Il fronte sottomarino
Con ricerca e innovazione l'Italia (e l'Europa) si attrezza per difendere le infrastrutture sott'acqua
Il taglio, la manomissione o l’uso improprio dei cavi sottomarini può causare effetti vari sui flussi di informazioni, comprese transazioni finanziarie che assommano a dieci trilioni di dollari al giorno. Le conseguenze di un attacco sull’economia mondiale sono state paragonate a quelle di un attacco nucleare. Reportage
“Abbiamo il mare, il luogo” dice il Contrammiraglio Giulio Cappelletti, vicedirettore della Struttura operativa del Polo nazionale della dimensione subacquea (Pns). Dalla finestra dell’ufficio di Cappelletti s’intravede il Golfo della Spezia, Golfo dei Poeti e storico scenario della Marina militare italiana. A un anno dalla sua fondazione, il Polo è un catalizzatore per il cluster subacqueo (marine, industrie, piccole e medie imprese, start up, centri ricerche, università). E’ la porta d’accesso a quella che è stata definita la “Dimensione subacquea”, con un termine che evoca il superamento di una concezione spaziale classica per portarci in un universo parallelo. Quello che era stato preconizzato da Giulio Verne.
“Nel 1969, quando l’uomo ha messo il piede sulla Luna, leggevo Giulio Verne. Da allora, è stata lanciata vera corsa verso lo spazio. Nel mondo subacqueo, invece, siamo rimasti ai tempi di Giulio Verne”, ha detto l’ammiraglio Enrico Credendino, capo di stato maggiore della Marina militare italiana, a un evento a bordo della nave Cavour a maggio scorso . “L’80 per cento dei fondali marini oggi è inesplorato, il 97 per cento dei fondali abissali è inesplorato. Conosciamo meglio la superficie della Luna, di Marte e di Giove dei fondali marini, ancor più per quelli abissali. Il che ci dovrebbe far riflettere”. Verne è stato evocato spesso dagli ammiragli italiani: nei panni del Capitano Nemo è il Virgilio che li guida in quel mondo alieno che copre oltre i due terzi del pianeta. “Il mare è il grande serbatoio della natura. E’ grazie al mare che il mondo è per così dire cominciato e chissà che non finisca con il mare”, dice il Capitano Nemo, facendo presagire tragici scenari. Poi quell’uomo cupo sembra trovar pace. “Nel mare è la pace infinita perché il mare non appartiene ai despoti. Sulla sua superficie possono esercitare diritti iniqui, battersi, divorarsi, trasportarvi tutti gli orrori terrestri. Ma trenta piedi al di sotto cessa il loro potere, si estingue la loro influenza, svanisce la loro potenza”. Con qui Nemo perde la sua preveggenza. Sempre più, la lotta per il potere si combatte sotto il mare.
Conosciamo meglio la superficie della Luna, di Marte e di Giove dei fondali e degli abissi marini
Il Nautilus del Capitano Nemo può condurci ben oltre le ventimila leghe (poco meno di 80 mila chilometri) del viaggio narrato da Giulio Verne. “Ventimila leghe sotto i mari”, dunque, romanzo tanto spesso citato quanto equivocato (c’è chi crede che le ventimila leghe si riferiscano alla profondità) richiederebbe un’interpretazione ermeneutica. Gli ammiragli la chiamano “Underwater Situational Awareness”, conoscenza multidisciplinare della dimensione subacquea, il cui obiettivo è la “Critical Seabed Infrastructure Protection”, il controllo e la difesa delle “Critical Undersea Infrastructure”. In questo oceano di criticità s’intrecciano gasdotti, oleodotti, infrastrutture per il trasporto di energia elettrica e quelle che sono l’anello più debole nella rete deposta sui fondali: i cavi sottomarini per comunicazioni. Nel febbraio scorso, quando gli attacchi missilistici Houthi in Mar Rosso hanno provocato, sia pure indirettamente, la rottura di quattro cavi, quell’unico evento si è ripercosso sul 70 per cento del traffico dati tra Europa e Asia. L’ultimo incidente è stato il taglio di due cavi in Mar Baltico avvenuto tra domenica 17 e lunedì 18 novembre. Secondo il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, si tratta di un atto di sabotaggio e secondo i rapporti dell’intelligence è stato provocato da un cargo cinese che era salpato da un porto russo sul Baltico poco prima di trovarsi sul punto di passaggio dai cavi. Un sabotaggio che appare una forma esemplare di guerra ibrida.
“Oltre il 95 per cento dei dati e delle comunicazioni scorre in oltre un milione di chilometri di cavi in fibra ottica fatti scivolare sui fondali”, aveva detto al Foglio a febbraio l’ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, sottocapo di Stato maggiore della Marina militare italiana e presidente del Comitato di direzione strategica del Pns, in occasione di uno degli incontri svolti a Bangkok con i paesi dell’Indo-Pacifico. Il taglio, la manomissione o l’uso improprio dei cavi sottomarini può inoltre causare effetti vari sui flussi di informazioni, comprese transazioni finanziarie che assommano a dieci trilioni di dollari al giorno. Le conseguenze di un attacco sull’economia mondiale sono state paragonate a quelle di un attacco nucleare. “E’ per questo che la Marina militare ha creato il Pns, un incubatore di conoscenze e programmi per il potenziamento della ricerca tecnico-scientifica e dell’innovazione tecnologica. E’ un progetto che mette assieme Difesa, industria, imprese, start-up, università per sviluppare i progetti di ricerca e la sperimentazione di tecnologie nel settore della subacquea. Una soluzione inclusiva nel campo civile e militare”, aveva spiegato l’ammiraglio Berutti Bergotto. “Il nostro è destinato a divenire un modello e il centro di eccellenza della Nato per l’Underwater”.
Il Pns è stato inaugurato lo scorso dicembre presso il Centro di supporto e sperimentazione navale di San Bartolomeo, quella che era la storica sede del silurificio della Regia Marina. Oggi è al centro del “Miglio Blu”, poco più di un miglio marino dove sono concentrate eccellenze della blue economy: cantieri di megayacht e strutture di ricerca come il Centro di supporto e sperimentazione navale della Marina militare italiana e il Centro Nato della Maritime Research and Experimentation. Le acque antistanti sono popolate da ogni specie di veicoli subacquei: i Rov (Remotely Operated Vehicles), veicoli subacquei filoguidati, gli Auv (Autonomous Underwater Vehicles), autonomi, entrambi appartenenti alla grande famiglia degli Uuv (Unmanned Underwater Vehicles), quei droni ormai entrati nel lessico degli apprendisti stregoni, che vengono lanciati da una nave madre o addirittura da navi unmanned, ossia da altri droni. In questo scenario prossimo venturo, le nuove tecnologie potranno spostare sott’acqua tutto il confronto, con sottomarini che saranno i vettori di droni subacquei. Infine, ci sono gli Hov, gli Human Occupied Vehicles, in particolare i minisommergibili per incursione o pattugliamento, come l’M23 prodotto da una società italiana per la marina del Qatar grazie a un accordo cui partecipa Fincantieri.
Sulla banchina di fronte all’edificio principale del Pns, un gruppo di giovani ufficiali sta testando un veicolo subacqueo che è una via di mezzo tra un Rov e un Auv: anziché essere collegato alla nave è collegato a una boa da cui riceve e trasmette i segnali. “Sono i nostri sex toys”, dice un guardiamarina che sta preparando il suo dottorato all’Università di Pisa. “Per ora, a cominciare dal termine droni, fa tutto parte di un immaginario collettivo”, dice l’ammiraglio Massimo Vianello, ex comandante di Maricodrag (Comando delle Forze di contromisure mine). Oggi in pensione, quale membro del Cesmar, il Centro studi di politica e strategia marittima, ha fatto da guida nella realizzazione di questo servizio. “Ma è un immaginario che si collega a tutto un mondo di ricerca e sviluppo industriale”. Il Polo subacqueo è lo strumento per materializzare questo immaginario attraverso una serie di bandi di ricerca tecnico-scientifica. “L’obiettivo è di far emergere le piccole e medie imprese, coinvolgere le università, amplificare coordinamento tra grandi aziende”, dice il contrammiraglio Giulio Cappelletti che in questa convergenza di competenze e interessi identifica un’amplificazione del sistema paese, una forma di “sovranità tecnologica”. “Se compri all’estero compri a scatola chiusa”, spiega. “Oltre un certo limite non hai possibilità d’intervento”. Un’esigenza di sovranità che si rivela importante anche per rispondere ad azioni esterne. “I francesi cercano di boicottare l’Italia anche con un’attività sporca”, afferma una fonte riservata del Foglio. “Non sopportano che il Polo subacqueo divenga un punto di riferimento anche per la Nato”.
Sulla banchina un gruppo di giovani ufficiali testa un veicolo subacqueo: “Sono i nostri sex toys”
Uno dei primi bandi ha per obiettivi lo sviluppo di tecnologie, metodologie e algoritmi volti a migliorare la precisione di navigazione e quindi l’accuratezza di posizione degli Uuv. Ma intanto al Pns si discute e si ragiona sulla ricerca di materiali “eterni”, come superare i grandi ostacoli nella trasmissione dei dati, ossia la pressione e l’opacità, come difendere le infrastrutture critiche che a ogni progresso innescano una nuova vulnerabilità.
E’ il caso, per esempio, dei data center subacquei. Offrono il grande vantaggio di un raffreddamento e di un isolamento naturale, ma sono anche più vulnerabili perché in profondità la maggior densità dell’acqua trasmette più velocemente gli attacchi sonori. Di conseguenza è stato sviluppato un algoritmo che identifica con precisione gli attacchi sonori e permette al sistema di difendersi prima di venir colpito. Ma poi bisognerà difendersi da attacchi più insidiosi come quelli che saranno effettuati contagiando i cavi con fake news che verranno poi diffuse globalmente. Di conseguenza si dovranno sviluppare cavi subacquei con intelligenza propria, che verranno deposti e controllati da manipolatori anch’essi governati da intelligenza artificiale e dotati di pollice opponibile. E’ come vedere materializzarsi un oceano brulicante di mostri marini come il Leviatano e il Kraken. Solo che questi saranno Uuv in grado di pensare e agire come esseri umani.
Per agire in questa dimensione subacquea” è indispensabile una diplomazia subacquea e un “Seabed Warfare”, termine che comprende l’insieme delle attività militari volte a proteggere le infrastrutture subacquee e gli interessi economici a esse correlati da qualunque tipologia di minaccia e che include anche la prevenzione di sabotaggi, le attività d’intelligence e degli “effettori”, ai quali è riservato il compito di risolvere i problemi. La situazione è stata delineata in termini operativi dall’ammiraglio De Carolis, Comandante in capo della Squadra navale, in una recente intervista a Limes. “L’Italia è particolarmente sensibile al problema, specie per la rete di gasdotti, fondamentali assetti per la nostra sopravvivenza da proteggere con una pluralità di mezzi di cui la Marina dispone e con una intensità che è cresciuta negli ultimi anni. Va poi considerato il ruolo dell’intelligence la cui situazione necessita la gestione di grandi masse di file in ingresso e in uscita. Se a questo uniamo la necessità di avere feedback continui provenienti da teatri operativi marittimi parte di uno scenario che va oltre il Mediterraneo tradizionale, si comprende come il comando, il controllo, le telecomunicazioni e le reti di computer, telematiche e di sicurezza (in cui rientra anche la difesa cyber) siano oggi indispensabili alla gestione delle operazioni navali”.
La dimensione geopolitica, a sua volta, diventa ancor più complessa perché gli scenari si dilatano. Le regioni divengono “super-regioni” intrecciate tra loro più per le criticità che dalle relazioni. E’ quasi un “entanglement” quantistico, una correlazione tra diversi elementi che implica un’azione “fantasmatica” a distanza. Un po’ come si è visto nel caso del sabotaggio dei cavi nel Baltico: la Germania viene colpita tagliando casi che partono dalla Finlandia a opera di una nave cinese nel quadro del conflitto tra Russia e Ucraina. Il fenomeno è ben analizzato dal comandante Jihoon Yu della Marina della Corea del sud e ricercatore al Korea Institute for Defense. Nel suo articolo la regione dell’Indo-Pacifico appare sorprendentemente simile a quella del Mediterraneo-allargato in cui i cavi sottomarini costituiscono l’infrastruttura più vitale e vulnerabile. Secondo il comandante Jihoon il controllo dei cavi sottomarini offre un vantaggio strategico fondamentale. Sono quindi un obiettivo primario in ogni conflitto geopolitico ma, nonostante ciò, non ricevono adeguata attenzione. Per aumentarne la sicurezza è necessario un approccio multiplo che li integri nei sistemi di sicurezza nazionale e regionale e sono cruciali forti investimenti per l’innovazione tecnologica ottenuti grazie alla partnership pubblico-privato.
Intanto là dove si giocherà la madre di tutte le battaglie di questo risiko subacqueo, ossia nelle acque attorno all’isola di Taiwan, si stanno elaborando nuove strategie. Per ora sembra stia prevalendo la “Strategia del Porcospino” che prevede l’impiego massiccio di Uuv per difendersi da un’invasione cinese anfibia. Secondo altri, soprattutto statunitensi, questa strategia manca di agilità e di capacità offensive e andrebbe quindi preferita la Strategia del Tasso del miele, animale noto per la sua aggressività, che prevede un dispiegamento di mezzi che possano colpire il nemico ben prima che si avvicini alle coste. Le avventure del Capitano Nemo, a questo punto, appaiono come favole per bambini. “Sott’acqua c’è un traffico paragonabile a quello aereo. E’ un universo congestionato”, dice l’ammiraglio Vianello. Le nuove trame sono quello dei techno-thriller in cui i mezzi che si pensano in centri di ricerca come il Polo della dimensione Subacquea sono ricercati da “cattivi” di ogni risma: stati canaglia, terroristi o i narcotrafficanti, precursori nell’uso dei minisommergibili, che potrebbero utilizzare gli Uuv. Ben più pericolosi, però, potrebbero rivelarsi compagnie private high-tech, o addirittura tycoon indipendenti che decidessero di puntare alla conquista degli abissi anziché a quella dello spazio.
Per fortuna si aprono prospettive molto meno inquietanti. Gli algoritmi destinati a guidare gli Uuv, per esempio, potranno essere impiegati per realizzare un “navigatore” subacqueo da diporto. Ottima notizia per milioni di subacquei “normali”, come chi scrive per il Foglio.