Brad Lightcap (Ansa)

Sono i giganti tech ad aver bisogno dei politici, non viceversa

Marco Simoni

OpenAI chiede l'intervento del governo americano per proteggere il proprio copyright lasciando il sospetto che la richiesta in realtà sia quella di una protezione tout court. Ribaltata la visione secondo cui esiste un capitalismo oligarchico in grado di occupare il potere con un proprio rappresentante

OpenAI ha rumorosamente denunciato il fatto che DeepSeek, il concorrente cinese che ha provocato il crollo in Borsa suo e di altre aziende americane grazie a un modello di intelligenza artificiale allenato a una frazione dei costi sostenuti dagli americani, avrebbe violato la sua proprietà intellettuale. La questione viene presentata come un furto tecnologico ma a leggere i dettagli con gli occhi dei non esperti – ossia il  99,99 per cento della popolazione mondiale – la denuncia solleva un paradosso. Infatti, è come se uno scrittore esperto accusasse un giovane autore di aver imparato a scrivere bene dopo aver letto i suoi romanzi. Ho suggerito questa analogia a ChatGPT, il più famoso prodotto di OpenAI, e lui (o lei) si è complimentato per l’arguzia, riconoscendo che il distilling – il processo con cui un modello più piccolo apprende da uno più grande – non è molto diverso da un giovane scrittore che imita il maestro per affinare la propria tecnica.

 

A ogni modo, OpenAI chiede ora l’intervento del governo americano per proteggere il proprio copyright, o almeno quello che loro sostengono essere il loro copyright, lasciando il sospetto che la richiesta sia in realtà quella di una protezione tout court. Ancora più esplicito è stato il ceo di Anthropic, principale concorrente di OpenAI, che ha dichiarato senza mezzi termini che non importa se i cinesi copiano, ma che gli Stati Uniti dovrebbero rafforzare i controlli sulle esportazioni verso la Cina per assicurarsi che solo in America (in verità, più precisamente, in due o tre aziende tra cui la sua) venga sviluppata “una IA più intelligente di quasi tutti gli esseri umani su quasi tutte le cose” (qualunque cosa questo significhi) entro il 2026 o al massimo il 2027.

 

Resistendo alla tentazione di commentare i toni millenaristici, se allarghiamo lo sguardo si nota una dinamica di avvicinamento delle grandi aziende alla politica che ribalta la narrazione più in voga. E’ una visione pigra e novecentesca quella che ha letto nella prima fila di miliardari all’inaugurazione di Trump la prova di un capitalismo oligarchico che occupa il potere con un proprio rappresentante. La realtà sembra piuttosto il contrario. Elon Musk, ad esempio, continua a beneficiare di enormi contratti governativi, in particolare con il Pentagono e la Nasa, che sostengono le valutazioni stellari delle sue aziende, nonostante risultati economici non sempre travolgenti. Amazon e altri giganti digitali erano a un passo dall’affrontare le nuove regole sulla tassazione minima globale promosse dall’Ocse, ma una delle prime mosse della nuova Amministrazione è stata proprio bloccare quell’accordo.

 

La politica di Trump ha preso il potere con un consenso popolare multiforme e multietnico che non ha trovato nei democratici risposte alle proprie rabbie, angosce, desideri e ambizioni. E quella prima fila di miliardari non era il volto di un capitalismo dominante, ma di un’industria in cerca di protezione da parte del politico vincente. Non tutto il capitalismo americano, dunque, ma un settore specifico: quello che prima ha conquistato la frontiera tecnologica e ora spinge sulla frontiera del diritto e di ciò che viene considerato accettabile. Le norme fiscali internazionali, le regole sulla concorrenza, e lo stesso concetto di proprietà intellettuale diventano così fungibili token politici. 

 

Dopo aver investito miliardi in progetti falliti come il metaverso – un’idea che nessuno ha mai davvero voluto comprare – e dopo aver puntato sull’IA generativa che è chiaro diventerà presto una commodity a margini bassissimi, questi colossi cercano disperatamente nuove fonti di vantaggio competitivo che possano garantire ritorni adeguati. La fonte di tali vantaggi sembra poter venire – questo è il vero paradosso delle prime settimane di Trump presidente della patria del libero mercato – proprio dalla politica.

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