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(Ansa)
Cattivi scienziati
In difesa del diritto a sapere e a come sapere
La libertà di sapere è il fondamento di una società democratica, ma oggi è sotto attacco da forze che privilegiano l'intrattenimento sulla verità e concentrano il controllo dell'informazione nelle mani di pochi. La scuola, come luogo di formazione critica, è l'unica difesa contro questa deriva
La conoscenza è il fondamento della libertà. Il diritto di sapere non è solo una questione di accesso alle informazioni, ma un principio essenziale per il mantenimento di una società in cui il dibattito pubblico sia informato e razionale. Oggi, però, questo diritto è sotto assedio da due forze convergenti: da un lato, il mercato dell'informazione, sempre più dominato da logiche di intrattenimento e da contenuti che premiano l'emozione rispetto alla verità; dall'altro, l'emergere di un nuovo potere tecnocratico, in cui il controllo della tecnologia si traduce in un controllo diretto sulla circolazione delle informazioni.
La trasformazione dei mezzi di comunicazione ha portato a un progressivo spostamento dell'attenzione collettiva verso contenuti superficiali, costruiti per massimizzare l'engagement piuttosto che per promuovere la comprensione. Le piattaforme digitali, progettate per ottimizzare la permanenza dell'utente, premiano la polarizzazione e il sensazionalismo, rendendo sempre più difficile l'accesso a contenuti verificati e scientificamente fondati. Questa deriva non è casuale, ma il risultato di un modello economico che valorizza ciò che cattura l'attenzione a scapito di ciò che arricchisce la conoscenza. La verità non è più il parametro centrale della comunicazione pubblica: al suo posto, regnano l'intrattenimento e la capacità di generare interazioni.
A questa pressione del mercato si aggiunge il crescente potere di un'élite tecnologica che, attraverso il possesso delle infrastrutture digitali, sta assumendo un ruolo sempre più pervasivo nel controllo della conoscenza. La gestione e l'accesso alle informazioni non sono più determinati solo da criteri scientifici o accademici, ma sono sempre più subordinati alle scelte di singoli individui o gruppi privati che possiedono gli strumenti tecnologici per modellare il flusso delle informazioni. Elon Musk, con la sua acquisizione di piattaforme digitali e la gestione arbitraria della visibilità delle informazioni, rappresenta un esempio chiaro di come il potere tecnologico possa oscurare il sapere e deviare il dibattito pubblico. La chiusura di database, la restrizione della condivisione di dati e il controllo sulle piattaforme di comunicazione non sono solo episodi isolati, ma sintomi di una tendenza che punta a concentrare il potere informativo nelle mani di pochi, limitando la capacità della comunità scientifica e del pubblico di accedere a fonti indipendenti e verificabili.
In questo contesto, la scienza stessa sta diventando un bersaglio. La delegittimazione del sapere accademico, l'attacco sistematico alle istituzioni scientifiche e l'inquadramento degli studiosi come avversari di una narrazione alternativa costruita su presupposti ideologici sono parte di una strategia più ampia volta a minare la credibilità della conoscenza specializzata. J.D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti dal 2025 e noto per le sue posizioni populiste e critiche verso l'accademia, ha dichiarato che "i professori sono nemici", esemplificando perfettamente questa retorica che mira a screditare chi detiene competenze verificate per sostituire la ricerca con opinioni prive di fondamento. Se la scienza viene dipinta come una posizione politica piuttosto che come un metodo di indagine basato sulla verifica empirica, allora il dibattito pubblico diventa una mera competizione tra opinioni soggettive, e non un confronto basato sulla ricerca della verità. Questo attacco non avviene nel vuoto, ma si inserisce in un panorama in cui l'autoritarismo informativo assume nuove forme, fondate sulla manipolazione algoritmica e sulla capacità di nascondere, deviare o distorcere le informazioni disponibili.
Ma il sapere non è un lusso o un accessorio del pensiero umano: è l'elemento fondamentale che consente a ciascuno di prendere decisioni consapevoli sulla propria esistenza e sul proprio futuro. Senza accesso a informazioni accurate, i cittadini perdono la capacità di valutare le opzioni davanti a loro, di interpretare la realtà e di comprendere le conseguenze delle proprie scelte. L’accesso alla conoscenza è ciò che distingue una società libera da una società in cui il destino delle persone è deciso da pochi. Il monopolio dell’informazione, attraverso il controllo dei dati, dei canali di comunicazione e degli strumenti che permettono la diffusione del sapere, non rappresenta solo una limitazione alla libertà individuale, ma segna l’emersione di un dominio mai prima sperimentato da parte di un’élite tecnologico-finanziaria che si estende su tutto il mondo. Questa élite non governa con la forza tradizionale degli stati, ma attraverso un dominio invisibile, in cui ciò che si può sapere e ciò che resta nell’ombra è deciso in modo opaco e insindacabile. La conoscenza diventa proprietà privata, filtrata e redistribuita solo nella misura in cui serve agli interessi di chi detiene il controllo delle infrastrutture digitali e delle piattaforme informative.
Se esiste un luogo da cui può partire la resistenza contro questa deriva, quel luogo è la scuola. Un'istruzione autentica non deve essere soffocata da un labirinto di vincoli burocratici, da una stratificazione di teorie pedagogiche spesso contraddittorie o da un’ossessione per un'immediata utilità economica dell’apprendimento. In Italia, il sistema scolastico è oppresso da una burocrazia paralizzante, da riforme che si sovrappongono senza una visione coerente, da meccanismi di valutazione spesso rigidi e scollegati dalle reali necessità educative. A tutto ciò si aggiunge il peso crescente delle famiglie, che da semplici interlocutori sono diventate elementi di pressione diretta sugli insegnanti, compromettendo la loro autonomia e minando la qualità della didattica. La scuola deve essere liberata da tutto ciò che ne ostacola la funzione essenziale: formare cittadini in grado di pensare in modo logico e razionale, capaci di distinguere tra informazione e propaganda, tra scienza e manipolazione. Un sistema educativo che insegni a riconoscere la validità delle fonti, ad analizzare criticamente i dati e a costruire un pensiero indipendente è l’unica difesa efficace contro il controllo dell’informazione. Oggi, invece, l’istruzione è spesso piegata a esigenze contingenti, frammentata da riforme incoerenti e ridotta a un’idea di formazione utile solo in termini di occupabilità immediata. Ma una società che abdica alla formazione di individui in grado di comprendere il mondo in modo autonomo è una società che si consegna a chi detiene il potere di controllare il sapere. La battaglia per il diritto di sapere non si combatte solo nella sfera pubblica, ma nelle aule scolastiche, nei programmi di studio, nella libertà di insegnamento e nella capacità di costruire un’educazione che non sia addestramento, ma strumento di emancipazione.
Difendere il diritto di sapere significa oggi opporsi a questa convergenza di interessi che, pur provenendo da ambiti differenti, agiscono in maniera complementare per ridurre la capacità di una società di accedere a conoscenze affidabili. La lotta non è solo per il diritto individuale di informarsi, ma per la tenuta stessa di un modello di convivenza democratica basato sulla trasparenza e sul dibattito critico. Una società in cui la conoscenza viene filtrata, selezionata o distorta in base agli interessi economici e tecnologici di pochi è una società che rinuncia alla propria autonomia intellettuale, consegnandosi a un futuro in cui la verità diventa merce e il sapere un privilegio.