Chi era Moro prima del 16 marzo 1978? Un documentario lo racconta
Su Sky Arte Hd il film che cerca “al di là” della memoria collettiva
Roma. Chi era Aldo Moro prima del rapimento e della fine, prima che la sua immagine venisse identificata con la polaroid dalla prigionia (sotto la scritta “Brigate Rosse”) e con la foto della Renault rossa in via Caetani? Cerca di rispondere alla domanda, nell’anniversario del rapimento (il 16 marzo), il documentario “L’immagine di Moro”, in onda in prima tv stasera alle 21 e 15 su Sky Arte Hd (produzione Sky Arte Hd, realizzazione Ruvido Produzioni, scrittura di Giuseppe Longinotti e regia di Giuseppe Bianchi). Con l’ausilio di documenti e foto custoditi nell’archivio Flamigni, il film racconta quello che è successo a monte dei due mesi che hanno segnato la storia del paese. Moro, nella dimensione iconografica e nell’immaginario collettivo, resta infatti legato ai momenti tragici poi oggetto di saggi, indagini e lungometraggi, ma il “prima” è spesso rimasto sullo sfondo. Ne “L’immagine di Moro” parla invece il Moro uomo, professore e politico.
La sorpresa, racconta la direttrice dell’Archivio Flamigni, è prima di tutto quella del “sorriso”, un sorriso inimmaginabile con lo sguardo del poi: Moro che sorride in famiglia, a lezione, ai comizi. Moro che boccia agli esami, ma “con cortesia”, dopo aver “ascoltato lo studente”, e chiede a ognuno nome, cognome e indirizzo per appuntarselo su un’agendina sdrucita. C’è, nel film, Mario Capanna che ricorda il Moro curioso del ’68, che, pur contrario, si presentava alle assemblee “per capire”, e si domandava perché mai gli occupanti avessero cominciato a occupare proprio alla Cattolica. E c’è il Moro che al Festival di Venezia parla con Pier Paolo Pasolini e diventa famoso per il linguaggio: per alcuni verboso e “incomprensibile come il latino”, per altri nato “da una necessità di mediazione” che ne caratterizza, fin dalla partecipazione alla Costituente, la vita di politico. Ma c’è anche il Moro che viaggia con due borse di medicinali e che, anche da ministro degli Esteri, ha paura dell’aereo. E il Moro considerato “innovatore” ma anche “ex innovatore”. Prima ancora, Moro è stato un giovane studente pugliese, figlio di maestri e nipote di maestri (con madre anche casalinga perfetta e giornalista per diletto). Non passano molti anni, e lo studente dell’Azione cattolica diventa professore, e presto uomo della Dc da grandi lotte interne ed esterne. E se il Moro che spunta da una foto accanto al socialista Pietro Nenni racconta, dice un testimone, una “convergenza di volontà e sensibilità umane”, quello dei congressi Dc rimanda al misterioso “M” di “Todo modo” di Elio Petri, il film tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia in cui un gruppo di notabili, riuniti in un eremo claustrofobico per un ritiro spirituale, assiste a una serie di omicidi da dieci piccoli indiani. “M”, il personaggio che ricorda Moro, è quello “che concilia gli opposti”, dice il critico Alberto Crespi. Ed è a quel punto del documentario e dei ricordi – lungo la via che porta al compromesso storico – che si entra nel prodromo del dramma.
Politicamente corretto e panettone