volete che si sia? Chi ci mette i soldi? Per calmare i mandriani, per soffocare i fischi e le grida e gli spari? In effetti la tentazione è quella di sempre: lasciar perdere i mandriani e le bufale al loro destino, e invece siccome ci sono anche sapiens fissati e passionali, col tempo sai (diceva Ferrè) tutto scompare, anzi a ben vedere spesso migliora. Infatti le bufale sono diventate una grande risorsa, e il loro prodotto più noto, la mozzarella, quasi una fede, oltre che un vanto per tutti, un formaggio a pasta molle diventato un gift che molti casertani portano come un gioiello imbellettato nel polistirolo in giro per il mondo. E poi si esaltano nel vedere le persone assaggiare la mozzarella e andare in trance che altro che soliti allucinogeni, e sussurrare poi di conseguenza versi di piacere che li puoi campionare e farli andare in loop, una base che un dj, stile Joseph Capriati (il dj casertano più famoso al mondo), potrebbe usare con stragrande successo per le sue serate.
Ecco, in questo luogo, una volta selvaggio, su questa terra con caratteristiche anomale, abbiamo piantato le fondamenta del Cira e con i piedi ben piantati possiamo inarcarci verso il cielo: uno slogan per pubblicizzare il Centro italiano ricerche aerospaziali potrebbe essere dal letame alle stelle, e ritorno. Perché dài, è ora di finirla con questi vezzi, tipo insultare i contadini, con l’adagio: braccia strappate all’agricoltura. E’ ora di smetterla perché chi insulta non sa nemmeno la differenza tra vanga e zappa e ignora, preso com’è dai lussi e dagli ozi culturali, che il letame (e la terra che lo contiene) è il punto di vista privilegiato per guardare le stelle. Far viaggiare sopra le nostre teste satelliti e aerei non è solo un vezzo della modernità, o lo scherno dei tanti che amano la decrescita e invocano per gli altri il pauperismo, ma un movimento fondamentale, prima di tutto per cambiare il punto di vista: difatti, vedere il mondo dall’alto sollecita un sentimento di protezione del mondo stesso. Ma quel punto di vista è necessario per collaudare a terra cosa può succedere in cielo, dunque l’unico modo per proteggere noi stessi quando viaggiamo. Se tra terra e cielo non c’è comunicazione, si perde la tensione dell’arco, si perde anche, a dirla tutta, la legge morale dentro di me e le stelle sopra di me: ecco il Cira è lo strumento privilegiato che abbiamo in Italia per rendere elastico ed efficiente l’arco. Cosa fa in pratica il Cira? Il centro, sottolineiamolo, una società a prevalente partecipazione pubblica (i soci sono: con oltre il 52 per cento il Cnr, con il 16 per cento la regione Campania con il consorzio Asi, poi ci sono le società private tra cui Leonardo, Thales Alenia Space Italia), ha come obiettivo quello di attuare il piano nazionale di ricerca con fondi pubblici. Per farlo il Cira ha accumulato la più grande dotazione di infrastrutture di ricerca in campo aerospaziale presente in Italia, con impianti di prova specialissimi e laboratori all’avanguardia utilizzati da enti e industrie di tutto il mondo. Quindi, se con l’aereo sorvolate i mazzoni sappiate che quella struttura futuristica che vedete dall’alto, quel biancore che spicca tra l’argilla e i paddock delle bufale, tra i regi lagni e le vecchie storie di mandriani e le più recenti di camorra, quella struttura è il Cira. E non solo protegge qui e ora la vostra sicurezza in volo, ma anche vi consente di toccare certe vette culturali che se non aveste i piedi ben saldi per terra mai potreste toccare. Qui al Cira una eccellenza di ricercatori – 350 persone, prevalentemente ingegneri ma anche matematici, fisici, chimici, 350 persone di cui oltre 100 con dottorato, non tutti giovanissimi eh, ma sapete com’è, c’è grande concorrenza, e dall’estero offrono stipendi più alti (giusto per incorniciare l’anomala situazione, in Germania lo stipendio è 2,5 volte più alto) – insomma un’eccellenza italiana di ricercatori (che spesso restano qui per passione e libertà di ricerca, non certo per soldi), uomini e donne studiano se e come i velivoli aeronautici e spaziali riescono a volare in modo autonomo e a velocità elevatissime. Mettono a punto i sistemi innovativi per ridurre l’impatto ambientale dei velivoli, aumentare la sicurezza del volo, rendere più efficiente la gestione del traffico aereo e sviluppare tecnologie abilitanti per i futuri sistemi di trasporto spaziale.
