
L'editoriale dell'elefantino
Cosa rende il Foglio AI un'opera d'arte
Un mistero tecnologico avvolto in un enigma di cultura e pensiero. Un incidente straordinario che imita, altera e sublima la nostra vita. Distrugge e costruisce
Il Foglio di carta e inchiostro, scritto e titolato dalle macchine dell’intelligenza artificiale, non è uno scoop, è una bomba. Chi ha avuto e avrà la curiosità di leggerlo, pensando che dietro ogni articolo c’è una domanda di intelligenza naturale, fatta dall’orchestratore-direttore in carne e ossa, una domanda umana sull’attualità giornalistica e sulle idee e sullo stile per presentarle, e una rapidissima risposta superumana, algoritmica, che si legge più o meno (più più che meno) come un articolo scritto da me, da te, da loro, da chiunque batta una tastiera in redazione o da casa, chi farà questo sforzino di attenzione capirà che il Foglio AI è un vero giornale artificiale e un vero giornale tradizionale, una contraddizione in termini, una novità esplosiva, una potenzialità che distrugge e costruisce al tempo stesso, un mistero tecnologico avvolto in un enigma di cultura e pensiero.
Non sono esperto in psicometria delle macchine, e dell’intelligenza artificiale conosco meno del minimo necessario, tantomeno mi raccapezzo nelle infinite questioni metodologiche e scientifiche implicate dalle macchine che giocano a scacchi oltre la perfezione, azzeccano le mammografie nell’infallibilità, entrano sovrane nei domini della fisica, della chimica, della linguistica, e trovano impensabili applicazioni universali nell’elaborazione dei dati in ogni campo. Conosco da vecchio del mestiere, umanisticamente, che cosa è un giornale, perché stabilisce una gerarchia del reale, offre ritmo al racconto dei fatti, consente passione e equilibrio, di volta in volta, nella condivisione delle idee. Non so dire, e mi pare di essere in buona compagnia, se le macchine algoritmiche pensino, se appartenga loro una logica, uno spirito razionale perfino potenzialmente superiore a quello dell’uomo dotato di linguaggio e di storia e di autonomia personale vivente, ma quella cosa di carta che avevo in mano martedì mattina, quelle quattro pagine, mi è sembrata un’opera d’arte nel senso in cui un Tiziano o un Giovanni Bellini o un Klee riproduce e imita, rappresentandola, la vita. O per lo meno il mestiere di raccontare la vita.
Se esagero “mi corrigerete” o mi perdonerete. Ma il mio sentimento era quello di un lettore autenticamente turbato. Il pezzo di cronaca politica interna o internazionale vabbè, si fa per dire. Il corsivo o Version di tanto ancora inferiore al Marcenaro sarcastico, ma su una propria strada ironica, vabbè. La stroncatura composta e convenzionale del libro di Severgnini sulla vecchiaia, vabbè, si può fare di meglio con più tempo a disposizione e con l’estro umano di un lettore. Ma le lettere, la discussione Led Zeppelin sui furti dell’IA alla creatività, e soprattutto l’incredibile scambio di idee tra un conservatore e un progressista sulla fattibilità e pregnanza del giornalismo delle macchine (terza pagina), non è più vabbè, è una roba forte, che scotta, che sfida la mia incredulità. Addestrata, sollecitata, oggi da persone umane, domani da altre macchine, la macchina dell’IA può produrre testi, romanzi, saggi, e fare molte altre cose su una scala sideralmente più vasta e più alta, trasformando la vita umana, condizionandola, esaltandola o avvilendola nel suo preteso primato sapiens, chissà. Ma che banalmente possa riprodurre un giornale quotidiano, introducendosi in quattro e quattr’otto, con un calcio d’avvio in forma di domanda, nel mestiere moderno che più di tutti è minacciato di obsolescenza, e in questo caso esaltandolo, è un incidente straordinario che imita, altera e sublima la nostra vita.