tempi che cambiano
Il nuovo mondo post 2007. Con lo smartphone siamo diventati tutti soggetti attivi di scrittura pubblica
Da allora, da quando cioè venne immesso sul mercato il primo “telefono che non è telefono, sta accadendo qualcosa che era impossibile potere prevedere. Ecco la grande novità politica del Web
Nel 2007 viene immesso sul mercato il primo “telefono che non è telefono” che si chiama smartphone. Da allora sono passati appena sedici anni. Pochi. Eppure quella data è l’inizio di una straordinaria rivoluzione culturale che ha cambiato e continua a cambiare radicalmente il modo di stare nel mondo dell’umanità. La novità si chiama modo digitale di stare nel mondo e coinvolge non solo chi usa smartphone e apparati simili ma anche chi non li ha mai usati. Per avere una idea del tipo di oggetto che è lo smartphone che teniamo in tasca tenete conto che la capacità di calcolo e di memoria dell’esemplare più scadente è molto superiore alla capacità di calcolo e di memoria dei computer che gli americani hanno usato per andare nel 1969 sulla Luna.
Ci vorrà del tempo per capire le reali novità della rivoluzione in corso. Può aiutarci un confronto con le altre poche rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato radicalmente il modo di stare nel mondo dell’intera umanità e che hanno provocato innovazioni nelle istituzioni socio-politiche. Queste rivoluzioni sono tre: (A) la scrittura alfabetica; (B) la stampa; (C) la radio-televisione. Esaminiamole velocemente.
(A) Grazie alla scrittura alfabetica le regole della convivenza non sono più depositate nella memoria di un gruppo ristretto di individui (sacerdoti e sapienti) ma diventano stabili e controllabili in linea di principio da tutti. E’ la condizione tecnologica minima perché possa nascere l’embrione dell’assetto istituzionale che si chiama democrazia. La polis greca è inconcepibile senza la scrittura alfabetica. E’ la prima rivoluzione tecnologica della comunicazione. Ha suscitato accesi dibattiti e, curiosamente, ha inizialmente incontrato la stessa ostilità che sarà riservata alle successive innovazioni tecnologiche. Platone ce ne ha lasciato un documento nel Fedro. Qui si trova un dialogo istruttivo tra due personaggi mitologici: Theuth, inventore della scrittura alfabetica, e il re egiziano Thamus. E’ un testo che parla anche di noi. Riassumo la sostanza del dialogo.
Theuth spiega a Thamus i benefici per la collettività della invenzione. Gli argomenti sono due: con la scrittura alfabetica (1) la memoria si amplia, (2) tutti potranno accedere al sapere. Tradotto nella nostra terminologia: il sapere filosofico e scientifico non apparterrà più in forma esclusiva all’élite.
Il re Thamus non è d’accordo e obietta: stai attento caro Theuth, con la scrittura gli uomini si abitueranno a ricordare e pensare a partire da segni che stanno fuori dalla loro mente e il loro sapere diventerà anonimo e meccanicamente ripetitivo; il risultato è che perderanno la memoria autentica e il loro non sarà un vero sapere ma un sapere apparente e illusorio; gli uomini diventeranno ignoranti che presumono di conoscere. Dal momento che il loro sapere non è il risultato di una ricerca personale “sarà difficile discutere con loro [= gli alfabetizzati], perché saranno istruiti immaginari [doxosófoi ‘sapienti di opinioni’] piuttosto che realmente sapienti [sófoi]”.
Gli argomenti di Thamus, nei quali Platone si riconosce, vedremo che sono molto simili a quelli che saranno usati da chi osteggerà le successive rivoluzioni tecnologiche nell’ambito della comunicazione, rivoluzione digitale inclusa.
(B) La seconda grande rivoluzione è stata l’invenzione della stampa a caratteri mobili fatta da Gutenberg. Siamo a metà del XV secolo. Grazie a quell’invenzione chiunque sapesse leggere poteva portarsi la Bibbia nella saccoccia, consultarla quando voleva saltando l’intermediazione di un interprete-sacerdote. Senza Gutenberg non ci sarebbe stata la Riforma protestante, non ci sarebbero stati i giornali, non ci sarebbero stati i libri a basso costo come li conosciamo, non ci sarebbe stata quella che chiamiamo opinione pubblica, eccetera. Con la tecnologia gutenberghiana nasce il mondo moderno. Non a caso sarà inizialmente contrastata dalla Chiesa e dalle monarchie gelose del loro potere.
