Selezioni finite a MasterChef, ora si fa sul serio. Tra cinismo, acidità e cattiveria
Abbiamo la classe dei 20 concorrenti di quest'edizione. Si intravede qualche cuoco bravo, ma il nostro cuore (al momento) è tutto per Alves detta Lalla, la Whitney Houston della via Emilia
Forse perché siamo all’inizio e non detestiamo ancora gli aspiranti chef, il cinismo dei quattro giudici ci sconvolge. Soprattutto quando cacciano i Gualtiero Marchesi in provetta (o almeno che tali si considerano) non lesinando sull’acidità. “Larysa, raggiungi i tuoi colleghi... ma quelli che non ce l’hanno fatta”. E in un paio di secondi, il sorriso gioioso della sciagurata Larysa si è trasformato nel volto della Madama Butterfly quando scopre che Pinkerton l’aveva cornificata. “Silvana, anche tu puoi continuare a cucinare... a casa tua”. Ecco il bis, con la concorrente che pensava di aver fatto un fritto tutto sommato passabile (anche se i pescetti sembravano finti, tanto gommosi ch’erano all’aspetto) e di essere entrata nella squadra ufficiale. No, via il grembiule e ritorno mesto à la maison.
Sono puntate così, queste. Di scrematura. Dove, per la verità, non è che si capisca poi molto. La sensazione che confermiamo rispetto alla settimana scorsa è che qualche concorrente bravo, quest’anno, ci sia (il muratore di Predappio, Roberto, promette bene). E che la gara possa riservare sorprese e piatti deliziosi. Non come l’anno scorso, quando il massimo offerto erano le zuppe in barattolo (per carità, buone e belle da vedere) di Alida. Scremando scremando se ne sono andati molti dei miracolati della prima puntata, compreso il ragazzo onesto che dopo aver fritto i suoi gamberi li ha passati in forno per riscaldarli: “E’ stata un’idea di merda”, ha ammesso giustamente. Preservata la giusta dose di follia, come l’avvocatessa Mariangela dalla chioma à la Mufasa che ha battibeccato col vicino di posto Gabriele dopo aver fatto cadere di tutto sul pavimento: barattoli, creme, farine, padelle. “Me li ha fatti cadere lui! E’ colpa sua!”, ha urlato Mariangela, mentre Cannavacciuolo interveniva a dirimere la contesa da asilo tra i due, con Gabriele (architetto torinese il cui originale motto è “Non dare mai nulla per scontato!”), che giurava di non aver buttato nulla a terra, “o forse sì”.
A noi, però, memori dell’ardore provato la scorsa edizione per Marzia la farmacista, interessa che vada avanti Alves detta Lalla, la Whitney Houston della via Emilia, la più matura (anagraficamente) del gruppo, simpatica e teorica suprema dei mappazzoni, cioè del riempimento all’inverosimile dei piatti (si è presentata con dei malfatti alle ortiche che sembravano, all’aspetto, budelli ripieni).
Dalla prossima settimana si fa sul serio, la gara inizierà con tutto il consueto rituale. Dicono che quest’anno ci saranno tanti giudici esterni, dall’ineffabile Iginio Massari pronto a demolire le coscienze dei concorrenti a Igles Corelli, maestro della cucina creativa in cui mi sono imbattuto in questi giorni di feste: proponeva ai telespettatori un’“aria di pomodoro”. Dice che era fantastica.
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