(Ansa)

Non avere (I)Nvidia della Cina

Stefano Cingolani

Declino americano? Calma. La sfida sull’intelligenza artificiale non è una minaccia per l’occidente ma un’opportunità per avere meno oligopoli e più concorrenza, meno quantità e più qualità. Coordinate di una sfida da sballo

Lo scoppio della bolla IA è quanto meno prematuro. Davvero basta uno spillo cinese per farla esplodere? Davvero i colossi americani, i magnifici sette di Wall Street (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia, Tesla) non sono in grado di fornire lo stesso prodotto allo stesso prezzo di una oscura startup uscita due anni fa da un uomo d’affari cantonese? Troppo poco si conosce ancor oggi di DeepSeekper giudicare, ma la sfida non va sottovalutata, sia quella tecnologica sia quella economica. Più che un spillo quello cinese è un pungolo, una punta di lancia che costringe tutti a grandi ripensamenti: meno oligopolio più concorrenza, meno gigantismo più efficienza, meno quantità forse, certo più qualità. Sul Wall Street Journal Dan Gallagher ha scritto che DeepSeek non affonderà i titani americani dell’IA, ma dovranno rivedere il loro modello di business. 

   

Nvidia si è ripresa dalla caduta anche se non sembra recuperare tutto il valore perduto (le azioni sono scese del 16,5 per cento lunedì). Sam Altman di OpenAI ha ammesso di essere impressionato da DeepSeek, ma consegnerà in tempi rapidi modelli molto migliori, non ha specificato se anche più facili e meno cari. Nella corsa all’intelligenza artificiale non è più vero che arriva primo chi spende di più e Altman si è detto rinvigorito dal fatto di avere un concorrente. Un grosso interrogativo riguarda Stargate: 500 miliardi di dollari in quattro anni per sostenere OpenAI da parte della giapponese SoftBank, di Oracle, del fondo di Abu Dhabi e una serie di investitori. Donald Trump non ha perso tempo per far propria l’iniziativa e ha dichiarato che vuole “scatenare” le compagnie americane per “dominare il futuro come mai prima”. Ma non ha promesso per il momento denaro pubblico. Anche per lui, DeepSeek è un campanello d’allarme. I magnifici sette che lo affiancavano nel giorno dell’inaugurazione hanno canalizzato una gran quantità di denaro per sviluppare l’IA, probabilmente per ridurre i loro costi saranno in grado di usare le stesse tecniche applicate da DeepSeek, però hanno perso la loro principale barriera all’ingresso su questo segmento di mercato, cioè il denaro che sono in grado di mobilitare ancor più che la loro tecnologia seppur più efficace e sofisticata di quella cinese.

  

DeepSeek ha utilizzato dei microprocessori inferiori, non avendo accesso ai più potenti made in Usa. Eppure se una oscura propaggine di un hedge fund cinese lo ha fatto, anche altri saranno presto in grado di seguire, scrive il Wall Street Journal. È la bellezza della concorrenza e senza dubbio un effetto positivo della sfida cinese sarà proprio questo. In industrie come il software per pc (Microsoft), i motori di ricerca internet (Alphabet), il commercio online (Amazon), i social media (Meta) e i prodotti digitali di consumo (Apple) siamo abituati a vedere una sola impresa dominante alla quale vanno quote di mercato e profitti. E’ naturale che chi investe ritenga che sia così anche nella nuova frontiera dell’intelligenza artificiale. Invece non è vero, DeepSeek lo dimostra e altri verranno, si è solo aperta una porta che prima nessuno aveva preso in considerazione. Se l’IA è la nuova big thing, se davvero i suoi effetti possono essere paragonati all’invenzione dell’automobile o dell’aeroplano, allora è meglio imparare dal passato: quelle rivoluzioni ha scritto Robert Armstrong sul Financial Times hanno portato non meno, ma più competizione. Per Big Tech sarà più difficile spuntare margini di profitto da oligopolio. 

   
Non è detto che ci sia bisogno necessariamente di giga investimenti per i giga data center che si stanno costruendo e non tutto ruoterà attorno a Nvidia. Vero, ma anche qui è meglio usare il buon senso. DeepSeek per molti versi assomiglia a TikTok, semplice da usare, aperta, a buon mercato, però i dati che ha diffuso su se stessa sono ancora scarsi e vanno verificati. La differenza tra i 5,6 milioni di dollari che ha speso DeepSeek per il modello R1-Zero e i 100 milioni di dollari stimati per lo stesso modello prodotto da un’impresa americana, sembra eccessiva. La versione più potente dell’azienda cinese ha un modello linguistico di 67 miliardi di parametri, il GPT-4 di OpenAI arriva a 100 mila miliardi. Tuttavia ora che cadono le barriere può accadere quel che nessuno prima immaginava. “Nella nostra industria i pionieri non sono quelli che alla fine escono vincitori”, ha commentato Marc Benioff, il capo di Salesforce (cloud computing). Quanto assomiglia anche questo alla storia della macchina che cambiò il mondo nel Novecento, l’automobile.