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IA nello stato
Governare l'intelligenza artificiale. Parla la professoressa Luisa Torchia
L'IA può davvero aiutare la politica nella semplificazione legislativa? "Il problema è sempre lo stesso: la volontà politica. Quello che la tecnologia può fare è rendere più veloci le ricerche, mettere insieme i dati sulle norme esistenti, sui possibili conflitti tra norme". Parla la professoressa di Diritto amministrativo all’università Roma Tre
Quando c’è di mezzo l’intelligenza artificiale si assiste spesso, soprattutto in politica, a una polarizzazione binaria tra entusiasti e apocalittici, quasi non ci fosse possibilità di una via di mezzo. Va spesso così quando si ha a che fare con una tecnologia che può impattare significativamente nella vita dei più. Eppure, sintetizza Luisa Torchia, professoressa ordinaria di Diritto amministrativo all’università Roma Tre “se siamo riusciti a dominare l'energia nucleare, possiamo dominare anche l’IA. Abbiamo vissuto in un mondo che sembrava poter essere distrutto da un giorno all’altro. Non è andata così. Ovviamente esiste la possibilità che questa tecnologia possa essere utilizzata contro l'umanità e si deve agire tenendo in considerazione questa ipotesi, ma è necessario e utile anche concentrarsi sulle sue potenzialità”.
Potenzialità che potrebbero essere utilizzate anche dalla politica per ridare vigore al processo di semplificazione normativa che, iniziato negli anni Novanta, ha rallentato negli ultimi anni. Alla Camera è stato presentato un progetto per la trasformazione di tutte le norme dello stato in un formato leggibile dagli algoritmi. L’idea è quella di utilizzare l’IA per mettere ordine nelle leggi, sistematizzarle e quindi renderle non solo più accessibili, ma anche più funzionali. L’idea è piaciuta sia a destra che a sinistra. Giulio Centemero (Lega), Giulia Pastorella (Azione) e Lorenzo Basso (Pd) hanno dichiarato di essere pronti a fare il possibile affinché tutte le leggi siano disponibili in un formato machine-readable e quindi utilizzabili dagli algoritmi di intelligenza artificiale. E questo è il primo passo per poter utilizzare l’IA in materia legislativa. Una buona idea, che però dovrebbe essere portata avanti assieme all’Unione europea perché da soli, soprattutto in questo settore, non si va da nessuna parte.
Una buona idea certamente, ma c’è un ma.
Secondo la professoressa Luisa Torchia “il problema è sempre lo stesso: la volontà politica. Se c’è, allora si può dare il via alla semplificazione, altrimenti non si va da nessuna parte. L’IA può dare una mano”, spiega. “Quello che l’IA può fare è rendere più veloci le ricerche, mettere insieme i dati sulle norme esistenti, sui possibili conflitti tra norme. Dà la possibilità di capire velocemente se un argomento è già normato e in che modo. E’ in grado quindi di offrire informazioni al legislatore che può utilizzare per decidere in maniera più consapevole. Pensare però che possa sostituirsi al legislatore è utopia. Le norme non sono oggetti così facili da maneggiare, scriverle, sapere quali possono essere gli effetti e così via è qualcosa che un algoritmo non può fare e soprattutto non è il caso che faccia”.
In Germania si è iniziato a discutere a proposito della possibilità di utilizzare l’IA in ambito giudiziario: l’idea è quella di servirsi di essa per diminuire gli errori giudiziari ed effettuare ex post controlli su casi controversi. Il dibattito è solo all’inizio.
“Ci sono stati dei tentativi negli Stati Uniti, di avere delle applicazioni che potessero supportare i giudici nella definizione della pena, ma si sono rivelate fortemente afflitte da bias, perché i dati che erano stati inseriti rispecchiavano situazioni di discriminazione razziale, di genere, contro i poveri. Il problema degli algoritmi è che rispecchiano sempre ciò che viene inserito in essi: non si riesce a ottenere un risultato futuro che non sia la proiezione dei risultati del passato. La giurisprudenza, invece, è cambiamento: si modifica al cambiare della società”. L’intelligenza artificiale però potrebbe essere utile per altro, “soprattutto alla giustizia tributaria. Si sta già sviluppando un database che classifica tutte le sentenze e che quindi dà un'idea sia all'Agenzia delle entrate, sia al contribuente di qual è la chance che una certa controversia si concluda in un certo modo. E questo aiuterebbe, anche perché quasi il 50 per cento del contenzioso pendente in Cassazione riguarda proprio il contenzioso tributario. Anche in questo caso però stiamo parlando di informazioni. Informazioni che vengono date in tempo molto più breve, in misura molto più completa e con costi molto più bassi. Non stiamo parlando di esercizio della giustizia”.



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