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Colonizzazione dei cervelli
Sono pigro, il Foglio AI è stato un duro colpo: il mondo dei digitalizzati sarà uno sterminato nosocomio
Fino a poco fa si poteva ancora parteggiare per la carta stampata, così umana e umanistica. Pratici consigli per chi non vuole essere schiavo dei dispositivi digitali che non potranno nuocere a nessuno
Fra trionfo universale dello smartphone, del digitale e dell’intelligenza artificiale, pubblicizzata come scopo postumano del progresso umano, sto rischiando una depressione. Per fortuna devo scrivere articoli (li compongo a mano e poi li detto) e ho una buona collezione di dischi in vinile, da cui attingo la mia quotidiana dose salutare di musica sinfonica.
Ma certo è stato un duro colpo l’arrivo dell’inserto AI su un giornale come questo, in cui scrivo felicemente da due decenni. Fino a poco fa si poteva ancora parteggiare per la carta stampata, così umana e umanistica. Ora vedo che un robot artificialmente addottorato, può scrivere articoli a modo loro perfetti; anzi più che perfetti. L’AI è e funziona come un enorme parassita succhiasangue, pensieri e parole, dagli esseri umani. Più il parassita cresce (insieme al capitalismo) più la produzione intellettuale degli umani deperisce e si fa anemica. Una volta esistevano i cosiddetti giganti del pensiero. Ora è gigantesco l’apparato tecnico parassitario che ne prende il posto. Quel pover’uomo di Alan Turing, appassionato di macchine pensanti e disperatamente inadatto alla vita, ha proiettato la sua ombra su tutti noi e si è impadronito dei nostri cervelli. In che modo? Convincendoli della propria inguaribile tendenza a sbagliare e correre rischi.
Naturalmente e contro natura il pensiero delle macchine vincerà. A noi piace, infatti, lottare contro la natura, vincerla e farne a meno. C’è nell’umano un’umana voglia di superarsi e una superumana, astutissima capacità di riuscirci. Non perché superarsi sia meglio, ma perché il nostro odio per i difetti e i limiti di natura è un odio sconfinato, non considerato un vizio, ma scambiato per virtù. Il nostro peggiore limite è il desiderio del di più spinto all’infinito.
Io, però, sono un po’ pigro. E dato che mi è costata fatica imparare a vivere più razionalmente di quanto non abbia fatto il matematico Turing, il mio primo desiderio di pigro è non accettare che qualche Ente Superiore cambi le mie sagge abitudini e mi cambi la vita. Ora, poi, per me è tardi. La mia narcisistica affezione al me stesso di sempre mi costringe a nuotare contro la corrente del progresso e secondo la corrente della mia idiosincratica natura.
Ieri però ho comprato un libro che mi conforta scientificamente dimostrandomi per via razionale ed empirica che le mie diffidenze verso chi vuole “cambiarmi la vita” non sono delle diffidenze infondate. Il titolo del libro è Un cervello dell’età della pietra nell’era degli schermi (Apogeo editore, 319 pp., 24 euro) e l’autore è un certo Richard E. Cytowic, autorevole neurologo presso l’Università George Washington e apprezzato da un genio come Oliver Sacks. Ma la cosa che in Cytowic mi piace di più è (oltre al citoplasma vitale presente nel suo cognome) il fatto di aver vinto la Medaglia Montaigne, dal nome dello scrittore che nel XVI secolo inventò il moderno essai, il più naturale e il meno formale dei generi letterari, che io stesso sto usando indegnamente nel presente articolo. Ma veniamo alla sostanza citologico-scientifica del libro, che illustra, in seguito a prolungate indagini, i danni causati dalle nuove, sensazionali tecnologie digitali. Cytowic è uno dei rarissimi ricercatori che ha il coraggio di non tacere sui modi in cui gli schermi intelligenti influenzano negativamente il cervello.
