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Dopo le elezioni americane

Chi si incontra (e si incontrerà) su Bluesky, il social-rifugio di chi scappa da X 

Pietro Minto

Secondo alcuni critici, i suoi utenti sarebbero in una bolla dove tutti sono un po’ troppo d’accordo su tutto, sia politicamente che culturalmente, e andranno a formare così una "echo chamber", camera dell'eco

Per capire Bluesky, il social network simil-X, che dalla vittoria di Donald Trump ha guadagnato milioni di utenti, arrivando (a oggi) a più di venti milioni in totale, bisogna partire da questioni tecniche che hanno a che fare con alcune delle ossessioni della Silicon Valley: la decentralizzazione e la libertà di espressione. Se usando Bluesky la somiglianza con l’ex Twitter risulta molto più evidente di quella di Threads – social di Instagram con 250 milioni di utenti, che però sta seguendo una strada alternativa – è anche perché Bluesky è nato dentro Twitter. Più precisamente, come progetto di ricerca interno voluto dal cofondatore e ceo dell’azienda (fino al 2021), Jack Dorsey. 

 

La sua storia inizia nel 2019, anzi prima, perché da tempo Dorsey viveva con disagio il peso della sua stessa creatura nella società e nella politica, specie per quanto riguarda la moderazione dei contenuti, percepita da alcuni come forma di censura. Fu così che il ceo entrò in contatto con un articolo pubblicato sul sito del Knight First Amendment Institute della Columbia University, una no profit nata per difendere la libertà d’espressione. L’autore dell’articolo, intitolato “Protocols, Not Platforms: A Technological Approach to Free Speech”, era Mike Masnick, fondatore di Techdirt, blog storico e di lunga durata, e proponeva una soluzione all’accentramento di potere nelle mani di poche aziende: “Costruire protocolli, non piattaforme”. “Questo approccio ci riporterebbe a com’era internet un tempo”, scriveva Masnick, ricordando che lo stesso World Wide Web è un protocollo (HyperText Transfer Protocol, o HTTP), così come la posta elettronica (Simple Mail Transfer Protocol). Quello delle mail è forse l’esempio migliore per capire l’importanza di un protocollo e il suo ruolo nella decentralizzazione. In un ambiente centralizzato, ogni servizio è chiuso: per esempio, i post o i messaggi privati su Instagram non sono visibili da TikTok. Nelle mail, invece, chiunque può ricevere e scambiare messaggi con utenti di diversi servizi che adottano lo stesso protocollo: Gmail, Libero, Hotmail e gli altri. “E se i social funzionassero allo stesso modo?” era la domanda dell’articolo. 

 

Pochi mesi dopo l’uscita dell’articolo, Dorsey annunciò su Twitter il finanziamento di un team indipendente di cinque persone per creare “uno standard decentralizzato per i social media” con l’obiettivo di farlo adottare da Twitter stesso. Il progetto crebbe, nel 2021 ottenne un finanziamento di 13 milioni da Twitter per poi diventare un’azienda indipendente, guidata da Jay Graber (che è tuttora la ceo di Bluesky). Lo scorso maggio Dorsey ha lasciato il cda dell’azienda con una mossa un po’ a sorpresa, scrivendo su X, cioè l’ex Twitter comprato dall’amico Elon Musk: “Non dipendete dalle corporation per ottenere i vostri diritti. Difendetevi usando tecnologie di libertà (siete in una di queste)”.

 

Può sembrare strano ma la missione di Bluesky non è, almeno ufficialmente, sviluppare il social network omonimo: la società esiste per lavorare a un protocollo simile a quello immaginato da Masnick. Si chiama AT Protocol e Bluesky non è altro che una proof-of-work (prova di fattibilità), cioè un esperimento con cui testarne le capacità. A complicare ulteriormente le cose, esistono anche altri protocolli per la decentralizzazione dei social network, come ActivityPub (usato da Mastodon e adottato, in parte, anche da Threads) e Nostr. 

