fine dell'attivismo da social?
Se parli di politica su Meta, scompari. La scelta di Zuckerberg
A poco più di quattro anni dall’omicidio di George Floyd, che ispirò la protesta dei quadrati neri su Instagram, l’algoritmo di Meta vuole parlare d’altro, e sa come spingere i suoi utenti a farlo. Per riuscirci sembra aver copiato una tattica di TikTok
E’ la fine dell’attivismo da social? Per anni si è parlato delle campagne politiche e sociali portate avanti su Facebook, Instagram e Twitter, dando per scontato che parlare di politica su queste piattaforme fosse facile, anzi, secondo le malelingue, conveniente. Il modo migliore per aumentare i like, le interazioni, far salire la preziosa reach. Le elezioni del 2024 rischiano di passare alla storia come il tramonto di questa fase, visto che molti social network hanno deciso di allontanarsi dalla politica e disincentivare i contenuti di questo tipo – tra tutti, quelli sulle elezioni.
In particolare, Meta, gruppo che comprende Facebook, WhatsApp e Instagram, ha deciso da tempo di poter fare a meno della politica e dei suoi rischi. Come ha raccontato il Washington Post la scorsa settimana, Instagram e Facebook limitano da tempo la diffusione di contenuti sulle elezioni statunitensi, tarpando le ali agli utenti che vogliono spingere i propri follower a votare (o registrarsi al voto, cosa necessaria negli Stati Uniti). Per alcuni utenti, gestori di pagine di successo, anche con milioni di seguaci, il banale utilizzo del verbo “votare” può comportare una diminuzione del pubblico raggiunto fino al 40 per cento (in confronto ad altri post non politici).
Secondo uno studio di Accountable Tech, associazione che si occupa del rapporto tra social network e democrazia, alcuni profili progressisti statunitensi (come le pagine Feminist e Human Rights Campaign) hanno registrato un calo fino al 65 per cento del loro pubblico medio. Post, storie, reels: poco importa, se c’entra con la politica, Meta non gradisce. E poco importa che ormai una persona su cinque negli Stati Uniti dica di informarsi attraverso Instagram.
La svolta di Meta è in armonia con la nuova condotta scelta da Mark Zuckerberg nei confronti della politica (e dei politici): dopo aver passato anni a essere accusato di partigianeria da destra e da sinistra, di aver favorito Donald Trump nel 2016 o di aver censurato la “verità” nel corso della pandemia, Zuck ha optato per una misura drastica. Basta politica. Ma anche, basta col giornalismo. L’allontanamento è iniziato nel 2021 ed è proseguito fino a oggi. Quando lo scorso aprile le testate giornalistiche australiane hanno criticato Facebook per aver interrotto una partnership in cui venivano pagate per i loro contenuti, Meta ha reagito con gelida calma ed eliminato la sezione “News” dal Facebook locale. Lontana l’epoca in cui Facebook investiva nel giornalismo e Zuckerberg prendeva addirittura in considerazione l’idea di comprare l’agenzia di stampa Associated Press (succedeva tra il 2017 e il 2018).
Per anni Zuckerberg era stato accusato – soprattutto da destra – di shadowbanning, cioè la riduzione della diffusione di certi profili, i quali non venivano chiusi ma semplicemente neutralizzati. La pratica è reale in certi casi ma divenne parte delle paranoie di alcune frange particolarmente estreme: oggi è invece realtà per chiunque provi a informare o fare attivismo su una proprietà Meta. Lo shadowbanning non come teoria del complotto ma come funzionalità di un social network.
La goccia che pare aver fatto traboccare il vaso di Zuckerberg pare sia stata la pandemia, in particolare le richieste di “censura” che, secondo il ceo, avrebbe ricevuto dall’Amministrazione Biden, preoccupata dalla diffusione di fake news sul Covid-19. “Credo che la pressione da parte del governo fosse sbagliata e rimpiango di non essere stato più esplicito al riguardo”, ha scritto Zuckerberg in una lettera rivolta al repubblicano Jim Jordan, presidente della commissione Giustizia del Congresso, lo scorso agosto. Nelle ultime settimane, secondo Trump, Zuck avrebbe contattato l’ex presidente per parlare di tecnologia e politica in vista delle elezioni (e non è stato il solo: anche Tim Cook di Apple, Sundar Pichai di Google e, pare, Jeff Bezos lo hanno fatto).
A poco più di quattro anni dall’omicidio di George Floyd, che ispirò la protesta dei quadrati neri su Instagram, l’algoritmo di Meta vuole parlare d’altro, e sa come spingere i suoi utenti a farlo. Per riuscirci sembra aver copiato una tattica di TikTok, che non stila lista di contenuti tabù ma limita la diffusione di alcune parole chiave. E X, ovvero l’ex Twitter, invece? L’ex Twitter di proprietà di Elon Musk è stato accusato di usare il shadowban contro i critici del boss ma a dominare il dibattito sulla piattaforma è la brusca svolta a destra di Musk, ormai presenza fissa nei comizi di Trump. Basta provare ad aprire un nuovo profilo X per vedersi raccomandati account molto spostati a destra – tra tutti, ovviamente, quello di Musk stesso.