Foto Ansa

google & co

Le acqui-hire: come fa Big Tech a spolpare l'industria dell'IA 

Pietro Minto

Sono tempi difficili per le grandi aziende tecnologiche in vena di acquisizioni. Tra assunzioni, licenze e quella falla legale che potrebbe avere le ore contate, non solo in Unione europea

Lo scorso luglio Google ha tentato di concludere la sua più grande acquisizione di sempre, quella della startup israeliana di cybersicurezza Wiz, per cui era pronta a pagare 23 miliardi di dollari. Dopo una lunga trattativa, però, Wiz ha fatto sapere di aver rinunciato all’acquisizione e di voler proseguire con la sua quotazione in borsa: tra i motivi del no a Google, il timore della reazione dell’Antitrust statunitense, che era già sul piede di guerra.

Sono tempi difficili per le grandi aziende tecnologiche in vena di acquisizioni. Dopo una lunga epoca di laissez faire, durante la quale realtà come Facebook hanno potuto acquisire aziende come WhatsApp e Instagram senza troppi problemi, ora le attenzioni della Federal Trade Commission sono tutte sul Big Tech, soprattutto dopo la nomina di Lina Khan alla presidenza dell’ente nel 2021. A confermarlo, lo scorso anno, la vicenda di Adobe, che provò a comprare la concorrente Figma ma fu bloccata da una serie di reazioni negative da parte di Regno Unito e Unione europea.

La tentata acquisizione di Wiz è comunque un’eccezione nell’ultimo trend nella Silicon Valley, che ha imparato a usare strategie meno plateali e dirette. Il recente boom delle intelligenze artificiali ha confermato l’importanza delle cosiddette “acqui-hire”, crasi tra “acquisizione” e “assunzione”, una pratica con cui una grande azienda assorbe una piccola startup al solo scopo di ottenerne il personale specializzato. 

Ma nemmeno l’acqui-hire è sicura, di questi tempi. Aziende come Microsoft e Google hanno affinato quindi una tecnica ancora più sobria, subito ribattezzata “reverse acqui-hire”, in cui la pratica viene rovesciata: invece di comprare una startup per acquisire capitale umano, si preferisce assumere le persone chiave della startup, spolpandola dall’esterno. Alcuni esempi recenti, tutti dal settore IA: lo scorso marzo Satya Nadella, ceo di Microsoft, ha accolto nell’azienda Mustafa Suleyman e Karén Simonyan, entrambi provenienti da una startup chiamata Inflection e richiamati dal gigante per guidare una nuova divisione, Microsoft AI.

Siamo all’acquisizione-che-non-è. Da lontano sembra che Microsoft abbia assorbito una startup ma tecnicamente ha solo assunto due persone. Inflection AI è ancora lì, solo che è vuota. Magia. In questi anni Microsoft ha affinato altre tecniche di non-acquisizione, per esempio con OpenAI, azienda nata come non-profit e finita per diventare una delle realtà più importanti del settore – oltre che solido alleato di Microsoft stessa.

L’“acqui-hire al contrario” è ormai una pratica comune, un copione che viene seguito anche dalla concorrenza. A inizio agosto Google ha assunto Noam Shazeer e Daniel De Freitas, fondatori di Character.AI. Secondo l’accordo, Google potrà anche usare i modelli linguistici della startup, ottenendo di fatto sia i servizi che il personale top di Character.AI. Scacco matto. 

A giugno Amazon aveva fatto qualcosa di simile con un’altra startup, Adept AI, a conferma del trend in corso, in cui una nuova tecnologia viene sviluppata da una serie di realtà minori che vengono inevitabilmente assorbite, acquisite o spolpate dalle solite quattro grandi del Big Tech.

La falla legale potrebbe però avere le ore contate, visto che sia l’Ue che il Regno Unito, ma anche la stessa FTC statunitense, hanno iniziato a scrutinare anche queste ultime operazioni. Lo scorso mese Reuters ha rivelato che la FTC starebbe indagando sull’accordo tra Amazon e Adept AI, che è però piuttosto simile a tutti gli altri e potrebbe quindi avere un effetto domino su tutte le “acqui-hire” al rovescio.

Anche nel Senato statunitense le cose si muovono, con tre senatori, tutti democratici, che hanno chiesto di indagare su queste operazioni (Ron Wyden, Elizabeth Warren e Peter Welch). “Poche aziende controllano una grande porzione del mercato e si concentrano nel comprare il talento di tutti gli altri, invece di innovare”, ha spiegato Wyden all’Ap, sottolineando come il boom delle IA non abbia che aumentato l’accentramento di potere, soldi e capitale umano tra i soliti noti.

Di più su questi argomenti: