Elon Musk (LaPresse)

Guerra tech

La causa di X contro gli inserzionisti e quella saldatura con i trumpiani

Francesco Stati

Elon Musk va allo scontro con Garm, che rappresenta i più grandi investitori di advertising mondiali. Una mossa politica, più che economica

X fa causa ai suoi clienti. Non è un paradosso: il 6 agosto Linda Yaccarino, amministratrice delegata del social network di Elon Musk, ha annunciato che l’azienda denuncerà il Global Alliance for Responsible Media (Garm), osservatorio che comprende moltissimi inserzionisti. L’accusa: le aziende hanno “cospirato” creando un trust per mettere in atto un “boicottaggio illegale che indebolisce il libero mercato delle idee”. Garm avrebbe "bloccato miliardi di dollari di entrate pubblicitarie" che, secondo Yaccarino, sarebbero altrimenti stati spesi sulla piattaforma. 

  

 

La pezza d’appoggio per questa accusa arriva da un report della Commissione giustizia del Congresso americano, dal titolo “Garm’s Harm” (la minaccia di Garm). L’organo è guidato da Jim Jordan. Trumpiano di ferro, inviso a molti compagni di partito, Jordan è stato uno dei principali critici dell’Obamacare, oltre che un fervido sostenitore del fatto che no, nel 2016 non ci fu nessuna interferenza russa nelle elezioni americane. Dal suo insediamento al vertice della Commissione Giustizia ha inoltre avviato una campagna legale contro ricercatori universitari, think tank e aziende che studiano la disinformazione, sostenendo che tali organizzazioni hanno collaborato con il governo Biden per censurare i discorsi conservatori online. Un leitmotiv molto caro a Musk, che da quando ha acquistato Twitter si è sempre presentato come un “assolutista della libertà di opinione”. 

    

L’iniziativa della Commissione giustizia è nel solco del nuovo corso dei repubblicani. Una posizione di rottura verso il passato: fin quando Mitt Romney è stato al vertice del partito, la frase cara ai conservatori rispetto agli investimenti era “my business, my choice” (il mio investimento, la mia scelta), anche a costo di apparire come poco inclusivi. Tant’è che alcune azioni di boicottaggio partite da aree dem, come quella contro il marchio di abbigliamento New Balance (reo di aver supportato Trump in una campagna social), erano state condannate dai repubblicani proprio in nome di questo principio. Oggi, tutto sembra cambiato e il patron di X, che da tempo si è spostato su posizioni di destra, ha deciso di cavalcare l’onda.

  

Il problema dell’advertising etico parte da lontano. “Tutto comincia nel 2017 con la prima Adpocalypse”, ci spiega Matteo Flora, docente di Corporate Reputation alla Università di Pavia. “Non esisteva alcuna regolamentazione della pubblicità online: l’unico parametro per la vendita di uno spazio era la sua viralità, a prescindere dal contenuto. Questo ha significato che, per esempio, pubblicità di grandi aziende sono state inserite all'interno di video di fanatici della ultradestra, clip splatter, contenuti omofobi”. A quel punto gli inserzionisti, che stavano subendo pesanti danni economici e di immagine a causa della pressione di media e società civile, hanno fatto a loro volta pressione sui social media che, per non perdere i ricavi pubblicitari, hanno implementato alcune politiche di controllo automatico, con esiti non sempre perfetti. “In seguito la World Federation of Advertisers, che riunisce circa il 90 per cento di chi investe in pubblicità, ha fondato un centro, il Garm, che si occupa di scrivere linee guida e di vedere chi, tra i tanti social media, vi aderisce. È un meccanismo di tutela del marchio e aiuta a scongiurare situazioni in cui uno spazio pubblicitario è accostato a contenuti sconvenienti”. 

   

C’è chi ha aderito con entusiasmo all’iniziativa, come Alphabet, che controlla Google. Altri, come X, hanno scelto una strada diversa, disinvestendo sulla moderazione. “Ci sono contenuti per natura questionabili. In particolare quelli della destra americana, per via dei loro coloriti attacchi al diverso”. Non sorprende quindi la saldatura tra la tesi della commissione a guida trumpiana e l’eccentrico tycoon sudafricano. “Il prezzo della libertà di espressione tanto cara a Musk è che tutta una serie di contenuti nocivi per le aziende continuano a proliferare incontrollati e, dunque, rendono inappetibile lo spazio pubblicitario sulla piattaforma. Tant’è che, dalla sua acquisizione del fu Twitter, i ricavi pubblicitari sono scesi da un miliardo a trimestre a circa 600 milioni”.

 

Resta aperta la questione giuridica. È o non è un boicottaggio, quello attuato dal Garm? “Da un certo punto di vista sì", spiega Flora. "Va però detto che non sta solo raccomandando scelte, ma proteggendo i suoi associati, fornendo loro alcuni avvertimenti. Quasi nessun marchio va contro le sue prescrizioni, non tanto per la sua grande quota di mercato, quanto per via della sua autorevolezza. La causa antitrust è complessa. Potrebbe avere fondamento solo se ciascuna delle organizzazioni coinvolte avesse firmato un documento in cui si dice: 'boicottiamo X'. La vedo in salita, anche perché nel frattempo sta facendo causa ai suoi potenziali clienti per obbligarli a mettere pubblicità nel suo social”.

  

Viene da chiedersi dunque lo scopo dell’azione legale, anche in considerazione della nuova adesione di X ai principi di Garm arrivata a inizio luglio. Una causa così complessa non si prepara in 20 giorni. "Io la vedo come una mossa politica. Di propaganda. Quella di Musk potrebbe essere una minaccia, come a dire: ‘io rientro, ma tu togli i paletti alle mie condizioni e se non lo fai scaglio l’opinione pubblica contro tutti i consociati'. Una tecnica che Musk usa in mille altre situazioni: dalle pressioni economiche sul governo americano, con lo spostamento da San Francisco ad Austin delle sue aziende, a quelle etiche sull'Unione europea, con lo scontro con il garante irlandese che lo accusa di non avere avvisato gli utenti del training automatico con i loro dati dell'IA di X”.

  

Il tycoon, però, deve combattere su due fronti: ha bisogno del sostegno (anche economico) delle autorità che tanto osteggia per salvare le sue aziende dal crac che arriverebbe in caso di sanzioni pesanti. “Creare consenso dal basso è il suo più grande asset ed è il motivo principale per cui ha investito così tanto su X. Non lo ha fatto certo per motivi economici”.

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