Il Foglio sportivo
Football manager e gli allenatori nel pallone digitale
Il videogioco manageriale ci piace perché è reale quanto il calcio giocato negli stadi
Accade praticamente ogni anno, a inizio stagione: una squadra che nessuno si filava, si trova in una posizione più che buona, vicina alla qualificazione alle coppe europee. È in quelle occasioni che, tra amici appassionati di calcio, c’è sempre chi se ne esce con la frase vabbé tanto non regge, siamo mica in Football manager. È in quel momento che il calcio reale, quello che si vede allo stadio o in tivù, inizia a perdere d’interesse e l’attenzione si concentra su quello irreale, o meglio digitale. E si inizia allora a ricordare e a raccontare di quella volta che con la Triestina, la Sambenedettese, il Barletta o qualche altra squadra X si è riusciti a conquistare prima la promozione in Serie B, poi in A e infine a vincere una Coppa Italia, addirittura uno scudetto o una Champions League. Sono racconti straordinari, di rivalse sportive di “elevatissimo” impatto storico. Sono storie, tutte più o meno vere, tutte comunque godibilissime, perché hanno come tema quella che pigramente viene chiamata “favola” nei giornali e nelle tivù, ma che è invece solo rivalsa del piccolo nei confronti del grande, una riedizione calcistica della rivoluzione francese, alla testa della quale si è noi allenatori da videogioco nei panni di Robespierre. Soprattutto è il modo di dimostrare a noi stessi che non si è davvero dei nerd, che è pieno di gente con vizi privati e pubbliche virtù e che questi vizi privati non sono poi così socialmente inaccettabili.
È da trent’anni che Football manager esiste (anche se tra il 1993 e il 2004 si chiamava Championship manager). È da trent’anni, il 6 novembre uscirà FM 24, che ci sono milioni di giocatori in tutto il mondo che generano narrazioni sportive incredibili, digitali eppure realissime. È da trent’anni che generazioni di giovani e meno giovani ci giocano perché in fondo fare l’allenatore è qualcosa che piace e che, almeno una volta nella vita, ci si è trovati a criticarne uno, accusarlo di non capirci una mazza.
FM è molto semplice e proprio per questo infinitamente complesso: è un gioco nel quale tu sei l’allenatore, hai la possibilità di gestire tutto, ma proprio tutto – anche contrattare con la dirigenza di allargare lo stadio – in una squadra, dal mercato agli allenamenti, e devi cercare di vincere. Non lo fai con l’abilità di gioco come in Fifa (ora EA Sports FC 24) o Pes (ora eFootball) ma con la capacità di gestione di una squadra.
È soprattutto sempre uguale a sé stesso, non potrebbe essere altrimenti. Non è mai cambiato, “si è evoluto edizione dopo edizione. Certo ha introdotto qualche cambiamento, ha incrementato la possibilità di gestione della squadra, dei giocatori, del mercato. Non si può snaturare”, dice al Foglio sportivo Alberto Scotta, responsabile italiano di Football Manager. Eppure, “a ogni nuova versione del gioco c’è sempre chi mi chiede: ‘Cos’è il solito aggiornamento?’. Sì e no. È un nuovo gioco, con un database aggiornato, nuove funzionalità, migliorie e ulteriori possibilità di gestione della squadra. Non è un semplice aggiornamento, è un’evoluzione”.
C’è chi sostiene che FM è inesatto, genera una realtà parallela o troppo semplice o troppo difficile, in ogni caso troppo aleatoria. Chi muove questa critica dimentica che il calcio non è uno sport esatto. Perché una squadra può perdere anche se ha tirato in porta trenta volte e aver concesso una sola occasione agli avversari. Succede anche nel gioco. E in modo imprevedibile, perché in fondo ciò che ci continua ad affascinare di questo sport è il fatto che c’è ancora la possibilità dell’imprevisto. Va così nel calcio reale, va così in FM. “Chi critica è perché situazioni del genere le subisce. Magari perde una coppa in questo modo e allora si lamenta. Quando invece va bene, e si vince una partita che stando alle statistiche non si doveva vincere, ecco che non si critica più. Non va così anche con la propria squadra del cuore?”, sottolinea Alberto Scotta.
Va così perché c’è qualcosa di irrazionale nel nostro rapporto con lo sport, soprattutto con il calcio. Va così perché non tutto può essere razionale e razionalizzato e i bug esistono anche nella realtà, non solo nei giochi. La simulazione in Football manager è imperfetta, come è imperfetto il calcio. Eppure l’imperfezione di FM è ciò che si avvicina di più all’imperfezione del calcio. Merito di un database smisurato. A tal punto che ci sono squadre calcistiche che regolarmente si mettono a scandagliare il gioco in cerca di qualche giocatore sfuggito a osservatori e big data. E qualcuno, negli anni, era sfuggito davvero: tipo Robert Lewandowski e Roberto Firmino, per fare due nomi. “In questi anni qualcosa abbiamo sbagliato: c’è chi è stato sovrastimato, chi sottostimato. Il difficile non è valutare le abilità tecniche, i giocatori bravi si vedono, dare un valore alle loro qualità non è semplice, ma il margine di errore è tutto sommato piccolo. La vera difficoltà è rappresentata dalle qualità mentali. Nel gioco ci sono e sono la parte più complessa da tradurre in valore. Perché a volte un buon giovane diventa un campione anche per le sue capacità di motivarsi e superare le difficoltà”, spiega Alberto Scotta.
Dietro Football manager c’è il lavoro di tantissime persone. “Solo in Italia per i cinque campionati lavoriamo in un centinaio di persone”, ci dice Luca Di Giacomo, responsabile della Serie A di Football manager. E va così per tutti i campionati principali. Serve un lavoro di équipe per trattare un numero enorme di dati: “Ogni giocatore ha circa duecento valori che devono essere inseriti e prima vanno discussi, resi omogenei per evitare sproporzioni che altererebbero i rapporti di forza tra le squadre. Anche questo è il difficile. Abbiamo un pubblico molto esigente. Si aspettano il meglio, tentiamo di avvicinarci il più possibile”. I dati poi sono continuamente aggiornati. “Monitoriamo costantemente quanto accade e cerchiamo il più possibile di avvicinarci nelle valutazioni dei calciatori alla realtà”. Difficile, molto difficile. Il calcio è lo sport nel quale il pregiudizio e la simpatia conta di più nella determinazione del giudizio complessivo. FM mette assieme big data e osservazione, cercando il più possibile l’imparzialità. “Non sempre è semplice, ma lavorare in tanti a un progetto aiuta a trovare la soluzione migliore”, spiega Luca Di Giacomo. “La parte migliore viene però anni dopo, quando un giovane sul quale avevamo puntato diventa davvero uno dei grandi protagonisti del campionato. Ecco in quel momento capisci di aver lavorato davvero bene”.