Altre connessioni. Chi vince e chi perde nella sfida tra le due intelligenze
Il filosofo Maurizio Ferraris e l'esperto di intelligenza artificiale Nello Cristianini discutono di progresso, scienza e IA. Un impegno a riflettere su quanto sta avvenendo e potrà avvenire nei rapporti fra homo sapiens e Machina sapiens
L’intelligenza artificiale ha cominciato a perseguitarci e non la smetterà. Non c’è giorno che un’informazione di per sé pubblicitaria non ci dica che è arrivata l’ora di cambiare vita ancora una volta e di aprire le braccia al luminoso futuro in cui l’IA sarà dovunque dominante e noi non potremo fare a meno di essere felici.
Nessun sacrificio. I giocattoli tecnologici sono divertenti e comodi, piacciono a tutti. E se non piacciono è lo stesso; si imporranno senza il nostro consenso perché coincideranno con la realtà, a cui non si sfugge. Buttiamo via, per favore, l’ammuffita idea umanistica che siamo noi a decidere. Il progresso tecnico è inarrestabile: non è il capitalismo a volerlo, ma tutto il mondo lo vuole, a nord e a sud, a est e a ovest. La scienza deve essere più libera di noi e tutto ciò che può fare verrà fatto, lo si voglia o no. Scienza e tecnica sono un fine in sé. Le conseguenze sociali e umane di ciò che viene inventato cambiano la realtà, a cui, per dovere, ci si deve adattare. Non ci sono alternative. Viviamo in società postculturali in cui la cultura è cosa del passato perché richiede, tanto per fare un solo esempio, quel troppo complesso esercizio di memoria che passa attraverso la lettura e lo studio di libri scritti secoli o millenni fa. Una cosa assurda, oggi, cancellata dalla “forza delle connessioni”, non quelle del cervello umano: certo che no.
Sebbene sia assurdo leggere, apro l’ultimo numero della Lettura del Corriere e trovo un paio di interessanti articoli. Nel primo parla Maurizio Ferraris (filosofo) e nel secondo Nello Cristianini (esperto di IA). I due si impegnano a riflettere su quanto sta avvenendo e potrà avvenire nei rapporti fra homo sapiens e Machina sapiens (titolo di un libro di Cristianini). Ferraris comincia dalla mutazione subita recentemente dal nostro senso del futuro, un futuro che da due secoli ha significato progresso, cioè tempo migliore del presente e del passato. “Quel sogno” dice Ferraris “è svanito da tempo” e al suo posto ci sono ora gli “incubi del capitalismo di sorveglianza” accompagnati da altri incubi: “Avevamo appena finito di temere il metaverso e ci siamo trovati a preoccuparci di ChatGPT. Se il timore all’epoca del metaverso (due anni fa, ma sembrano secoli) era che il nostro mondo reale fosse assorbito dal mondo virtuale, quello attuale, nell’epoca di ChatGPT, è che l’intelligenza artificiale possa eguagliare e superare l’intelligenza naturale. Tuttavia, l’intelligenza artificiale può alimentare l’intelligenza naturale”.
In verità ormai, fra le due intelligenze, non si sa più quale preferire. L’intelligenza artificiale arriva quando quella naturale è ridotta ai minimi termini e in più non è affatto affidabile. Quello che si teme (ci si augura?) è un robot che sia più saggio e prudente, più dotato di lungimiranza e buon senso, della maggior parte degli esseri umani, già ora postumani.
Giustamente Ferraris elenca tutte le ragioni che distinguono la mente umana “incarnata” e generata in un corpo, in un organismo biologico che è l’opposto di un meccanismo, dato che ogni vivente sa che non vivrà sempre, ha bisogno “di sicurezza e di protezione”, è visitato da stati d’animo (noia, angoscia, frustrazione, paure, ecc.) che nessuna macchina può provare. Però (qui Ferraris corre di nuovo ai ripari, banalizza e concilia) “l’umano non esiste separatamente dalla tecnica… elemento costitutivo dell’umano e ci si chiede perché temerla tanto”. Per Ferraris, se la temiamo tanto è tutta colpa di quegli ebrei così pessimisti (senza ragione?) che a metà del Novecento si sono messi a parlare di “dialettica dell’illuminismo”, cioè di nuove forme di oscurantismo, di razionalizzazione irrazionale e di un progresso che non esclude ma comporta criminali regressioni barbariche. Inoltre, essendo cresciuto con Heidegger, nel ragionamento di Ferraris la tecnica è sempre uguale a sé stessa e così pure l’umanità: come se l’uomo che afferra una clava, usa la ruota e l’aratro sia identico all’uomo che dispone di energia atomica e calcolatori elettronici. Secondo voi un individuo che ha un accendino in mano è la stessa cosa di uno che imbraccia un mitra?
Più tecnicamente concreto mi sembra Cristianini, autore di Machina sapiens (il Mulino) e docente di IA prima in California e poi in Inghilterra. Il tema è da lui discusso a partire dal famoso Alan Turing, il geniale matematico fra i responsabili dell’ideazione del computer. Nel 1950 Turing si chiese se le macchine possono pensare. Se cioè una macchina può per esempio generare testi di una qualità tale da non essere distinguibili da quelli generati dalla mente umana. “Turing ci avvertiva” dice Cristianini “che sarebbe stato difficile controllare queste macchine una volta create. Probabilmente è arrivato il momento di prendere seriamente in considerazione le preoccupazioni di Turing (…) cosa possiamo aspettarci da un’era in cui le nostre creature diventano capaci di conoscere il mondo?”.
Torno al futuro e al progresso. Il futuro porterà progressi? Che genere di progressi? Nel remotissimo 1975 lo scrittore e poeta Enzensberger pubblicò Mausoleum, un poema sulla storia del progresso ripercorsa attraverso i ritratti di coloro che ne sono stati i protagonisti e gli autori: una galleria poco rassicurante di pazzoidi e di ossessi. A concludere tale storia Enzensberger fece comparire Alan Turing e Che Guevara. Il fallimento politico di quest’ultimo è noto a tutti, anche a coloro che ne fanno un idolo senza scendere in dettagli biografici. Quanto a Turing, le osservazioni di Enzensberger sono impietose anche se ben documentate: “E’ cosa certa che non lesse mai un giornale; che i suoi guanti di lana se li lavorava a maglia da sé; che perdeva sempre valigie, libri, cappotti; che aveva l’abitudine di andare in bicicletta sotto la pioggia; e che, se per caso a tavola interrompeva il suo caparbio mutismo, irrompeva in uno stridulo balbettio o rideva gracchiando. I suoi occhi erano di un blu sfavillante e inorganico, come vetro dipinto (…). Evidentemente si dava da fare per togliersi di mezzo (…). Una notte, nella sua casa di campagna, una catapecchia, forse per sbaglio si avvelenò con il cianuro di potassio (…). Per quale ragione abbia sempre evitato di toccare la pelle di altre persone, di qualunque sesso, noi non lo sappiamo (…). I servizi segreti inglesi lo apprezzavano perché sapeva interpretare qualunque codice segreto”.
Rivoluzioni? Progressi? Svolte storiche? Sì, ma che cosa hanno fatto di sé stessi e della propria vita questi geniali talenti? Non sarà che qualche loro personale follia si sia trasmessa alle loro geniali invenzioni? A questo punto cedo alla tentazione di servirmi del vecchio e trascurato buon senso e mi chiedo perché, invece di faticare inventando macchine intelligenti in competizione con la nostra mente, non ci dedichiamo alla nostra mente cercando di migliorarne la qualità generale e le prestazioni particolari.