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Wilson Bentley, il primo fotografo degli straordinari cristalli

Massimiano Bucchi

Il padre dei fiocchi di neve era un dilettante che osservava la natura da scienziato e da poeta: il 18 gennaio 1885 riuscì a scattare quella che è nota come la prima microfotografia di un cristallo di neve mai realizzata

Le immagini di cristalli di neve che oggi siamo abituati a vedere in illustrazioni, maglioni e tazze per evocare l’atmosfera natalizia devono molto (quasi tutto) a una singola persona. Che non era uno scienziato di professione, né un disegnatore, bensì un agricoltore del nord-est degli Stati Uniti. Wilson Alwyn Bentley nasce il 9 febbraio 1865 a Jericho, nel nord del Vermont. I genitori, scelta assai diffusa per l’epoca in quella zona, decidono di risparmiare al piccolo Wilson la sfida quotidiana con i gelidi inverni per raggiungere la minuscola scuola locale. “Non andai mai a scuola fino all’età di quattordici anni. Mia madre mi istruì a casa. Era stata insegnante prima di sposare mio padre, e instillò in me l’amore per la conoscenza e le cose più raffinate della vita. Aveva dei libri, e tra questi alcune enciclopedie. Li lessi tutti”. Il destino vuole che Fanny, la madre, abbia conservato in un armadio anche un piccolo microscopio, utilizzato ai tempi dell’insegnamento. A Wilson, ormai quindicenne, basta prenderlo in mano per scoprire quella che diventerà la sua ragione di vita. “Gli altri ragazzi della mia età giocavano con finte pistole e fionde; io ero sempre al microscopio a guardare gocce d’acqua, piccole schegge di pietra, piume cadute da un’ala d’uccello, le vene delicate sul petalo di un fiore”.

 

Non ci vuole molto prima che questa passione per l’osservazione si incontri con un’altra caratteristica che distingue il ragazzo dai suoi conterranei. “La gente di campagna, in questo paese del Nord, teme l’inverno; ma io ero supremamente felice, dal giorno della prima nevicata – che di solito arrivava a novembre – fino all’ultima, che a volte arrivava tardi, persino a maggio”. Da allora, per tutto l’inverno, appena ha terminato i compiti di scuola e il lavoro in fattoria, il giovane Bentley sparisce in uno sgabuzzino dove passa il tempo a osservare i cristalli di neve al microscopio. Lo affascinano quelle forme geometriche. “Scoprii che i fiocchi di neve erano miracoli di bellezza” raccontò molti anni dopo. “Mi pareva un peccato che questa bellezza non potesse essere vista e apprezzata da altri. Ogni cristallo era un capolavoro di design. Quando un fiocco di neve si scioglieva, quel design era perduto per sempre. Tanta bellezza scomparsa, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé”. Wilson prova centinaia di volte a disegnare sul suo taccuino le proprie osservazioni, ma i risultati non sono nemmeno lontanamente paragonabili all’originale. Un giorno legge da qualche parte che esistono macchine fotografiche in grado di scattare immagini al microscopio. Resta solo un ostacolo, che però pare insormontabile, il costo: cento dollari, una somma con cui in quell’area si comprano cinquanta ettari di terra; impensabile spendere tanto per quello che l’austero padre considera “il ridicolo capriccio di un ragazzo”.

  

    

Ma ancora una volta interviene un twist of fate di quelli che mettono i brividi. Muore la nonna, e la madre eredita alcune proprietà e toh, cento dollari in contanti giusti giusti. La signora Fanny in qualche modo riesce a convincere il coniuge recalcitrante, e per il suo diciassettesimo compleanno Wilson riceve la macchina fotografica “che gli assicurerà un posto nella storia”. Resta un dettaglio non da poco. Non avendo mai preso una macchina fotografica in mano, il ragazzo non sa da dove cominciare. Giorno dopo giorno, prova e riprova, commettendo tutti gli errori possibili. Piano piano impara a direzionare la luce e a mettere a fuoco i dettagli, lavorando con estrema rapidità prima che i cristalli cambino forma. La svolta storica avviene durante una tempesta di neve: il 18 gennaio 1885 riesce a scattare quella che è nota come la prima microfotografia di un cristallo di neve mai realizzata. “Il giorno in cui sviluppai il primo negativo realizzato con questo metodo e lo trovai riuscito, sentii quasi il desiderio di inginocchiarmi accanto a quell’apparecchio e adorarlo! Fu il momento più grande della mia vita”. 

 

Da quel giorno, Bentley fa della fotografia e dell’osservazione di cristalli di neve la propria ragione di vita, scattando oltre cinquemila foto e riempiendo 47 taccuini di osservazioni. A forza di tentativi, mette a punto un metodo artigianale che gli consente di immortalare al meglio i cristalli di neve. Con una paglietta presa dalla scopa della madre li adagia su un vetrino opportunamente raffreddato e poi li sistema con una piuma di tacchino, facendo attenzione a non scioglierli con il calore del proprio respiro. Lavora anche sull’editing delle foto già scattate per migliorarne la resa, creando uno sfondo scuro che esalta le forme geometriche dei cristalli. Per un cristallo di neve particolarmente elaborato impiega fino a quattro ore.

 

A questo punto mancherebbe solo una cosa per completare questa bella storia: un pubblico. Il mondo esterno, infatti, continua tranquillamente a ignorare Bentley, le sue immagini straordinarie e la sua approfondita conoscenza dei fiocchi di neve. Non lo aiuta il suo carattere timido e pacato – d’altronde, chi è lui, contadino istruito a domicilio, per presentarsi di fronte ai professoroni che studiano l’argomento? Ma anche lasciando perdere gli scienziati, a rattristarlo è anche la sensazione di incomunicabilità con i propri conterranei, che pure apprezzano la sua tempra di lavoratore della terra, la sua gentilezza, i suoi talenti musicali quando suona il piano e il clarinetto per i bambini dei vicini. Ma in fondo, e c’è da capirla, la gente del posto pensa che sia un po’ picchiatello uno che passa tutto l’inverno a fotografare la neve al microscopio, vestito sempre uguale: giacca stazzonata e cravatta, cappotto scuro, cappello in testa, e poi i baffoni folti che lo fanno assomigliare a uno dei fratelli Dalton di “Lucky Luke”. Sicché il pur schivo Bentley pensa di dover fare un almeno tentativo. “Pensai che potessero essere felici di comprendere quello che stavo facendo. Così annunciai che avrei tenuto una conferenza nel villaggio e mostrato con la lanterna magica le mie fotografie. Sono bellissime, sai, meravigliosamente belle sullo schermo. Ma quando arrivò la sera della mia conferenza, c’erano solo sei persone ad ascoltarmi. Era gratuita, bada bene! Ed era anche una serata piacevole e tranquilla. Ma non erano interessati”. 

 

Uno spiraglio di luce arriva finalmente grazie a un professore dell’Università del Vermont, il naturalista George Perkins. Avendo dedicato anni di studio e ben tre ponderosi volumi agli “insetti pericolosi del Vermont”, Perkins sa bene che cosa sia lo studio meticoloso e solitario. In qualche modo ha sentito parlare di Bentley, e lo incoraggia a scrivere un articolo per la rivista Popular Scientific Monthly. L’articolo esce nel 1898 e rivela la caratteristica distintiva dell’autore rispetto agli studiosi accademici. “Sapeva osservare la natura” ha scritto il suo biografo Duncan Blanchard “sia con gli occhi dello scienziato che con quelli del poeta”. Da allora in poi le pubblicazioni scientifiche del dilettante del Vermont diventano copiose, soprattutto sulla Monthly Weather Review. Ma a lungo restano ignorate dagli specialisti del settore. Forse perché era impensabile, o addirittura inammissibile, che “fosse un contadino a scoprire le verità della natura”; forse perché i suoi risultati erano “anni avanti rispetto al pensiero meteorologico dell’epoca”. La sua ipotesi, basata su migliaia di osservazioni, che la struttura dei cristalli dipendesse dalla temperatura dell’aria fu confermata molti anni dopo dallo scienziato giapponese Ukichiro Nakaya. Bentley comunque non si scoraggia e continua a pubblicare: una sessantina di articoli specialistici e divulgativi (per testate quali National Geographic, Popular Mechanics, Country Life, The New York Times Magazine) e perfino la voce “neve” per la XIV edizione dell’Enciclopedia Britannica.

