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L'odio di Trump per Zuckerberg

Pietro Minto

Perché Donald Trump non sopporta Mark Zuckerberg? C’entrano le elezioni del 2020 e il Covid-19 ma da tempo Zuck sta provando a fare colpo sui trumpiani

Questa settimana è uscito negli Stati Uniti “Save America”, un grande libro fotografico di Donald Trump. In copertina, lo scatto già storico dell’ex presidente che alza il pugno subito dopo il tentato assassinio dello scorso luglio, come a dettare l’agenda e il tono della pubblicazione. L’opera, come ha notato il Washington Post in una recensione, contiene centinaia di immagini in cui Trump stringe mani, saluta, rende onore alle truppe. In questo mare di propaganda, però non manca una stoccata a Mark Zuckerberg.

 

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Già, Zuckerberg, ceo di Meta e quindi a capo di Facebook, Instagram e WhatsApp, tra gli altri, che viene così descritto da una delle didascalie trumpiane: “Mark Zuckerberg veniva a trovarvi nell’Ufficio ovale. Portava la sua bellissima moglie alle cene, era gentile, e intanto cospirava per installare le vergognose urne, parte di un COMPLOTTO CONTRO IL PRESIDENTE” (maiuscolo nell’originale).

 

Il riferimento è alle urne è relativo a una donazione fatta da Zuckerberg e la moglie Priscilla Chan al Center for Election Innovation & Research, un centro che si occupa di monitorare le elezioni ed evitare brogli o problemi tecnici. In particolare i due investirono 300 milioni di dollari nelle elezioni locali, per lo staff, macchinari e il training del personale, oltre che nelle mascherine anti-Covid. Da allora questa donazione è incubo ricorrente dei trumpiani, che ritengono che le elezioni siano state rubate in molti modi, tra cui l’utilizzo di urne speciali (dette “ballot drop box”) in cui gli elettori possono votare in anticipo, depositando le loro schede.

 

Ma già da prima del 2020 Facebook era al centro delle attenzioni di un pezzo di destra (la cosiddetta “alt-right”) e di repubblicani, che accusavano il sito di “shadowbanning”, una pratica in cui alcuni profili non vengono banditi ma sono di fatto nascosti: la loro diffusione è ridotta dall’algoritmo. Le cose non sono ovviamente migliorate con la vittoria di Joe Biden: nel giro di pochi mesi Trump guidò l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e subì il “deplatforming”, ovvero il bando generalizzato dalla maggior parte delle piattaforme, Meta inclusa. Oggi Trump è tornato online ma il desiderio di vendetta – contro la Silicon Valley e soprattutto Zuckerberg – rimane.

 

E pensare che il capo di Facebook fa da mesi il possibile per far dimenticare a Trump quel brutto precedente. A fine giugno fu tra i primissimi a commentare il tentato assassinio subito da Trump definendo la sua reazione da “badass”, da tipo duro, cazzuto. E aggiungendo: “È per questo che piace a un sacco di gente”.

 

Ma non è bastato. Anche perché nel frattempo Trump si è avvicinato a Elon Musk, capo di X, che sta dimostrando come un capo di social può sostenere attivamente la causa dei repubblicani. La manovra di corteggiamento di Zuck è quindi proseguita a fine agosto, quando il ceo ha spedito una lettera a Jim Jordan, repubblicano e membro della camera dei deputati per l’Ohio, in cui ha dichiarato di non aver intenzione di fare donazioni di sorta in vista di questo ciclo elettorale. Niente soldi per la sicurezza delle elezioni, niente pensieri, insomma.

 

Nella lettera Zuckerberg ha astutamente tirato in ballo la freedom of speech, ovvero la libertà d’espressione, grande cavallo di battaglia della destra – non nella sua accezione tradizionale, di principio fondamentale protetto dalla Costituzione, ma in quanto rifiuto della moderazione dei contenuti a tutti i costi. Come? Lamentandosi ad esempio di essere stato di fatto costretto a moderare le informazioni relative al Covid-19 durante la pandemia. Ma Zuckerberg ha anche parlato di Hunter Biden, controverso figlio del presidente con molti trascorsi legali e di droga.

 

Nell’ottobre del 2020, ad appena un mese dalle elezioni, il New York Post raccontò il ritrovamento di un laptop appartenuto a Hunter, pieno di foto personali. Allo stesso tempo l’Fbi avvisò i media e Big Tech di un’operazione di disinformazione russa in corso proprio contro la famiglia Biden, un tentativo di influenzare le elezioni da parte del Cremlino. Alcuni social, tra cui Twitter e Facebook, decisero di limitare la diffusione della notizia. E i repubblicani videro nella decisione l’ombra del Grande Fratello liberal, la conferma di tutti i loro sospetti e delle loro accuse.

 

Secondo l’ex dipendente di Facebook Katie Harbath tutto questo è parte della strategia di Meta per essere lasciata in pace ed evitare accuse e interrogazioni parlamentari nei prossimi mesi, specie se i repubblicani dovessero vincere le elezioni. Della serie, Donald, ricordate degli amici.

 

Il punto è: basterà? Secondo Charlie Warzel, giornalista dell’Atlantic, no, e neanche secondo me. Ormai Zuckerberg è un nome maledetto, in certi circoli repubblicani, e queste ammissioni non sono altro che conferme dei più tremendi sospetti trumpiani. Ora possono dire di avere le prove. Prove dei brogli? No. Dell’influenza zuckerberghiana nelle elezioni? Nemmeno. Ma di qualcosa. Ed è più che sufficiente.

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