L’argomento di chi è contrario alla nuova tecnologia è simile a quello usato da Thamus contro Teuth: la tecnica a basso costo della stampa a caratteri mobili fornisce a tutti un sapere che, non essendo controllato e spiegato da interpreti competenti, è un falso sapere e, per questo, diventa socialmente pericoloso. Per fare l’esempio dibattuto negli anni della Riforma protestante: i sacri testi, secondo i Thamus cattolici del Quattro e Cinquecento, non possono essere capiti bene senza una guida autorevole.
(C) La terza rivoluzione, più recente, è la radio. Siamo agli inizi del Ventesimo secolo. Con la radio qualcuno può parlare tra quattro mura di una stanza ed essere ascoltato contemporaneamente in tutti gli angoli del Paese. Il potere politico si impossessa subito dello strumento: Mussolini, Hitler, Roosevelt, Churchill, Stalin grazie alla radio sono in grado di raggiungere istantaneamente i loro rispettivi popoli. Le democrazie di massa, quelle totalitarie e quelle liberaldemocratiche, nascono anche con la radio.
La televisione, da questo punto di vista, è una continuazione e un perfezionamento della radio. Non è una rivoluzione comparabile a quelle della scrittura alfabetica, della stampa a caratteri mobili e della radio.
I critici di radio e televisione ripeteranno gli argomenti di Thamus contro Theuth: gli ascoltatori della radio e gli spettatori della televisione si lasciano ammaliare da discorsi e immagini che non hanno modo di controllare e per questo credono di sapere ma non sanno. Nel lessico di Platone: sono sapienti immaginari piuttosto che veri sapienti.
Dopo la scrittura alfabetica, la stampa e la radio-televisione il digitale è la quarta grande rivoluzione tecnologica nel campo della comunicazione umana. Quali sono le vere novità politico-sociali del digitale? Individuarle è prioritario. Anche se non è facile. Comincio con la dichiarazione, citatissima, che Eco fece nel giugno 2015 meno di un anno prima della morte:
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”.
Non sono argomenti molto dissimili da quelli che Platone nel Fedro metteva in bocca al re egiziano Thamus contro l’inventore dell’alfabeto Theuth. Dare dell’imbecille a chi usa i social media è sbagliato e non all’altezza delle numerose analisi echiane dei massmedia. E però Eco, sbagliando, individua un tratto indubitabile dell’universo digitale. Lo si può formulare senza ricorrere alla categoria fuorviante dell’imbecillità. Provo a dirlo.
Sta accadendo qualcosa che era impossibile potere prevedere. Con la strumentazione digitale tutti, proprio tutti (colti e incolti, Premi Nobel e zotici frequentatori di bettole), siamo diventati soggetti attivi di scrittura pubblica. Capita per la prima volta nella storia politico-culturale dell’umanità.
Prima dell’èra digitale la scrittura degli analfabeti o semianalfabeti era solo privata e dettata da necessità esistenziali: le lettere degli emigrati e dei soldati dal fronte della Grande Guerra ne sono l’esempio più conosciuto. Oggi chiunque può usare la tastiera dello smartphone per scrivere e diffondere la sua opinione su un qualsiasi evento politico e sociale. Che poi questa opinione sia la ripetizione, spesso maldestra, di opinioni orecchiate è questione secondaria. Il fatto importante è che ciascuno grazie allo smartphone o un tablet può intervenire per iscritto nel dibattito pubblico. Prima dell’epoca digitale la scrittura pubblica era riservata solo a pochi addetti ai lavori.
Siamo tutti diventati soggetti attivi di scrittura pubblica. Ecco la grande novità politica del Web. Con essa chi ha a cuore la liberaldemocrazia deve fare i conti rifuggendo da ogni giudizio moralistico. E’ una novità ancora tutta da studiare. Gli argomenti di Platone e Eco non aiutano.
Accenno ad un secondo errore molto ripetuto da chi è nato in epoca pre digitale. Si dice che il popolo digitale non argomenta ma usa i like. Quale sarebbe la differenza tra un like e un argomento?
Il like è una relazione gerarchica tra chi propone una tesi o un’immagine e un soggetto che approva (I like), l’argomento è fatto di ragionamenti che sollecitano altri argomenti e contro-argomenti all’infinito. Il like sarebbe una relazione emotiva e verticale, l’argomento una relazione razionale e orizzontale. Risvolto politico della questione: il like sarebbe il pilastro portante di una democrazia tendenzialmente totalitaria e autoritaria fondata sul consenso e poca attenta al dissenso; sull’argomentazione e contro-argomentazione poggia invece la democrazia liberale e rappresentativa.
