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Apple ci riprova: a Cupertino puntano su Siri per entrare nella corsa all'IA
L’assistente vocale cara a Jobs torna in versione potenziata. L’ambizioso approccio (anche sulla privacy) presentato nella settimana di Apple Intelligence
È stata la settimana di Apple Intelligence, almeno dalle parti della Silicon Valley. Da mesi si aspettava di sapere come si sarebbe comportata Apple nella corsa alle IA, settore in ascesa in grado di fare la fortuna di un titolo in borsa. Lo dimostrano Microsoft, che più di ogni altro gigante ha cavalcato l’hype del settore alleandosi con OpenAI, e soprattutto Nvidia, che negli ultimi mesi è salita al vertice delle aziende con la maggiore capitalizzazione di mercato. Ma, come hanno ripetuto diverse persone sul palco della sede a forma di disco volante in quel di Cupertino, Apple è nel business delle IA da molto tempo. Quando si parla di “intelligenze artificiali”, del resto, si parla di tante cose, anche del sistema che determina cosa vedremo sui feed dei nostri social o il ritocco fotografico. Di questi tempi, però, “IA” sta soprattutto per una cosa sola: ChatGPT e simili, ovvero le intelligenze artificiali generative, in grado di produrre testi, immagini e video.
L’approccio di Apple Intelligence è stato complesso e ambizioso: sono previsti nuovi strumenti generativi, una nuova infrastruttura pensata per elaborare le richieste degli utenti proteggendone la privacy (questa almeno è la promessa) e l’alleanza con ChatGPT, a cui gli utenti potranno accedere gratuitamente su richiesta. E poi c’è Siri. Già, Siri, qui in versione “conversazionale” e più intelligente, nel senso che sarà in grado di comprendere meglio gli utenti ma anche di fare più cose.
E’ difficile immaginarlo oggi ma Siri, quasi quindici anni fa, era ritenuto un gioiello, un prodotto d’avanguardia delle intelligenze artificiali. Nel 2010, in una delle ultime operazioni avvenute sotto la direzione di Steve Jobs, Apple acquistò questa piccola startup, che da appena due mesi aveva rilasciato la primissima versione dell’assistente vocale. Per capire quanto Jobs tenesse a Siri, basta guardare una clip dalla D8 Conference, un evento tecnologico tenutosi nel 2010, dove lo storico giornalista tecnologico Walt Mossberg gli chiese conto di questa acquisizione. “Perché avete comprato un’azienda che si occupa di ricerca?”, chiede Mossberg. Jobs lo corregge subito e inquadra meglio la questione: “Siri non si occupa di ricerca, si occupa di IA”.
All’epoca quelle due letterine che oggi fanno la fortuna di una manciata d’aziende – tra cui Apple, dopo l’evento di questa settimana – non ispirarono grandi reazioni dal pubblico. Il mondo stava uscendo da un lungo “AI Winter” (inverno delle intelligenze artificiali, come si chiamano i lunghi periodi di scarso interesse e crescita nel settore) e le parole d’ordine erano ben altre, come social media e mobile. Ma Jobs sembrava aver intuito il potenziale di un assistente vocale in grado di capire e rispondere agli utenti. Lo scontro con la realtà fu più duro del previsto. La primissima versione di Siri si dimostrò poco intelligente e da allora il progresso fatto nel campo non è stato sufficiente da rendere la funzionalità qualcosa di più di un modo per impostare sveglie o cambiare musica. Tutte applicazioni interessanti, per carità, ma che forse avrebbero deluso Steve Jobs. Già nel 2012 Adam Lashinsky, giornalista esperto di Apple, raccontò l’imbarazzo interno all’azienda per l’assistente vocale e disse che “Steve avrebbe perso la testa, se avesse visto Siri all’opera”.
Possiamo immaginare che quella scottatura decennale abbia contribuito a fare di Apple il più cauto nella corsa alle IA: mentre Microsoft, Meta e Google correvano, Apple ha preferito aspettare, anche perché costretta a difendere il proprio approccio sulla privacy. Il giornalista John Herrmann ha notato le somiglianze tra la prima presentazione di Siri, nel 2011, e quella di questa settimana, 13 anni dopo. In mezzo è successo di tutto, specie nel campo delle intelligenze artificiali, eppure gli esempi dati sono piuttosto simili: in entrambi i casi Siri viene utilizzata per mostrare i risultati di borsa, ad esempio.
Il problema è che parlare con una macchina è difficile. E’ difficile farsi capire e stabilire cosa può fare e cosa deve evitare. Negli ultimi mesi lo hanno dimostrato due prodotti di cui si è parlato a lungo e il cui hype si è sciolto come neve al sole una volta arrivati al consumatore: l’AI Pin di Humane e R1 di Rabbit, due gadget diversi ma tutto sommato uguali, piccoli oggetti con cui interagire con un’intelligenza artificiale. Due flop destinati a passare alla storia come reliquie di questa fase tecnologica. Apple non vuole di certo fare la stessa fine, quindi punta ancora su Siri – e per tutto il resto c’è ChatGPT.
“Screenshot, cose dai nostri schermi” è il podcast di Pietro Minto, online su tutte le piattaforme del Foglio.