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Problematiche

Il ddl sull'intelligenza artificiale del governo è un pericolo per competitività e innovazione

Cesare Galli

Il testo arrivato in Senato si riduce a impegni generici, mentre i vincoli sono largamente discrezionali nella loro applicazione, col rischio che si ripeta ciò che è avvenuto per le biotecnologie e gli Ogm, con sequestri arbitrari di laboratori e aziende

E’ in corso al Senato l’esame del disegno di legge del governo sull’intelligenza artificiale (il ddl n. 1146), che si propone di promuovere l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, purché ciò avvenga in condizioni di sicurezza e trasparenza. Sennonché la promozione si riduce a impegni generici o all’enunciazione di obiettivi, altrettanto generici (art. 5), mentre i vincoli (art. 3, comma 5°, cui si aggiungono gli obblighi di carattere settoriale degli artt. 7-14) sono largamente discrezionali nella loro applicazione, col rischio che si ripeta ciò che è avvenuto per le biotecnologie e gli Ogm, con sequestri arbitrari di laboratori e aziende. Più grave ancora è che questi vincoli hanno carattere generale e indiscriminato (salvo un richiamo alla “proporzionalità”, di cui non sono però specificati chiaramente i criteri) e dunque costituiscono un forte freno allo sviluppo dell’AI nel nostro paese.

 

Questa scelta si pone in rotta di collisione con l’approccio seguito dall’Unione Europea col Regolamento (UE) 2024/1689, che, pur non andando esente da critiche, ha però il grande merito di intervenire solo sui sistemi AI ad alto rischio (puntualmente individuati), su quelli che vengono in contatto con le persone fisiche e sui modelli di AI per finalità generali, dettando solo per questi regole specifiche per salvaguardare i diritti fondamentali e inoltre prevedendone un’applicazione graduale da qui al 2026, che quindi non esclude correttivi: mentre affida al mercato lo sviluppo dell’AI dove questi potenziali conflitti non si pongono. Il contrasto col diritto UE è addirittura clamoroso per l’art. 5 del ddl, che impone alla PA che, nella scelta dei fornitori di sistemi e modelli di AI, siano “privilegiate quelle soluzioni che garantiscono la localizzazione e l'elaborazione dei dati critici presso data center posti sul territorio nazionale”, senza rispettare il principio della libera circolazione delle merci e dei servizi nell’Unione Europea.

 

Di dubbia costituzionalità è poi l’art. 25, che introduce un reato dai contorni vaghi, vietando la diffusione di “immagini, video o voci falsificati o alterati … idonei a indurre in inganno sulla loro genuinità”, ma solo se ciò avvenga “mediante l'impiego di sistemi di intelligenza artificiale”, con una distinzione non rispettosa del principio di eguaglianza e una formulazione che non pare conforme al fondamentale principio garantista di tassatività delle norme penali. A questi gravi inconvenienti si è ancora in tempo a porre rimedio: tra gli emendamenti presentati dai Senatori (soprattutto di maggioranza, ma in qualche caso anche di opposizione) ve ne sono alcuni che riprendono i suggerimenti di Indicam, l’Associazione italiana per la lotta alla contraffazione e al parassitismo, diretti a riallineare questo testo al diritto comunitario e ai valori costituzionali. Se il Governo li facessi propri, questo testo normativo potrebbe essere riequilibrato, evitando di finire involontariamente per ostacolare lo sviluppo e l’impiego nel nostro Paese degli algoritmi dell’intelligenza artificiale proprio là dove sono maggiormente necessari, diventando fattori di nuova crescita economica. Basti pensare a come l’AI potrebbe aiutare le imprese ad accrescere la loro produttività e a competere sul mercato globale, generando nuove opportunità di business, e a gestire politiche attive del mercato del lavoro, affidate ai privati e alla concorrenza, per le quali serve (e l’AI vi può contribuire in modo decisivo) comprendere come e dove orientare e formare i lavoratori per trovare nuove opportunità di impiego compatibili con lo sviluppo tecnologico e le nuove domande del mercato.  

 

Insomma, alla presunzione statalista di poter legiferare su tutto e risolvere ogni problema con la bacchetta magica dell’intervento pubblico va contrapposta una visione aperta e liberale, consapevole del fatto che i sistemi normativi nazionali sono anch’essi in concorrenza tra loro, cosicché le norme che vengono adottate, anche con le migliori intenzioni, possono tagliar fuori un Paese da importanti opportunità di sviluppo, condannandolo alla marginalità: e che dunque, di fronte a fenomeni dalle enormi ripercussioni sull’economia e sul mondo della vita e di rilievo globale, come è anche l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, occorre avere la prudenza (e l’umiltà) che derivano dalla complessità del reale e dalla maggiore capacità che il mercato e la tanto vituperata ricerca del profitto hanno di gestirla e governarla nell’interesse di tutti.

Cesare Galli Professore di diritto industriale all’università di Parma