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Il digitale ci ha tradito. Rende tutto più immediato mediando ogni cosa

Alfonso Berardinelli

Il saggio di Codeluppi e la prepotenza della Silicon Valley: ogni mezzo preposto a velocizzare e semplificare la nostra vita ci ha reso molto più pigri, scavalcando ogni realtà spazio-temporale. Un "danno umanistico" che dovremmo imparare a maneggiare meglio, per non finire del tutto alienati 

Certo siamo entrati, o costretti a entrare, in un mondo nuovo che potrebbe essere definito, con giusta enfasi, Nuovo Mondo. E’ l’economia di mercato di internet, del digitale, dell’IA. E’ la libertà coatta di comunicazione estesa più o meno a tutto e tutti, standardizzata secondo le regole aziendali delle grandi imprese dell’informazione. E costretti a questa nuova forma di eccitante libertà comunicativa, ci siamo presto assuefatti e non siamo più liberi, cioè capaci, di farne a meno neppure per pochi minuti, sia perché siamo psicologicamente, mentalmente dipendenti, sia perché, una volta che il New World è entrato nella nostra vita e l’ha colonizzata, non possiamo che socializzarci, nel lavoro e nella vita privata, attraverso l’onnicomprensiva Rete.
L’idea di rete e la sua realtà, beninteso, come interconnessione di tutto con tutto, è vecchia come il mondo, oltreché essere oggi la più apparentemente nuova. Anche i filosofi misticheggianti tedeschi della totalità dialettica, due secoli fa, pensavano che Alles greift ineinander, tutto è connesso con tutto. E ora, tecnicamente, ci siamo più che mai. La totalità ci è entrata in casa e in tasca e certo una totalità tascabile è particolarmente attraente.


Non lo è per me, che vorrei essere lasciato nella pace che dà la carta stampata, così discreta e silenziosa. Mi dedico perciò a un bel tascabile esauriente e maneggevole, ricco di dati e di argomenti critici, il saggio del sociologo dei media Vanni Codeluppi "I 7 tradimenti del digitale” (Laterza, pp. 125, 15 euro). E’ la lettura giusta per chiunque non si accontenti di manovrare di continuo i suoi device. Premesso questo, dubito che fra l’enorme massa degli utenti abituali dei nuovi media ci sia qualcuno che voglia prendere la distanza mentale necessaria per leggere uno studio storico-critico su strumenti di uso quotidiano molto più frequente di cucchiaio, forchetta o spazzolino da denti.


Informarsi e riflettere sui “tradimenti del digitale” sembrerà tradire uno dei più cari modi di essere, pensare, lavorare, esprimersi, informarsi. Pensare criticamente con distacco è antipatico e disturba. Chi ha più voglia di farlo anche a proposito della propria auto e del proprio televisore? La realtà è quello che è e una qualche ragione ce l’ha. Trovarla discutibile perché comoda sembra proprio una follia. Ogni mezzo che renda la nostra vita quotidiana più sbrigativa si è conquistato un valore indiscutibile anche se ci rende fisicamente più inerti e pigri. E’ la vittoria di quella semplificazione tecnica che rende tutto più immediato mediando l’accesso a qualunque contenuto informativo e comunicativo, ma occultando il fatto di essere una mediazione tecnica universale che scavalca e derealizza ogni realtà fisica e spazio-temporale. Una mediazione quasi invisibile, cioè magica, quasi miracolosa. Se perciò quello del digitale è stato un tradimento delle sue iniziali promesse, nessuno se ne accorge più: leggere un libro per capirlo sembra un fastidio inutile e una perdita di tempo.


Se personalmente, invece, sono stato attratto dal pamphlet di Codeluppi è perché sopporto male l’esistenza e la prepotenza dei nuovi media e giudico male proprio il fatto che quei quattro ingegneri californiani della Silicon Valley ci abbiano “cambiato la vita” e non smettano più di farlo ancora. Da tempo quei “geniali” ingegneri (non più che ingegneri) lavorano al servizio di grandi imprese produttive e commerciali come Microsoft, Apple, Google, Meta, Amazon, Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, TikTok, OpenAI, che hanno messo le mani sulla vita privata di milioni di utenti per estrarne, valorizzarne i dati e ricavarne profitti. Per non parlare della totale appropriazione, gestione e sfruttamento economico della cultura universale, che era stata prodotta e accumulata nel corso di secoli e millenni. Dunque facilità nell’uso automatico di un’immensa cultura ridotta in briciole, polverizzata e resa effimera. Un appiattimento e impoverimento culturale che non risparmia la scuola e l’università, né l’idea stessa che addetti e professionisti hanno di ciò che si definisce cultura.


Codeluppi si ferma soprattutto sulla realtà capitalistica del digitale e sulla privatizzazione economica di tutto l’enorme traffico in rete. Ma retrocedendo dal Marx del Capitale al Marx dei Manoscritti e alla teoria dell’alienazione antiumana, c’è ragione di occuparsi non solo del profitto privato nel capitalismo digitale quanto del “danno umanistico” che l’alienazione nella rete comporta. Non basta discutere dei vantaggi pratici offerti dall’innovazione tecnologica, se si dimenticano gli svantaggi e le lesioni che l’uso intensivo della rete provoca nell’umano e nelle facoltà mentali, dalla memoria al senso di realtà, dalla capacità cognitiva alla coscienza morale, sociale e politica.


E qui vorrei ricordare, benché controvoglia, il vecchio e abusato Umberto Eco, che certo non aveva sempre ragione, come comunemente si dice, ma qualche volta sì. Per esempio quando disse che i social media creavano una massa di “imbecilli” che credevano di diventare autorevoli e famosi come influencer di una folla enorme di follower. E’ vero che non c’è democrazia senza una certa dose di fiducia populistica nella coscienza critica dei cittadini elettori. Ma se le masse di imbecilli e di fanatici alienati prevalgono, la democrazia come politica umanistica è in pericolo.
 

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