Esaminiamo allora le vette culturali che il Cira ci fa consente di scalare. Per farlo concentriamoci sulla terra: la forza del Cira è il suo enorme patrimonio impiantistico, che è patrimonio pubblico. Prendiamo l’Icing Wind Tunnel, una delle più grandi gallerie del vento al mondo per prove aerodinamiche in presenza di ghiaccio. Qui, in questa galleria si testa, per esempio, il comportamento dell’ala dell’aereo quando ci sono delle gocce di acqua, ebbene, l’Iwt è l’unico impianto al mondo in grado di simulare contemporaneamente quota, umidità e temperatura. Oppure consideriamo il Plasma Wind Tunnel. Ce ne sono due e quello del Cira è il più grande del mondo, voglio dire, più grande di quello della Nasa, utilissimo a simulare il rientro dallo spazio dello shuttle (infatti in questo tunnel ci entra tutto il muso dello shuttle). Prendete la sala insonorizzata, dove c’è un isolamento totale dei rumori – sì si va bene, provate a starci un minuto, vedete se poi cantate ancora con malinconia e commozione “The Sound of Silence” – in questa sala è di casa anche la Ferrari, la usa per testare il rumore assoluto del motore – poi in realtà voleva anche riprodurre questo suono per creare una musica coordinata con quel suono, e va bene, queste sono curiosità. A proposito di suoni. Pensate a qualcosa di innovativo, come il volo senza pilota. Qui la questione non è tanto la sicurezza, ma il rumore, sì, il rumore è uno dei principali limiti dei veicoli senza pilota, dei droni per esempio. Se non c’è un impianto che permettono di studiare l’acustica, non possiamo poi nemmeno sperimentare veicoli che volano sopra le nostre teste alleggerendo il traffico di terra.
Voi dite: ok, il volo, lo spazio, ma è solo questo? In realtà, al Cira si testa il futuro, perché una cosa è parlare di transizione, di green, e farsi belli durante i convegni, posizionarsi come influencer così da essere poi chiamati dagli autori televisivi a partecipare agli annosi e inquinanti dibattitti, una cosa è testare e misurare invece i suddetti concetti, come green e transizione. C’è bisogno di una impiantistica utile allo scopo. Al Cira c’è. Lo sappiamo no, il trasporto aereo è tra le cause inquinanti, produce tra il 2 e il 3 per cento delle emissioni. Sappiamo che c’è un forte impegno dell’Unione Europea (Green Sky) per la riconversione a idrogeno o energia elettrica. Sappiamo che qualcuno di noi chiede di fare in fretta e per farlo rallenta il traffico veicolare con orribili cartelli di plastica e slogan d’occasione, (l’Italia sta lavorando molto sull’energia elettrica, perché è forte nell’elicotteristica) ebbene al Cira si testano le varie possibilità. Francia e Germania, per esempio, stanno lavorando molto sull’idrogeno, e l’Italia anche dovrebbe lavorarci, perché ci sono approfondimenti su idrogeno per navi e settori industriali. Ci sono delle idrogen valley che si stanno aprendo in Friuli, nel Lazio, ma nessuno di questi progetti è per il trasporto aereo: ebbene, qui ci sono gli impianti per testare le novità del settore aeronautico, qui possiamo dire prima di tutto se un’altra energia è possibile, e poi quanto costa e come renderla efficiente. Qui possiamo farlo, perché poi la transizione è roba di matematica, fisica, ingegneria, meccanica, mica solo roba da laureati in filosofia che ci incitano bloccando il traffico.
Infine, al Cira si può osservare la Terra. C’è un progetto per osservare la Terra da distanze meno elevate rispetto al satellite, più l’orbita è bassa (certo è più onerosa), meglio vedi. Un’applicazione utile? La terra dei fuochi, per esempio. Vedendo da distanze meno elevate lo spettro cromatico del terreno, si possono individuare con maggiore certezza il luogo dove sta iniziando un processo di inquinamento, puoi intervenire per tempo, è un progetto sperimentale. Tutto questo lo possiamo estendere in altri ambiti. Certo, abbiamo il sistema Galileo, cioè il sistema globale di navigazione satellitare che fa da supporto, ma non basta, perché per avere la visione di certi fenomeni, come incendi e inquinamento, è necessario avere più immagini da diversi punti di vista. Dunque, alla fine, se passate per Capua e vi inoltrate per i mazzoni, se dopo aver visto le madri al museo campano, assaggiato la mozzarella, felici, alzate gli occhi al cielo, ebbene sappiate che quello sguardo è più teso e inquieto perché al Cira lavorano per rendere migliori e più sicuri i voli, non solo con la fantasia. Insomma, al Cira si cerca di capovolgere la massima kantiana: per una nuova morale ci vogliono le stelle sopra di noi.
Ha collaborato Valeria Cecilia