Tutto è andato come doveva andare a MasterChef 6. Ha vinto Valerio, ma ora cambiate tutto
Puntata godibile, verdetto scontatissimo ma giusto. Bei piatti, ma il format inizia a dare preoccupanti segni di stanchezza. Urge aria fresca
Non ci voleva Nostradamus per capirlo. Nelle ore che hanno preceduto la finale meno attesa della storia di MasterChef, la redazione culinaria del Foglio mi aveva chiesto – tramite i suoi seri responsabili – una previsione su come sarebbe andata a finire. Io, per una volta in vita mia convinto, avevo risposto che a vincere sarebbe stato Valerio. Erano settimane che il tappeto per il giovanotto romagnolo era stato steso, su. Non ci potevano essere dubbi. Poi Cracco in puntata continuava a parlare di “narrazione” come un Vendola qualunque. E Valerio era l'unico ad avere un barlume di narrazione Giovane, semplice, con voglia di fare, le lasagne della nonna eccetera eccetera. Due erano le strade: o Renzi lo candidava come spinta per la riscossa, o vinceva MasterChef. E infatti.
Comunque, la prima imprecazione della serata è stata quando i giudici, ormai succubi del peggior politicamente corretto che domina il mondo, hanno deciso di mandare in finale tutti e tre i finalisti. Cioè, dopo le prime due prove, tutti promossi. Promosso Valerio con le sue palline suggerite da Igles Corelli, promossa Gloria con una broda vegetariana e promossa Cristina con un piatto che dalla descrizione pareva una tesi magistrale in Sociologia del Diritto, tanto incasinato che era. Io, davanti al mio piatto di bieta bollita scondita – così per mantenere sereno il giudizio e lucida l’obiettività – non c’ho visto più. Hanno fatto gli stronzi per anni, e arrivati sul più bello, fanno i buoni. Avranno dato retta a quei psicoterapeuti che vogliono proibire le bocciature dei bambini alle Elementari perché altrimenti si deprimono (salvo poi tentare il suicidio al primo tre e mezzo preso alle Superiori). Comunque, è andata. Se non altro la finalissima è stata di gran lunga meno monotona e noiosa di quella di un anno fa, che si era ridotta a una lode untuosa a Erica e a un processo inquisitorio da regime argentino alla povera Alida.
A mio insindacabile giudizio, non c’è stata gara. E sia chiaro che non c’era, tra quei tre, un preferito in particolare. Solo che Gloria ha scelto di fare un risotto con le spine che ha bucato la lingua del povero Bruno Barbieri, e Cristina s’è data a una pannacotta che pareva una spuma di gelato alla fragola riscaldato. Valerio invece se l’era preparata bene: piatti studiatissimi, pieni di roba incomprensibile e soprattutto introvabile (quelle salse orientali le lascio volentieri ai frequentatori di resort thailandesi e cambogiani). Ma, a quanto pare, buonissimi. E allora, giusto così. Per una volta siamo contenti, benché – e vorrei ribadirlo anche questa volta – siamo passati negli anni da Federico Ferrero (campione inarrivabile che non a caso a distanza di anni scrive sulla Stampa che la fetta di parmigiana riscaldata non è buona) a Valerio. Ecco perché è ora di cambiare. Non solo giudici, come pure avverrà. Ma anche sistema di gioco, perché le esterne a Valencia e i riti del Priorato del Bollito misto hanno fatto il loro tempo.
Politicamente corretto e panettone