L'epica performance del Baudo maieutico (con premier intervistato)
Gentiloni a “Domenica in” dal Pippo talent-scout
Roma. “Felpato lei è felpato, però…”: la frase la dice Pippo Baudo a metà della sua intervista al premier Paolo Gentiloni, ed è la frase che sancisce la vera rivoluzione dei tempi di mezzo (tra il governo Renzi e un futuro nebuloso che ha l’aria del ritorno al passato, come temono i principali commentatori). E la rivoluzione è prima di tutto di lessico, simboli e segni, ché il mistero della cosiddetta “scelta di Paolo”, com’è stata chiamata la decisione del premier di recarsi per l’intervista televisiva d’avvio dei nuovi tempi a “Domenica In” da Pippo Baudo (invece di sedersi nel salotto di Fabio Fazio o di Bruno Vespa), è qualcosa di non immediatamente ascrivibile alla categoria della routine politico-giornalista.
Intanto c’era Baudo, simbolo vivente del mondo “rassicurante” di cui Gentiloni vorrebbe favorire il ritorno con l’azione di governo: un Baudo versione “riserva della Repubblica” che spaziava da un argomento all’altro (lavoro, terremoto, immigrazione, economia) con il ritmo pacato di chi fa da specchio, con le domande, al passo lento del suo interlocutore. Ma soprattutto c’erano i due insieme: Paolo e Pippo, sommessi e dimessi, ma con tenuta da motore diesel: Gentiloni ancorato al messaggio “vado avanti” (della serie: non sono un tappabuchi) e Baudo lanciatissimo nell’occasionale ma non meno sentita performance da intervistatore con gravitas istituzionale incorporata alla giacca, all’occhiale squadrato e persino alla cravatta rossa. Un’intervista, sì, ma in una bolla impenetrabile alla cagnara esterna (anche se si parlava di Consip).
Un’intervista, sì, ma con squarci fané sull’universo del Dopoguerra, con quel “Mezzogiorno” evocato da entrambi come occasione persa ma pure da cogliere (“è dall’Unità d’Italia”, diceva Baudo, che sul Mezzogiorno si fanno errori; se uno avesse “una ricetta semplice per far crescere il Sud mi darebbero il Nobel”, diceva il premier). E quando, il giorno dopo (ieri), su Repubblica, Massimo Giannini scriveva un pezzo dal titolo: “Gentiloni, sotto il vulcano un’occasione irripetibile”, con esortazione a ribaltare “la vecchia morale andreottiana” (“piuttosto che tirare a campare, meglio tirare le cuoia”), non si poteva che ripensare al Gentiloni del giorno prima, seduto di fronte a un Baudo maieutico che tirava fuori una a una le speranze d’intervento per il futuro: l’accordo con la Libia, presidente Gentiloni, che importanza ha l’accordo con la Libia? E l’Europa, presidente Gentiloni, come sarà quest’Europa? E Gentiloni piano piano si lasciava andare: “Io me la terrei stretta questa Europa…”, ed era un duetto di rammarico e automotivazione, automotivazione e rammarico, ma su tutto spiccava Pippo: ma com’è possibile che non sia stato considerato come capogruppo al Senato, come candidato-mediatore nei conflitti partitici, come candidato alle Quirinarie (quelle dal vivo), si domandava il telespettatore?
E alla fine, pur ascoltando il Gentiloni ottimistico sulla durata del governo (tanto nessuno più vuole votare), lo spettatore era catturato dal sereno incedere del domandare di Pippo, l’uomo che dopo Sanremo, quest’anno, non l’ha mandata a dire a Francesco Gabbani, vincitore con il tormentone fusion “Occidentali’s karma”, definito da Baudo, sul Corriere della Sera, un brano “che durerà tre mesi, non di più”, specie al confronto con le canzoni dei suoi Sanremo d’oro. E tutto si teneva: Baudo lo scopritore di talenti che lanciava Al Bano dopo averlo visto in un ristorante e Beppe Grillo dopo averlo ascoltato in uno scantinato e addirittura Barbara D’Urso dopo averla avuta come valletta a “Domenica in”, e Baudo che oggi, quasi quasi, lancia nell’agone il premier finora silente Gentiloni. E si vedeva che era contento, Pippo, nel momento in cui il non più silente Gentiloni se ne usciva con la frase “abbasserò le tasse sul lavoro”, e a quel punto la missione (di Pippo) era compiuta: tirare fuori dalla bolla acustica Paolo, e buttarlo sul palco di un Ariston metaforico.