 

A lungo ignorato dalla comunità scientifica, nel 1920 è eletto socio dell’American Meteorological Society, diventando una figura di riferimento per chiunque si interessi di neve. Molti non lo conoscono neppure per nome, ma per quello che è diventato ormai il suo soprannome: Snowflake man, “l’uomo dei fiocchi di neve”. Ora magari vi starete facendo una domanda. D’inverno, ormai si è capito, Bentley passa il tempo a fotografare i fiocchi di neve, ma nelle altre stagioni? Non sta certo con le mani in mano. Intanto, avendo perso il padre, si occupa della madre invalida. Con la famiglia del fratello (lui rimarrà sempre scapolo) manda avanti la fattoria. Poi quando la neve non c’è, la sua attenzione si dirige verso l’altro fenomeno meteorologico che abbonda nel Vermont: la pioggia. E anche qui manco a dirlo accumula osservazioni, misurazioni, fotografie di gocce di pioggia come nessuno aveva mai fatto prima. 

 

Nel 1924 l’American Meteorological Society gli assegna perfino un finanziamento di circa quattromila dollari come riconoscimento “per quarant’anni di lavoro estremamente paziente”. Bentley incassa ma con pragmatismo contadino fa notare di averne spesi di tasca propria almeno quindicimila tra materiali e giornate di lavoro. Ma come si dice, è il pensiero che conta. Il riconoscimento definitivo avviene quando William Humphreys, fisico a capo dell’Ufficio meteorologico degli Stati Uniti, lancia con successo una raccolta fondi per non disperdere l’immenso patrimonio fotografico e documentale accumulato da Bentley. Ci vogliono anni per passare in rassegna oltre quattromila fotografie e selezionarne circa la metà. A novembre del 1931 finalmente è pronto il libro Snow Crystals, con la prefazione dello stesso Humphreys, un testo tuttora ristampato che consegna definitivamente alla storia l’opera di Bentley. 

 

Il tempo scorre anche nei lenti inverni del Vermont. Un giorno di inizio dicembre dello stesso anno, l’ormai sessantaseienne Bentley si prepara a fotografare la prima neve della stagione con la sua fidata macchina fotografica, la stessa che gli fu regalata per il suo compleanno quasi cinquant’anni prima. Come ogni giorno, registra le condizioni del meteo su uno dei propri taccuini: “Pomeriggio di vento freddo del nord. Svolazzi di neve”. Sarà l’ultima annotazione. Una tempesta di neve lo sorprende a dieci chilometri da casa, senza un abbigliamento adeguato. Nei giorni successivi resta a letto; quando i parenti, vincendo le sue resistenze, convocano il medico, ormai è troppo tardi. Due giorni prima di Natale, il 23 dicembre 1931, Wilson Bentley muore di polmonite. Oltre alle sue foto pionieristiche, decisive nell’incidere i simboli della neve nel nostro immaginario, dobbiamo a lui anche la prima annotazione di un’idea entrata nella cultura popolare, quella secondo cui non ci sono due fiocchi di neve identici. “Ogni cristallo” scrive nel 1925 “era un capolavoro di design e nessun disegno si ripeteva mai. Quando un fiocco di neve si scioglieva, quel disegno andava perso per sempre” (un’altra sua intuizione pionieristica, poi confermata molti anni dopo, e recentemente anche dal fisico del Caltech Kenneth Libbrecht). 

 

Nel suo necrologio, il quotidiano locale Burlington Free Press scrisse: “Per Longfellow il genio è infinita cura meticolosa. Per Ruskin, il genio è solo un potere superiore di vedere. Wilson Bentley era un esempio vivente di questo tipo di genio. Vide qualcosa nei fiocchi di neve che altri uomini non riuscivano a vedere, non perché non potessero vederlo, ma perché non avevano la pazienza e la comprensione necessarie per osservare. E’ proprio vero: la grandezza fiorisce in angoli silenziosi e prospera in circostanze strane. Perché Wilson Bentley era un uomo più grande di molti milionari che vivono nel lusso, un lusso che lui non ha mai nemmeno sognato”. La vigilia di Natale, non appena la salma dell’“uomo dei fiocchi di neve” viene deposta nel camposanto di Jericho, la neve comincia lentamente a scendere fino a coprire il terreno.