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Come cambia il business Disney ora che i bambini guardano YouTube

Pietro Minto

I 30-40enni seguono le serie tv in streaming su Disney+ e sono ormai essenziali per Disneyland, mentre tra i più giovani prevalgono altre piattaforme. Il pubblico cambia e anche la produzione di contenuti

Per la prima volta da oltre mezzo secolo, le nuove generazioni non stanno crescendo assorbendo continuamente i prodotti Disney. Invece di VHS e DVD di cartoni animati e serie televisive, il pubblico dei più piccoli basa il proprio intrattenimento su altri prodotti – tra tutti, YouTube.

Un dato su tutti: nel 2014 il Disney Channel, canale televisivo che ha sfornato fenomeni generazionali come Zac Efron, Zendaya, Miley Cyrus, Selena Gomez e i Jonas Brothers, era tra i dieci canali più visti negli Stati Uniti (con una media di 2 milioni di spettatori nel primetime). Oggi, dieci anni dopo, si trova all’ottantesimo posto (con circa 130mila persone in media).

Il motivo del tracollo è facilmente immaginabile: Disney Channel ha storicamente un pubblico che va dai 6 ai 14 anni d’età; pensare che qualcuno di loro accenda la televisione per seguire un canale vecchio stile – con un palinsesto! – sarebbe come chiedere loro di ascoltare musica con un grammofono.

Almeno teoricamente, però, il declino del canale televisivo dovrebbe essere controbilanciato da Disney+, il servizio streaming del gruppo. Peccato che nemmeno questo sia del tutto vero: secondo dei dati Nielsen citati da Business Insider, infatti, il pubblico USA tra i 2 e gli 11 anni d’età passa il triplo del tempo a guardare YouTube rispetto a Disney+. Il servizio streaming continua invece a crescere su altre fasce demografiche non proprio giovanissime: secondo dati interni relativi al 2022, il 60% degli iscritti a Disney+ sarebbe composto da adulti senza figli.

 

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Li chiamano anche “Disney adults”, gli “adulti di Disney”, sono i 30-40enni che seguono le serie tv in streaming e sono ormai essenziali per il business di Disneyland e gli altri parchi a tema del gruppo. Non è un caso che l’anno scorso l’azienda abbia annunciato un piano da 60 miliardi di dollari per rilanciare i parchi rendendoli anche più adatti a un pubblico più… maturo.

Disney è quindi interessata da due trend che sembrano collegati e potrebbero creare un circolo vizioso per l’azienda. Da una parte il pubblico dei più piccoli, da sempre fondamentale per il gruppo, che è ormai abituato ad altre abitudini di consumo; dall’altro l’offerta Disney viene seguita sempre di più dagli adulti, cosa che potrebbe renderla ancora meno cool agli occhi delle nuove generazioni, che hanno l’innato desiderio di distinguersi dai più grandi.

Il sorpasso di YouTube su Disney – almeno su questa fetta di pubblico – ha pesanti conseguenze anche industriali. Invece delle enormi produzioni disneyane, infatti, su YouTube circolano prodotti più cheap ed espressi (con alcuni canali che propongono video di pessima qualità e a tratti inquietanti per un pubblico simile). Ciò nonostante, non bisogna pensare a questi creators come a delle realtà piccole: Cocomelon, ad esempio, è il principale canale YouTube per bambini e bambine, pieno di filastrocche e cartoni animati, una macchina da miliardi di views particolarmente forte nel pubblico prescolare.

Per molto tempo si è parlato di una possibile acquisizione del canale da parte di Disney, cosa che però non si è avverata. Nel 2021 l’azienda produttrice di Cocomelon, Moonbug Entertainment, è stata acquisita da due ex dirigenti Disney, ma è stata Netflix a giocare d’anticipo e ad accaparrarsi la serie tv per bambini di Cocomelon.

Disney può comunque contare su Bluey, serie animata di successo su dei cagnolini caratterizzata da colori che vanno dall’azzurro e il giallo, ovvero gli stessi colori che i cani sono in grado di vedere meglio. Anche Bluey è particolarmente amato dal pubblico prescolare ma non è farina del sacco disneyano ma una coproduzione tra l’emittente australiana ABC e la BBC. Disney ne detiene i diritti per tutto il mondo ma non ne può controllare il futuro, che è ancora nelle mani del suo creatore, Joe Brumm, che non è sicuro di voler continuare a produrla per timore di rovinare quanto fatto finora.

Un approccio lodevole che cozza con quello del gruppo, noto per aver spremuto qualsiasi proprietà intellettuale a sua disposizione – Star Wars, Marvel, i film della Pixar – ben oltre la soglia della sopportazione. E forse è proprio questo il punto. A Disney non conviene puntare sulla sovrapproduzione di content, per almeno due motivi: il primo è che rischia di rovinare prodotti amatissimi con inutili spin-off e sequel; il secondo, ben più semplice, è che se si abbassa l’asticella qualitativa, YouTube vincerà sempre.

 

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