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Il settore delle telecomunicazioni ha più di un problema

Andrea Trapani

I ricavi complessivi in Italia sono scesi a 27,1 miliardi, toccando il livello più basso di sempre. E il flusso dati continua ad aumentare. Come si può rilanciare il settore? Tecnologia e infrastrutture

Se c’è un settore che continua ad aggregare la società contemporanea è quello delle telco: la domanda di servizi e connettività cresce in maniera esponenziale, il lavoro e lo svago ormai hanno il loro fulcro nella rete ma chi fornisce questi servizi ha ben poco da sorridere. Il Forum nazionale delle telecomunicazioni, organizzato ieri da Asstel negli spazi della Luiss, ha confermato la tendenza negativa degli ultimi anni: i ricavi complessivi in Italia sono scesi a 27,1 miliardi, toccando il livello più basso di sempre. Dal 2010 a oggi, il calo è del 35 per cento e si somma agli investimenti corposi fatti sul 5G che invece di rendere più rosea la situazione stanno rischiando di metterla ancora più in difficoltà.

 

Cresce il traffico dati, ma 5G e Ftth sono indietro

Un passo per volta. Nel 2022 i volumi di traffico dati da rete fissa (+10 per cento) e da rete mobile (+31) hanno continuato a crescere. Considerando solo gli ultimi tre anni, il valore del traffico dati mobili è quasi triplicato (+184 per cento) mentre quello fisso è aumentato del 93 per cento. Tutto bene? Sulla carta sì.

A metà dello scorso anno l’81,2 per cento degli europei aveva copertura 5G, in Italia era addirittura superiore di 18 punti percentuali calcolando le famiglie e raggiungeva il 95,5 per cento prendendo come riferimento la popolazione (e non il territorio, ndr). Peccato che, entrando nel dettaglio, il tasso di penetrazione è assai inferiore rispetto agli altri paesi, anche se in Italia è arrivato al 13,3 per cento a inizio di quest’anno rispetto al 5 del 2022. Una grande crescita, ma minore a quella che ci aspetterebbe da una nazione che vive letteralmente con lo smartphone in mano. Certo che la disponibilità del 5G, intesa come percentuale di utenti con dispositivi 5G veramente connessi a una rete 5G, è appena del 14 per cento e quindi in linea con gli utilizzatori reali. Luci e ombre, insomma.

Non è tanto diversa la situazione per la rete fissa, o meglio per la fibra ottica nelle case degli italiani. Mentre sul palco i vari amministratori delegati dibattevano sull’opportunità di staccare la rete via rame a favore di quella ultrabroadband, gli italiani - almeno rispetto a paesi simili al nostro come Francia e Spagna - hanno attivato un numero di linee Ftth (la fibra che arriva direttamente nelle abitazioni, ndr) in maniera assai ridotta. Arriva nel 56 per cento dei casi, contro il 76 e l’89 per cento di francesi e spagnoli. Fa peggio di noi solo la Germania, ma lì esiste da tempo la connettività via cavo che cambia gli equilibri. Da noi no, anzi l’assenza di un’infrastruttura dedicata continua a riempire le reti degli operatori con il traffico degli over the top, assenti tra gli ospiti ma veri protagonisti di numerosi appelli per una redistribuzione delle spese infrastrutturali. Questa però è un’altra storia, la politica conosce bene quanto siano labili i confini tra le necessità delle telco e l’attività di mediazione che nasce in Parlamento.

 

La politica dietro l’angolo

Non a caso il ministro Urso ha provato ad addolcire la pillola - in un periodo in cui gli effetti dell’affare Kkr-Tim sono ancora incandescenti - ricordando l’impegno del governo per il progetto banda ultralarga e per il 5G. “Finalmente ci siamo incamminati sulla rotta che l’Ue ha indicato oltre venti anni fa”, ha detto ricordando – con franchezza – che i limiti saranno comunque inferiori a quelli richiesti dagli operatori nei mesi scorsi. Infatti, dopo gli emendamenti presentati dalla maggioranza al disegno di legge, a fine ottobre ne è stato presentato uno nuovo che vuole migliorare il livello di emissioni elettromagnetiche: si dovrebbe passare dagli attuali 6 V/m ai 15 V/m, un miglioramento necessario per agevolare lo sviluppo delle reti di nuova generazione. In realtà rimane da affrontare il problema principale: per la prima volta il margine di cassa delle telco è stato negativo (-3,8 miliardi nel 2022), quando solo tredici anni fa superava i 10 miliardi di euro.

Pochi sorrisi quindi, ne accenna uno solo Benedetto Levi di iliad (che registra numeri in controtendenza rispetto ai competitor) mentre all’orizzonte si aprono nuovi scenari: WindTre, per esempio, offre i propri prodotti anche nei mercati dell’energia e delle assicurazioni, ma probabilmente non sarà sufficiente per risolvere la crisi di un settore sempre più in difficoltà.

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