L’opposizione tra like e argomento è epistemologicamente corretta ma sociologicamente fuorviante. Fuorviante perché fa pensare che nell’epoca pre digitale gli umani fossimo tutti raziocinanti e raffinati argomentatori. Il che è palesemente falso. Per fare un esempio noto pensate alla risposta gridata Crucifige! Crucifige! del popolo ebraico all’argometazione di Pilato secondo il racconto dei Vangeli: “Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui l’accusate”. Tra il Crucifige! e il like non c’è alcuna differenza sociologica: in entrambi i casi si ubbidisce a una credenza che non si ha voglia di mettere in discussione.
L’opposizione tra scelta argomentata e scelta emotiva espressa in like è fuorviante perché trascura il fatto che ogni like ha in sé incorporata un’argomentazione. Il fatto che il soggetto che seleziona l’icona del like possa non essere in grado di argomentare in maniera chiara è irrilevante. Sa che c’è qualcun altro che sa farlo al posto suo e che merita la sua fiducia. Sul lato opposto, un argomento che non sa suscitare adesioni emotive è politicamente sterile.
Chi ha a cuore la democrazia liberale fondata sull’argomentare e controargomentare deve preoccuparsi piuttosto di esplicitare la catena argomentativa che è racchiusa in un like e controargomentarla non trascurando il suo côté emotivo. La circolarità di argomenti e emozioni è la matrice di ogni convivenza socio-politica. La tecnologia digitale non inventa il principio ma produce un ambiente inedito in cui praticare la circolarità.
Mi soffermo su altri aspetti, inquietanti e tra loro complementari, della rivoluzione digitale. Comincio con una coppia di tratti del tutto nuovi nella storia dell’umanità.
(a) Tracciabilità. Chi usa un qualsiasi apparato digitale lascia traccia della propria presenza e dei propri movimenti. Da qualche parte si trova registrata la storia dei nostri contatti, dei nostri consumi, delle nostre preferenze politiche, culturali, sessuali.
(b) Proprietà degli algoritmi. Alle tracce che disseminiamo usando smartphone et similia possono accedere solo e soltanto i proprietari degli algoritmi che amministrano le varie applicazioni che ci consentono di navigare gratuitamente nel mare magnum della Rete.
La mente va subito al Grande Fratello del romanzo 1984 di Orwell. E’ un esito possibile. Il comunismo capitalistico (mostruosità concettuale se visto con occhiali novecenteschi) della Cina sembra indirizzato verso quell’esito. Data l’irreversibilità della rivoluzione, la sfida del futuro è costruire un esito liberaldemocatico del digitale. Impresa non facilissima ma ineludibile.
Gli algoritmi sono beni immateriali. Ecco un’altra delle novità politiche dell’universo digitale: i proprietari degli algoritmi, che altro non sono che formule matematiche, detengono un potere superiore, molto superiore, a quello dei proprietari delle multinazionali che producono beni materiali. Eppure la proprietà degli algoritmi non è un tema del dibattito politico contemporaneo. Meriterebbe di diventarlo.
Se ai due tratti indicati se ne aggiungono altri due il quadro politico diventa ancora più complicato e inquietante.
(c) Anomimato. Stando nella Rete è relativamente facile esprimere opinioni e/o mettere in circolazione informazioni, vere o verosimili o false poco importa, sotto falsa identità.
(d) Porosità dei tradizionali confini degli Stati nazionali. Con falsa identità è relativamente facile immettere in una comunità nazionale informazioni, false e/o verosimili, stando in un luogo remotissimo giuridicamente non raggiungibile dalle autorità dei singoli Stati nazionali. I casi delle intrusioni russe tramite web nelle ultime elezioni presidenziali americane sono solo l’inizio di un nuovo capitolo della storia mondiale. Gli stati nazionali scoprono che a causa del digitale non sono più padroni a casa propria.
I tratti qui elencati formano un panorama politico del tutto inedito che abbiamo difficoltà a capire. C’è da studiare molto nel prossimo futuro. E soprattutto bisogna stare con gli occhi aperti per non disperdere la grande rivoluzione politica della liberaldemocrazia che racchiude il meglio della nostra cultura occidentale.