L'analisi

La sfida per un AI Act europeo che funzioni: interpretarne bene le regole

Stefano Firpo e Valeria Falce

La nuova legge sull'intelligenza artificiale in vigore dal primo agosto pone sfide complesse per le imprese italiane che potrebbero essere considerate fornitori di sistemi IA ad alto rischio, con obblighi stringenti e rischi di freno all'innovazione

L’AI Act europeo è entrato in vigore il 1° agosto. La sua concreta applicazione costituirà nei prossimi anni una sfida per moltissime imprese del nostro Made in Italy più avanzato. Incertezze o veri e propri errori interpretativi rischiano di mettere a repentaglio la possibilità di adottare le nuove tecnologie per migliorare margini e posizioni competitive. Molte imprese non europee, a partire da importanti big tech come Meta e Apple, stanno differenziando la loro offerta di prodotti e servizi innovativi con proposte meno di avanguardia sul mercato europeo proprio in ragione di tali incertezze. Un campanello d’allarme che suona anche per le imprese europee più innovative. Ma vediamo perché.
 

L’impianto normativo ruota attorno a un punto fermo: al fornitore di un sistema di IA destinato o comunque in uso in Europa si applica un poderoso sistema di regole, dal cui puntuale rispetto dipende la legittimità della sua commercializzazione.
 

Alcune di queste regole sono di rilievo formale (come quelle sulla trasparenza o sulla tenuta della documentazione tecnica e la conservazione dei log), ma la maggior parte è di natura organizzativa e di processo (come la valutazione e dimostrazione della conformità del sistema, l’applicazione di misure di governo e gestione dei dati, dei malfunzionamenti, la costruzione di sofisticati sistemi di controllo dei rischi e della qualità, la definizione di misure di sorveglianza umana, accuratezza, e cibersicurezza). Complessivamente, insomma, il fornitore risponde della progettazione, dello sviluppo e delle applicazioni del sistema, ne garantisce l’utilizzo secondo le finalità promesse, prefigura i rischi che possono emergere e corre ai ripari in caso di malfunzionamenti.
 

A tal fine, è tenuto a “educare” l’utilizzatore commerciale, il cosiddetto deployer, attraverso istruzioni e condizioni d’uso, che lo mettano in condizione di comprendere la nuova tecnologia e di usarla correttamente; come pure è tenuto a rimanere a disposizione delle autorità europee e nazionali, e addirittura a sospendere la circolazione del sistema se l’IA apprende e formula soluzioni che deragliano rispetto ai binari fissati in termini di finalità e funzionalità.
 

Sin qui tutto bene, verrebbe da dire. Eppure, per l’AI Act, è fornitore non solo, come ci si aspetterebbe, chi produce e immette sul mercato la nuova tecnologia, assumendosene la responsabilità. Ma, all’occorrenza, anche chi, sprovvisto di competenze ma dotato di capitali, partecipi comunque alla nuova economia dei dati. È il caso di chi commissiona a terzi un sistema IA per risolvere problemi, trovare soluzioni innovative ed efficientare la propria organizzazione, il quale, secondo l’AI Act, potrebbe assumere la qualifica di fornitore. Pensiamo ad esempio a sistemi di IA commissionati per garantire la sicurezza di prodotti e beni strumentali con un elevato livello di automazione. O di chi usi un sistema IA per scopi professionali, fosse anche un distributore, un importatore, finendo per modificarlo o anche solo apponendo il proprio marchio. In poche parole, l’AI Act – laddove interpretato alla lettera – rischia di trovare un campo di applicazione soggettivo piuttosto ampio, poiché moltissime imprese – fra cui ampi settori della nostra meccanica strumentale e del nostro Made in Italy basato su automazione e digitale – potrebbero ricadere nella definizione di fornitrici di sistemi IA ad alto rischio con pesanti conseguenze in termini di obblighi e prescrizioni di compliance.
 

Le ricadute di queste possibili incertezze interpretative e applicative del Regolamento possono essere controproducenti facendo dell’AI Act un paradossale fattore di freno all’innovazione AI based del nostro Made in Italy più competitivo. Per costruire una autonoma sovranità tecnologica europea nel campo dei sistemi IA e soprattutto per incentivare gli investimenti in tecnologie abilitanti e nell’industria 5.0, obblighi e responsabilità vanno addossati in maniera bilanciata e proporzionata alle capacità tecniche e organizzative della catena del valore. Pertanto, per identificare il fornitore non ci si può e deve accontentare che un’impresa si rivolga al mercato per ottenere un sistema di IA su misura, o che un utilizzatore continui ad alimentare il sistema con i propri dati o che lo contrassegni con un nome o un segno distintivo.
 

Chi commissiona un sistema di IA deve essere qualificato come fornitore se contribuisce in maniera determinante e partecipa in maniera consapevole alla nuova architettura, alle sue impostazioni, al sistema operativo e allo sviluppo del sistema. Allo stesso modo, l’utilizzatore commerciale deve subentrare negli obblighi che gravano sul fornitore nella misura in cui, adeguatamente alfabetizzato e digitalmente competente, modifichi in maniera sostanziale il sistema. In questa prospettiva, dovrà essere compartecipe della soluzione ovvero introdurre uno scostamento rilevante, sul piano qualitativo e quantitativo, rispetto alle condizioni d’uso impostate dal fornitore iniziale, che non sia riconducibile alle normali modalità di apprendimento automatico del sistema.
 

In altri termini, per essere fornitore sarà necessario svolgere un’attività di fare significativa e assumere un ruolo tanto attivo da risultare corresponsabile della nuova finalità del sistema IA commissionato o acquisito e addestrato, così da essere nella posizione migliore per adempiere agli obblighi che ne discendono. È questa non solo una lettura del Regolamento sistematicamente coerente con il suo spirito, ma soprattutto è l’unica linea interpretativa capace di alimentare la fiducia nei nuovi mercati digitali, incoraggiando a livello di impresa tanto lo sviluppo delle competenze quanto l’adozione e la sperimentazione delle nuove tecnologie. Solo in questo modo si potrà costruire a livello di sistema un “effetto Bruxelles” pro innovazione per limitare, se non superare, la dipendenza tecnologica nei confronti di quelle economie extra Ue che proprio su innovazione e tecnologia hanno accumulato un decisivo vantaggio competitivo.

Di più su questi argomenti: