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Cose dai nostri schermi

Il sogno di uno smartphone peggiore

Pietro Minto

I dumbphone sono dispositivi simili a quelli che utilizziamo tutti i giorni, ma un po' meno smart: l'obiettivo sarebbe ridurre le distrazioni nocive per godersi di più la vita, ma è già diventato un business cavalcato dalle campagne marketing di tantissime aziende

Uno spettro si aggira per l'Europa, anzi per il mondo: lo spettro del dumbphone. A metà tra la pia illusione collettiva e il serio business di nicchia, il dumbphone non è altro che la versione un po’ meno smart – e quindi scemotta, dumb – dello smartphone. Un telefono, dirà qualcuno. Ecco, non proprio. La categoria è difficile da incasellare proprio perché gioca per sottrazione, partendo da un massimo – l’ultimo iPhone o Google Pixel, per dire – e togliendo elementi, optional, meraviglie varie per arrivare a un dispositivo meno potente e capace, ma anche meno distraente.

Sta tutta qui, la promessa del dumbphone: un apparecchio in grado di connetterti al mondo evitando però di farci scivolare nei rabbit hole dei social network. Esiste per esempio un’app, chiamata “Dumb Phone”, con cui è possibile modificare l’aspetto del proprio smartphone, dando anche orari specifici oltre i quali non è possibile usare determinate app. Ma è solo l’inizio, perché attorno alla scemificazione dei nostri dispositivi è ormai sorto un discreto business, che molti media raccontano come “trainato” dalla Generazione Z, stufa e conscia della sua dipendenza dai social.

L’idea è già stata sfruttato dal marketing, ovviamente: lo scorso aprile Heineken, quella delle birre, e Bodega, marchio di streetwear, hanno lanciato Boring Phone, un apparecchio in edizione limitata, di plastica trasparente (look da inizio Duemila, ormai retrò), pensato per godersi le serate in compagnia. Schermo in bianco e nero, limitazioni tecnologiche, più socialità.

 

           

 

Negli ultimi mesi sono usciti diversi articoli che sembrano concordare su questo trend in corso: una parte del pubblico sembra interessato a diminuire il proprio screentime e per farlo sarebbe disposta a modificare il proprio dispositivo. Secondo l’agenzia di consulenza Morning Consult, il 16% degli adulti statunitensi della Generazione Z ha un dumphone e il 14% conosce qualcuno che ne possiede uno. In ballo c’è un certo effetto nostalgia per gli anni a cavallo tra i due millenni, fatti di Nokia pesanti come mattoni e una socialità diversa, non ancora iperconnessa.

E anche se Morning Consult ha precisato che l’idea che i dumbphone possano diventare mainstream è “improbabile”, è difficile non notare l’aumento di dispositivi di questo tipo. Se in principio era il Brondi, la marca italiana che produce telefoni per la terza età, con i tasti grandi, esistono anche brand nati per attirare un pubblico più giovane. Pensiamo a Punk’t, azienda svizzera che produce da anni telefoni dal design minimale, per chi vuole staccare. In particolare MP02, un modello con i tasti fisici, tipo Brondi, e uno schermo nero che promette austerità (prezzo: 299 euro).

Oppure Light Phone, che non ha tasti fisici ma un grande schermo, solo che è in bianco e nero con un’interfaccia radical e una lista di funzionalità da scorrere: chiamate, sveglia, messaggi, calendario. Basta guardare uno dei loro spot per capire a chi sono indirizzati questi dispositivi: in uno si vedono persone che lo usano mentre ascoltano vinili, pattinano, leggono libri. Insomma, Light Phone si posiziona per un pubblico post-hipster metropolitano e piuttosto privilegiato, il ceto medio riflessivo. Ma si vedono anche tanti genitori con figli piccoli, che invece di farsi vedere dalla prole mentre fissano TikTok usano Light Phone. Tra le cose che Light Phone non può, dice Light Phone, c’è proprio “competere con tua figlia per l’attenzione”. 

Non manca ovviamente Nokia, che ha poco lanciato il 6300, telefono ispirato proprio ai vecchi fasti del 3310 e garantisce l’utilizzo di WhatsApp senza però aprire l’abisso di TikTok e simili (complice anche lo schermo piccolo). Ma il dispositivo di cui si è parlato di più in questi mesi è una strana crasi tra tablet e lettore ebook, uno strano aggeggio chiamato Boox Palma. A garantire sulla sua dumbness, lo schermo di carta elettronica, o e-ink, tipo il Kindle o il Kobo, bianco e nero e perfetto per leggere

A dire il vero, Boox Palma può anche fare tante altre cose, tipo andare su YouTube o Instagram, ma l’idea alla sua base è che le si eviterà perché lo schermo è quello che è. E se la soluzione al problema della nostra attenzione fosse… usare più carta elettronica e più e-reader? Vale la pena provarci. Anche perché l’alternativa è il doomscrolling.

 

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