A Sanremo il riscatto di Roma. Totti conduttore e Giorgia sindaco
Seconda puntata fiacca, salvata dal capitano giallorosso e dalla cantante. Nel frattempo, mentre Crozza sprofonda, il Festival somiglia sempre più a "C'è posta per te"
Sanremo, giorno due. Gira voce che Carlo Conti sia pronto per trasferirsi a Mediaset, ma da ieri abbiamo già la coppia perfetta per il prossimo anno. Se canone in bolletta deve essere, regalateci almeno un Festival di Francesco Totti e Maria De Filippi, con Robbie Williams come valletto. Mentre Roma si inabissa, gli assessori se ne vanno e Crozza propone di spostare la capitale a Torino, all’Ariston va in scena il riscatto della romanità. Totti e Giorgia salvano una puntata fiacca, iniziata con l’inaggirabile minaccia delle “nuove proposte”.
In quota romanità, anche il trio inedito Brignano, Cirilli, Insinna. Partono benino (“Sanremo ha i fori, Roma gli avvisi di garanzia, volevano portartene uno ma l’hanno finiti tutti”) però si afflosciano presto. Magnifico invece il pupone che prende a pallonate la platea, sbaglia i nomi degli autori, scruta il gobbo con una faccia albertosordesca meglio dello sguardo à la John Wayne del rigore contro l’Australia al novantatreesimo. Magnifico il pupone che deve leggere “Cheope” e dice “Sciopé”, che presenta i cantanti ma ha in mente la moglie (“The Voice l’ha fatto pure Ilary, forse da giovane, noo so… glielo chiedo a casa”); che imbeccato da Maria De Filippi per un improbabile remake di “Proposta indecente” rifiuta perché “sono troppo geloso dei miei valori”. Che tra le canzoni di Sanremo sceglie “Povia”, ma non gli viene il titolo e dice “er piccione…t’oo ricordi er piccione”. Totti batte Crozza, anzi non c’è partita.
Crozza fa Mattarella e dà l’incarico al primo governo Conti-De Filippi, poi si lancia in un appello alla procreazione con l’indice puntato facile contro lo Stato per strappare applausi indignati. Meglio l’invito a “trombare” che il richiamo all’Irpef. Ma alla paraculaggine del sesso impegnato preferiamo la “patonza” e lo “sventrapapere” di Benigni e Raffaella Carrà. In mancanza di precari e operai della Terra dei fuochi che minacciano di buttarsi di sotto, il Festival ci ha regalato l’apparizione di Salvatore Nicotra, un eroe del quotidiano a tempo indeterminato. L’impiegato modello del comune di Catania ci lascia 239 giorni di ferie non godute e l’esortazione a lavorare. Potrebbe aprire un genere, la “vetrina dello statale”, con tante nuove idee agli autori. Suggeriamo sin d’ora Checco Zalone all’Ariston che canta col coro dei ventottomila forestali della Sicilia, come Toto Cutugno con l’Armata Rossa.
Nel frattempo, la trasformazione di Sanremo in “C’è Posta per te” è compiuta. Gli ospiti internazionali sembrano tutti “figli di Maria”. Li abbiamo già visti da qualche parte a Mediaset. Keanu Reeves non era più una star uscita da “Matrix” ma al massimo uno che ha vinto “Amici” nel ‘96. Finalmente abbiamo una canzone che funziona e funzionerà. “Occidentalis Karma” di Francesco Gabbani ha quello che serve per uscire dal dimenticatoio sanremese. C’è il balletto criptogay, lo scimpanzé sul palco, il testo nonsense quanto basta, coi “tuttologi del web”, le “gocce di Chanel”, “panta rei” e “Singin in the rain”. Ma ieri la musica è stata Giorgia. Avevamo occhi solo per lei e per un'inquietante somiglianza con Virginia Raggi. Allora è fatta. Giorgia sindaco di Roma. Se la mettiamo domani in Campidoglio, non se ne accorge neanche Grillo.