Il cervello, il controllo dei cervelli, è infatti la posta in gioco nella lotta per il potere mondiale. Chi li controlla, può controllare tutto: economia, politica, cultura, comportamenti individuali e di massa. Quella che nel Novecento fu chiamata industria culturale o industria della coscienza, è oggi colonizzazione neurobiologica dei cervelli da parte di chi in un modo o nell’altro guida lo sviluppo e il potere del capitalismo, unica forma di economia nel mondo.
Ma attenzione, il problema non è destra o sinistra, conservatori o progressisti. E’ anzitutto una questione antropologico-sanitaria, perché se il mondo si riempie di supernevrotici autistici, fobici, alienati, sadici e paranoici con tendenze suicide, le cose non andranno bene per nessuno. La salute e l’igiene mentale dovrebbero (ma non sono) essere al primo posto nella lista delle priorità che l’idea di progresso come miglioramento dovrebbe prevedere. I nuovi media e l’AI non migliorano la capacità e l’energia necessaria per pensare, agire, sentire, immaginare, prevedere e soprattutto prestare attenzione a ciò che accade intorno a noi, che si tratti di società o di natura.
La vulnerabilità del cervello è ben nota agli psicologi e studiosi del comportamento e (dice Cytowic) non c’è bisogno di altre ricerche per sapere che mentalmente, neurologicamente, psicologicamente siamo già del tutto condizionati dai dispositivi digitali. Gli increduli e gli scettici ne hanno prove empiriche a portata di mano: basta fare l’esperienza di non avere a disposizione uno smartphone anche solo per un paio di giorni. Se la prova viene poi fatta con un bambino o un adolescente, si rischia un serio dissesto della vita famigliare e del suo equilibrio. Tutto questo si sa da tempo, eppure si evita di prenderne atto. Se anche gli adulti più informati e razionali evitano di pensarci e crederci, è per evitarsi guai e dispiaceri a cui si espone chiunque osi mettersi contro la realtà, cioè contro quello che tutti fanno. E’ la risorsa dello struzzo: chiudere gli occhi per non vedere il pericolo in arrivo.
Nel suo libro Cytowic non pecca né di viltà né di dogmatismi, difetti frequenti anche negli scienziati. La qualità che lo rende convincente e leggibile è una saggezza letteraria in cui si mescolano esperienze personali, aneddoti, senso comune e conoscenze specialistiche. “Voglio essere chiaro”, dice Cytowic, “non sono né un fanatico della tecnologia né un luddista. I dispositivi digitali rendono senza dubbio la vita più facile (…) Nello stesso tempo, l’onnipresenza degli schermi ha significato esaurimento, depressione e solitudine (…) Mentre tutti blaterano di presunti benefici, pochi media mainstream si preoccupano di considerare i potenziali aspetti negativi”.
Scienza o saggezza, ottimismo o pessimismo, consiglierei agli eventuali lettori di questo libro le pagine conclusive in cui Cytowic dà consigli utili a chi non voglia essere schiavo dei dispositivi digitali. Ne cito alcuni, che certo non potranno nuocere a nessuno:
Esercitarsi ogni tanto nell’arte di non fare niente, guardando più spesso fuori dalla finestra. Rafforzare la disciplina mentale leggendo testi stampati, perché la lettura lineare può essere un tonico per la mente degradata dalle continue interruzioni e costretta a passare da una cosa all’altra.
Scrivere a mano anziché su una tastiera per affinare la capacità di concentrazione e di attenzione.
Tenere un diario, magari un diario dei sogni fatti, che è più avventuroso.
Non leggete né fissate degli schermi mentre mangiate. Dedicatevi completamente a ciò che state facendo mentre lo state facendo.
Leggere un libro anche solo per una o due pagine al giorno.
Visitate le biblioteche di quartiere e chiacchierate un po’ con i bibliotecari…
Questi consigli non sono granché. Ma dimostrano quanto gravi possano essere le condizioni neurologiche e psicomentali di coloro che ne hanno bisogno. Il mondo dei digitalizzati si sta trasformando in uno sterminato, planetario nosocomio.



Macchine e civiltà