 

E’ da questo complessissimo – e noiosissimo – contesto che nasce il fenomeno Bluesky, piccolo social che pur rimanendo lontano dai numeri di Threads comincia a innervosire – se non inquietare – il capo di Instagram, Adam Mosseri, che questa settimana si è sentito in dovere di sottolineare le grandi performance del suo Threads, scrivendo che gli utenti quotidiani di Threads sono pari a quelli totali di Bluesky (affermazione che non trova riscontro nei dati di Similarweb, azienda che misura il traffico online). Secondo Mosseri, quindi, non c’è gara. O forse sì? Perché è ormai una settimana che Bluesky aggiunge un milione di utenti al giorno e sempre più persone possono quindi apprezzare la differenza tra questo e Threads. Quest’ultimo, infatti, ha numeri notevoli e in aumento ma offre un’esperienza social molto particolare: quelli di Meta non ne vogliono più sapere di politica e di giornalisti, e quindi l’algoritmo di Threads non segue l’attualità e le news, ma sceglie contenuti ad hoc per gli utenti. Risultato: Threads è pressoché inutile durante le elezioni o i grandi eventi, che sono invece da sempre i momenti “migliori” da passare su Twitter. 

 

Su Bluesky, invece, la situazione è più simile al Twitter pre Elon Musk, oggi spesso ricordato con eccessivo entusiasmo. L’elefante di questa stanza è lui, Musk, capo di X ma anche consigliere de facto di Donald Trump e spauracchio di tutti quegli utenti che cercano un riparo sicuro dalla sua piattaforma – o una piccola vendetta politica. L’emorragia di utenti da X ha favorito soprattutto Bluesky, che finora è cresciuto lentamente e con cautela, aggiungendo funzionalità col lumicino per non diventare troppo grandi prima del previsto. Non che a Musk interessi granché, visto che alcuni grandi inserzionisti pubblicitari che avevano abbandonato la piattaforma per la totale assenza di moderazione dei contenuti e degli estremismi, sono pronti a tornare – sperando di fare piacere a Trump. 

 

Non tutti nella comunità che vuole la decentralizzazione vedono però di buon occhio il successo di Bluesky, che rappresenta il successo di AT Protocol, protocollo alternativo a quello che sembrava destinato ad affermarsi, ActivityPub. Insomma, la decentralizzazione è appena iniziata e il settore rischia di dividersi già tra bande rivali. Quella che sembra – ed è, in parte – una bega tra nerd nasconde in realtà una lotta per la quasi inevitabile evoluzione del web e dei social: un mondo in cui, dal proprio account Threads, si potranno seguire anche utenti di altri social, e nessun miliardario annoiato potrà comprarsi un social network. O meglio, il miliardario di turno potrebbe anche provarci ma agli utenti basterebbe cambiare client o server, per accedere allo stesso protocollo da un altro punto della rete.
In questi giorni trionfali su Bluesky si è discusso molto di echo chamber, “camere dell’eco”. Secondo alcuni critici, infatti, i suoi utenti sarebbero in una bolla dove tutti sono un po’ troppo d’accordo su tutto, politicamente e culturalmente (Musk, in questo, si conferma spauracchio collettivo).

 

E se la decentralizzazione, invece che un processo tecnologico, fosse innanzitutto un processo culturale, che porta alla creazione di tanti miniTwitter, ognuno con la sua sottocultura o orientamento politico? Se la crescita di questi giorni continuerà, gli utenti di Bluesky si troveranno inevitabilmente di fronte a utenti che non sono “del giro”, non conoscono il social e magari non hanno opinioni così definite su Trump e Musk. E’ il prezzo del successo. Non sarebbe nemmeno una novità: nel 1993 il servizio America Online, con cui i primi utenti si collegavano online, aprirono le porte di Usenet, una primordiale rete internet, a sempre più utenti. Ogni anno, a settembre, migliaia di giovani andavano al college dove si collegavano a Usenet per la prima volta e qui seminavano il panico, non conoscendo l’etichetta e le tradizioni del luogo. Ogni settembre, quindi, toccava alla vecchia guardia formare le reclute. Quando Usenet fu aperto a tutti per sempre, però, l’afflusso di nuovi arrivati divenne costante, irreparabile. Lo chiamarono “settembre eterno” e, tecnicamente, è ancora in corso. Quello di Bluesky, forse, è appena cominciato.

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