
(Getty images)
In Italia serve un Doge per l'IA
Efficienza e meno burocrazia per competere con Trump e Musk. Ma in Europa si deve far fronte alle regole stringenti dell'AI Act. La strategia italiana di Agid va nella direzione giusta ma per ora è solo una conferenza stampa
E’ stato pubblicato in Usa il provvedimento di creazione del Doge, il Department of Government Efficiency guidato da Elon Musk. Al netto di quel che si può pensare della coppia Trump-Musk, Doge è un esperimento interessante per chi si occupa di digitalizzazione della PA. Si usa una vecchia agenzia pubblica per dargli nuovi compiti e un nuovo capo (Musk) a diretto riporto del presidente degli Stati Uniti. Doge è una struttura a termine, in soli 18 mesi deve “fare una massiccia innovazione digitale della Pa” e per farlo ha sostanzialmente mano libera sull’utilizzo di tutti i dati della PA superando anche i vecchi limiti regolamentari. Curioso che si tratti della stessa agenzia (Us digital service del 2013) che anni fa ispirò in Italia la creazione del team per la trasformazione digitale, affidato a Diego Piacentini a diretto riporto del presidente del Consiglio, e oggi confluito nel dipartimento della transizione digitale. Noi italiani non siamo digiuni a tentativi simili: è che prima non esisteva l’IA, adesso sì.
Quando è stato scritto il Pnrr, non c’era ancora una discussione sull’intelligenza artificiale. Nel Pnrr si stanno facendo investimenti per il cloud, per la digitalizzazione degli archivi e delle procedure che riguardano gli appalti, ma non c’è nulla sull’IA. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore pubblico promette un grande incremento di efficienza e produttività, ma è subordinato a una riorganizzazione complessiva perché il lavoro del funzionario deve essere trasformato da un sistema formale di passaggi procedurali verso un sistema basato sull’interazione con il software e sul dialogo con i contenuti che possono essere consultati e rielaborati dalle macchine. Non solo i dipendenti devono essere formati per cogliere queste opportunità, ma la stessa pubblica amministrazione deve essere riorganizzata in modo coerente, altrimenti il rischio è di digitalizzare le inefficienze invece che migliorare i processi.
Lo sviluppo di progetti di IA nella pubblica amministrazione può fare leva sulle tante applicazioni con cui alcune amministrazioni pubbliche si sono già messe a disposizione dei cittadini in modo facile ed accessibile. Il Comune di Roma ha sviluppato la app Julia per il Giubileo. La strada degli assistenti virtuali, già intrapresa dai comuni di Siena e Trento, può trarre giovamento dall’IA generativa. Il Comune di San Benedetto del Tronto usa un’app, non per assistere i cittadini o i turisti, ma per ricevere da loro segnalazioni. Ma solo poche amministrazioni (per esempio il progetto Savia in Emilia Romagna) sono in grado di usare l’IA per migliorare l’efficienza del processo legislativo e delle attività amministrative grazie a una consultazione efficiente del database delle leggi e degli atti amministrativi.
In Europa, contrariamente agli Usa, ci sono regole stringenti sull’uso raccolte nell’AI Act. Le grandi amministrazioni possono cavarsela perché hanno sviluppatori e avvocati per affrontare l’AI Act. Per esempio, l’Agenzia delle Dogane si serve del Machine Learning per rendere più veloci i tempi di sdoganamento delle merci e i controlli anti-frode, l’Inps per smistare le comunicazioni ricevute verso gli uffici competenti, l’Inail per aumentare il numero di imprese che possono partecipare agli avvisi pubblici. Più difficile è il compito per i comuni o le amministrazioni più piccole: inferiori sono le risorse di sviluppo, più oneroso rispettare gli adempimenti tecnici e legali dell’AI Act.
Come nel caso delle app che possono fare riferimento a piattaforme personalizzabili – su Municipium hanno la propria app più di mille comuni italiani – occorrono soluzioni centralizzate a cui ogni ente locale possa fare riferimento. Dal punto di vista operativo servirebbe un’unità di missione diretta da qualcuno molto competente, con potere di superare le gelosie delle singole amministrazioni sulla gestione dei dati. Molti progetti non si riescono a portare a termine perché manca la interoperabilità delle banche dati. Da noi invece si è scelto di ridimensionare un ministero della tecnologia a un semplice dipartimento pur di affidarlo a un sottosegretario di partito, vanificando il progetto di unificazione delle banche dati delle tre amministrazioni maggiori (Inps, Istat e Inail). La strategia italiana per l’IA di Agid va nella giusta direzione ma per ora è solo una conferenza stampa. Trump ha già promesso una radicale semplificazione della burocrazia pubblica, noi come possiamo rispondere? Qui non si tratta di sviluppare tecnologie nuove, ma del non meno difficile compito di applicare sistemi sviluppati da altri a organizzazioni complesse.


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